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12 Ottobre 2015

 

Laudato sì. Un’Enciclica antisistemica. L’opinione di un marxista

di Michael Löwy

Traduzione di Luca Morganti

 

L’«Enciclica ecologica» di Papa Francesco è un evento di importanza planetaria, dal punto di vista religioso, etico, sociale e politico.

Considerando l’enorme influenza su scala mondiale della chiesa cattolica, è un contributo cruciale allo sviluppo di una coscienza ecologica critica. E’ stata accolta con entusiasmo dai veri difensori dell’ambiente, ha al contrario suscitato inquietudine e disprezzo da parte dei religiosi conservatori, rappresentanti del capitale e ideologi dell’«ecologia di mercato». Si tratta di un documento di grande ricchezza e complessità, che inaugura una nuova interpretazione della religione giudaico-cristiana – in rottura con «il sogno prometeico di dominio sul mondo» – e propone una riflessione profondamente radicale sulle cause della crisi ecologica. In diverse parti, come per esempio nell’inseparabile associazione del «grido della terra» con il «grido dei poveri», si percepisce che la teologia della liberazione – in particolare dell’eco-teologo Leonardo Boff – è stata una delle fonti d’ispirazione.

 Nelle brevi note che seguono mi interessa enfatizzare una dimensione della Enciclica che spiega le resistenze presenti nelle establishment economico e mediatico: il suo carattere antisistemico.

Per Papa Francesco, i disastri ecologici e il cambio climatico non sono il risultato di comportamenti individuali – anche se questi hanno la loro influenza – ma degli attuali modelli di produzione e di consumo.

Bergoglio non è un marxista, e la parola “capitalismo” non compare nell’Enciclica. Tuttavia risulta molto chiaro che per lui i drammatici problemi ecologici della nostra epoca sono il frutto degli «ingranaggi dell’attuale economia globalizzata» – ingranaggi che danno luogo ad un sistema globale, un «sistema di relazioni commerciali e di proprietà strutturalmente perverso» (corsivo nostro).

Quali sono, per Francesco, queste caratteristiche «strutturalmente perverse»? Prima di tutto è un sistema nel quale predominano «gli interessi limitati delle imprese» e «una discutibile razionalità economica», una razionalità strumentale che ha come unico obiettivo di massimizzare il profitto. Nondimeno «il principio della massimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente».

 Questa distorsione, questa perversione etica e sociale, non è propria dell’uno o dell’altro paese ma di un «sistema mondiale dove prevalgono speculazione e ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare tutto il contesto, sia gli effetti sulla dignità umana che dell’ambiente naturale. Emerge così che la degradazione ambientale e la degradazione umana ed etica sono intimamente unite» (corsivo nostro).

L’ossessione della crescita illimitata, il consumismo, la tecnocrazia, il dominio assoluto della finanza e la divinizzazione del mercato sono altre caratteristiche perverse del sistema. Nella sua logica distruttiva tutto si riduce al mercato e al «calcolo finanziario di costi e benefici». Però sappiamo che «l’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere e di promuovere adeguatamente». Il mercato è incapace di farsi carico di valori qualitativi, etici, sociali, umani o naturali, cioè di «valori che eccedono qualunque calcolo».

 

 Il potere «assoluto» del capitale finanziario speculativo è un aspetto essenziale del sistema, come ha mostrato la recente crisi bancaria.

 

Il commento dell’Enciclica, in proposito, è aggressivo e demistificante: «il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo».

Questa dinamica perversa del sistema globale che «continua a reggere il mondo» è la ragione che ha portato al fallimento tutti i Vertici mondiali sull’ambiente: «ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi interessi».

Predominando gli imperativi dei più potenti gruppi economici «ci si potrebbe aspettare solamente alcuni proclami superficiali, azioni filantropiche isolate, e anche sforzi per mostrare sensibilità verso l’ambiente, mentre in realtà qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere».

 L’Enciclica sviluppa, in questo contesto, una critica radicale della irresponsabilità dei «responsabili», ossia delle élites dominanti, delle oligarchie interessate alla conservazione del sistema, in relazione alla crisi ecologica: «molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici. Ma molti sintomi indicano che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali modelli di produzione e di consumo».

In relazione al drammatico processo di distruzione degli equilibri ecologici del pianeta e la minaccia senza precedenti che rappresenta il cambio climatico, che cosa propongono i governi, o i rappresentanti internazionali del sistema (Banca Mondiale, F.M.I., ecc.)? La loro proposta è un presunto “sviluppo sostenibile”, un concetto che si è fatto una volta di più vuoto di significato, un vero flatus vocis come dicevano gli scolastici del medioevo.

 

Francesco non nutre nessuna illusione rispetto a questa mistificazione tecnocratica: «il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine».

 

Le misure concrete che propone l’oligarchia tecno-finanziaria sono perfettamente inefficaci, come per esempio i cosiddetti “mercati del carbonio”. La critica caustica che Papa Francesco fa a questa falsa soluzione è uno degli argomenti più importanti dell’Enciclica. Citando una risoluzione della Conferenza Episcopale Boliviana, Bergoglio scrive:

«La strategia di compravendita di “crediti di emissione” può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti. Questo sistema sembra essere una soluzione rapida e facile, con l’apparenza di un certo impegno per l’ambiente, che però non implica affatto un cambiamento all’altezza delle circostanze. Anzi, può diventare un espediente che consente di sostenere il super-consumo di alcuni Paesi e settori».

 

Passaggi come questo spiegano il poco entusiasmo per Laudato si’ da parte dei circoli ufficiali e dei partigiani dell’ecologia di mercato (o del capitalismo verde).

 

Sempre associando la questione ecologica con la questione sociale, Francesco insiste sulla necessità di mezzi radicali, drastici, ossia di cambio profondo, per affrontare questa doppia sfida. Il principale ostacolo per tutto questo è la «perversa» naturalezza del sistema: «la medesima logica che rende difficile prendere decisioni drastiche per invertire la tendenza al riscaldamento globale è quella che non permette di realizzare l’obbiettivo di sradicare la povertà».

Se la tesi di Laudato si’ sulla crisi ecologica è di una chiarezza e coerenza impressionante, le azioni che propone sono più limitate. Certo, molte delle sue suggestioni sono utili e necessarie, per esempio: «facilitare forme di cooperazione o di organizzazione comunitaria che difendano gli interessi dei piccoli produttori e preservino gli ecosistemi locali dalla depredazione». Ed è pure molto significativo che l’Enciclica riconosca la necessità, per le società più sviluppate, «[di] rallentare un po’ il passo, [di] porre alcuni limiti ragionevoli e anche [di] ritornare indietro prima che sia tardi»; in altre parole, «è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti».    

Mancano però, più propriamente, le “misure drastiche”, come per esempio quelle che propone Naomi Klein nel suo ultimo libro Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile: rompere, prima che sia troppo tardi, con le energie fossili (carbone, petrolio), lasciandole sotto terra.

Non si può pensare ad una transizione che vada più in là delle strutture perverse dell’attuale modo di produzione e consumo, senza una composizione delle iniziative antisistemiche che mettano in questione la proprietà privata, come per esempio quella delle multinazionali delle energia fossile (BP, SCHELL, TOTAL ecc.). Certo, il Papa parla della necessità di «grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino una cultura della cura che impegni tutta la società», tuttavia questo aspetto strategico nell’Enciclica è poco sviluppato.

Riconoscendo che «il sistema mondiale attuale è insostenibile», Bergoglio cerca un’alternativa globale, che chiama «cultura ecologica», un mutamento che «non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico». Ma, ancora una volta, ci sono poche indicazioni sulla nuova economia, sulla nuova società che corrispondono a questa cultura ecologica. Non si tratta di chiedere al Papa l’adozione di un ecosocialismo, ma non c’è dubbio che l’alternativa futura rimane molto astratta.

Papa Francesco fa sua l’«opzione preferenziale per i più poveri» delle chiese latino-americane. L’Enciclica l’afferma chiaramente, come un imperativo planetario: «nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante iniquità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri».

Ma nell’Enciclica i poveri non compaiono come gli attori della loro propria liberazione – il progetto più importante della teologia della liberazione.

Le lotte dei poveri, dei contadini, degli indigeni, in difesa dei boschi, dell’acqua, della terra, contro le multinazionali e il mercato agro-alimentare, sono tematiche poco presenti in Laudato si’. Francesco ha recentemente organizzato un incontro – il primo nella millenaria storia della Chiesa Cattolica – con i movimenti sociali: si tratta di un evento epocale. Rimane il fatto che nell’Enciclica ci sono pochi riferimenti ai movimenti sociali, che sono precisamente i principali attori delle lotte contro il cambio climatico: Via Campesina, Climate Justice, il Forum Sociale Mondiale, ecc.

Ovviamente, come sottolinea Bergoglio nell’Enciclica, non è compito della Chiesa sostituirsi ai partiti politici proponendo un programma di trasformazione sociale.

 

Per la sua analisi antisistemica della crisi, che unisce in una forma inseparabile la questione sociale con la protezione dell’ambiente naturale, il «grido dei poveri» con il «grido della terra», Laudato sì è un prezioso ed inestimabile apporto alla riflessione e all’azione per salvare la natura e l’umanità dalla catastrofe.

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