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Gennaio 28, 2015

«I Boko Haram sparavano anche a bambini piccoli e vecchi». Parlano i sopravvissuti alla strage di Baga
di Leone Grotti

Moussa Zira è stato «miracolato»: giustiziato insieme ad altri 13 uomini, i jihadisti l’hanno mancato. Nel campo profughi di Baga Sola c’è chi non parla più, «piange e basta»

Moussa Zira si tasta la coscia e il braccio. Ci sono due fori di proiettile, le ferite fanno ancora male, ma l’uomo nigeriano sa di essere stato «miracolato». L’8 gennaio i terroristi di Boko Haram hanno raso al suolo la città di Baga e molti villaggi circostanti nel nord della Nigeria, vicino al confine con il Ciad. Nessuno ha potuto contarle, ma le vittime sarebbero diverse centinaia. I sopravvissuti, come Zira, sono riusciti ad attraversare il lago Ciad e sono stati soccorsi nel campo profughi di Baga Sola.

«ATTORNO A ME TUTTI MORTI». «I Boko Haram sono arrivati alle quattro del mattino – racconta Zira all’Afp – e sono entrati dentro ogni casa, cercando gli uomini. Ci hanno salutato, poi ci hanno detto di seguirli fino alle soglie del villaggio». I terroristi hanno preso in tutto 14 persone, «un uomo per ogni casa. C’era un vecchio tra di noi, gli hanno detto di andarsene. Poi ci hanno fatto marciare fino a un campo, quindi ci hanno ordinato di sdraiarci faccia a terra. Dopo aver sparato in aria una volta, ci hanno sparato da dietro uno a uno». Zira ci ha messo un po’ a capire di non essere morto: «Mi sono reso conto poco dopo che mi avevano mancato, non mi avevano preso in testa ma nel braccio e nella coscia. Ma attorno a me erano tutti morti».

«SPARAVANO AI BAMBINI». Zira è rimasto immobile tra i cadaveri facendo finta di essere morto. Poi, dopo che i jihadisti hanno lasciato il campo, ha preso una moto ed è scappato verso il lago. Qui ha trovato una canoa di legno, ha attraversato il lago ed è approdato in Ciad. Nel campo di Baga Sola c’è anche il pastore cristiano Yacubu Moussa, 43 anni. Quando i terroristi sono arrivati dormiva come gli altri: «Hanno cominciato a sparare contro tutti senza distinzioni: colpivano uomini, donne, bambini piccoli, vecchi».

«DIALOGO IMPOSSIBILE». Sentendo questi racconti si capisce perché il presidente della Conferenza episcopale nigeriana, Ignatius Kaigama, ha dichiarato a Radio Vaticana: «Non può esserci dialogo [con Boko haram] in questa situazione. È un gruppo irrazionale, che uccide le persone quando vuole: che siano cristiani, musulmani, li uccide indiscriminatamente. Il dialogo è impossibile di fronte a gente che uccide, distrugge in nome di Dio».

INTERVENTO MILITARE. Come il vescovo di Maiduguri, monsignor Oliver Dashe Doeme, anche Kaigama chiede l’intervento militare «della comunità internazionale», dopo che domenica i jihadisti hanno cercato di assaltare Maiduguri, capitale dello Stato di Borno e città più importante del nordest del Paese, che rischia di diventare un califfato. L’offensiva di Boko Haram è cominciata nel 2009 e solo l’anno scorso i terroristi hanno causato la morte di oltre novemila persone.

«HANNO BRUCIATO TUTTO». Moussa, il pastore cristiano, è tornato a Baga per recuperare qualche effetto personale: «C’erano cadaveri dappertutto in strada. Ci hanno attaccato con migliaia di uomini. In acqua affioravano corpi e si sentiva un grande fetore ancora prima di entrare in città». Di Baga «non resta che cenere. Hanno bruciato tutto: le nostre case, i nostri magazzini, perfino le motociclette». Ora Moussa si sente quasi inutile: «Attorno a me ci sono solo musulmani. Io non ho più niente da fare, non ci sono cristiani, non ci sono chiese, non ho neanche la Bibbia».

«PIANGEVA E BASTA». Al campo profughi, che è stato investito dall’arrivo di 14 mila persone in una settimana, operano membri del governo nigeriano e dell’Onu. Tante persone arrivano così traumatizzate che non parlano e sembrano non capire: «Arrivano con storie troppo dure per essere ascoltate», racconta Idriss Dezeh, della Commissione di accoglienza del Ciad. «L’altro giorno un uomo è venuto per farsi registrare, io gli parlavo ma lui non mi ascoltava: piangeva e basta». L’uomo non aveva più nessuno, «i Boko Haram avevano lanciato una granata dentro casa sua uccidendo sul colpo la moglie e i tre bambini».

PARTO IN CANOA. Altri sono stati più fortunati e si sono salvati con tutta la famiglia, come Aisha Aladji Garb. Tra le braccia tiene una neonata, venuta alla luce sulla canoa di legno con la quale attraversava il lago Ciad con il marito scappando dai jihadisti. «Appena approdati sull’altra sponda, un gruppo di militari si è preso cura di noi e ci ha portati qui al campo. È solo grazie a loro se mio figlio è vivo, per questo l’ho chiamato Idriss Déby, il nome del presidente del Ciad».

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