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venerdì 4 dicembre 2015

 

Caos climatico

di Nanni Salio

 

Raccogliendo l’invito di Vandana Shiva, è bene parlare di caos climatico piuttosto che di cambiamento climatico globale. Il sistema climatico terrestre è complesso e non ne abbiamo una  conoscenza esaustiva. I mutamenti in corso sono imprevedibili e possono oscillare dal riscaldamento globale a una neoglaciazione. Tuttavia, c’è un ampio consenso tra gli scienziati sul fatto che questi cambiamenti sono di natura antropica, indotti dall’attività umana.

In breve, continuando a emettere gas climalteranti (prevalentemente anidride carbonica e metano) stiamo modificando la composizione chimica dell’atmosfera. E’ un gigantesco esperimento in corso, ma non abbiamo un pianeta di riserva qualora l’esperimento si riveli disastroso.

Alcuni dati sono sufficientemente noti: la concentrazione di CO2 in atmosfera è passata da meno di 350 ppm (parti per milione) di prima della rivoluzione industriale a oltre 400 ppm e continua inesorabilmente a crescere di circa 2,5 ppm all’anno. La temperatura media del pianeta è cresciuta di 1 °C e continuando con lo stesso andamento nelle emissioni, raggiungerà i 2 °C fra due o tre decenni e supererà lo soglia catastrofica di 3-4 °C a fine secolo.

Alcuni fenomeni associati al caos climatico sono anch’essi ben conosciuti: scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari; progressivo aumento del livello dei mari; crescita degli eventi estremi in frequenza e intensità (siccità, alluvioni, uragani). Questi fenomeni stanno minacciando già adesso numerose popolazioni rendendo difficile la loro sopravvivenza e contribuendo, insieme alle guerra, alla crescita incontrollabile dei flussi migratori.

Che cosa possiamo aspettarci dall’appuntamento di Parigi, la COP 21, ventunesima conferenza delle parti indetta ogni anno dalle Nazioni Unite, a partire dal 1995?

Gli attentati del 13 novembre sembrano essere stati progettati per contribuire a sviare l’attenzione e impedire la partecipazione attiva dei movimenti di base. La copertura mediatica della COP 21 è molto modesta, ben al di sotto di quanto è avvenuto per gli attentati. Ancora una volta è il giornalismo di guerra che imperversa per creare un “clima di paura”, assai diverso da quello che sarebbe necessario. Al caos climatico si aggiunge il caos della politica internazionale, creando un gigantesco caos sistemico, che comprende crisi economica, finanziaria, alimentare, esistenziale.

Le cause immediate di tutto ciò sono da individuarsi in un modello economico e di sviluppo basato sul dogma della crescita illimitata del PIL e sul massiccio e crescente uso dei combustibili fossili per sostenere la crescita economica.

L’inversione di rotta è possibile, come documentano molti studi e i lavori di un gran numero di autori, che qui riassumiamo sinteticamente:

1 energie rinnovabili di origine solare, società a bassa potenza pro capite, efficienza energetica :

2 agroecologia e alimentazione vegetariana/vegana per ragioni non solo etiche nel confronto dei nostri fratelli minori, ma per ridurre drasticamente le emissioni provocate dalla zoo-agroindustria;

3 riforestazione per assorbire parte delle emissioni di CO2 e riequilibrare il ciclo dell’acqua;

4 economia autocentrata, stazionaria, su piccola scala, per ridurre l’impatto dovuto alla circolazione di beni su scala globale;

5 chiusura dei cicli ecologici nella produzione di beni;

6 proceessi decisionali autenticamente democratici, partecipativi, ben diversi dalle attuali democrazie oligarchiche.

7 riconversione produttiva e intellettuale del complesso militare-industriale-scientifico-coporativo per impedire le guerre e risolvere in maniera nonviolenta le controversie internazionali.

Queste misure sono tutte possibili e realistiche, anche se non dobbiamo aspettarci che verranno discusse e prese in seria considerazione dalla COP 21. I decisori sono proprio i principali responsabili dell’attuale situazione e difendono innanzi tutto i loro interessi, a cominciare da quelli finanziari, dell’industria petrolifera e delle armi. E’ soprattutto compito dei movimenti di base avviare questi processi di transizione.

Il cambiamento, se avverrà prima che sia troppo tardi, comporta una profonda trasformazione di stili di vita e visioni del mondo, di senso dell’ esistenza. Dobbiamo imparare da quelle culture, soprattutto indigene ma non solo, che in passato e ancora oggi, hanno realizzato società più armoniose ed eque, capaci di trasformare i conflitti in maniera nonviolenta e in grado di produrre felicità invece che limitare l’attenzione al solo prodotto interno lordo.

La vita sul nostro pianeta dura da miliardi di anni e la presenza della nostra specie da centinaia di migliaia. Questo esperimento non terminerà con la scomparsa della nostra specie, che si sta dimostrando incapace di assumere un ruolo cosciente nel processo evolutivo. Simili ai dinosauri potremo scomparire per lasciar posto a una diversa figura umana: dall’homo economicus all’homo gandhiano nonviolento, quanto meno per pure esigenze evolutive, come già è avvenuto in passato, quando abbiamo scoperto di essere mortali e per non impazzire abbiamo creato delle narrazioni culturali che durano tuttora.

Ma ora, la posta in gioco è ancora più ambiziosa. Siamo di fronte a una sfida mortale che la natura stessa ci sta ponendo: evolvere o perire. Dobbiamo passare da una società ad alto tasso di violenza e di atteggiamenti psico- sociopatici a un insieme di comunità in grado di sviluppare capacità relazionali empatiche con tutti gli esseri viventi, nella consapevolezza della nostra finitezza individuale e del desiderio di una vita piena e felice, inserita nel grande e misterioso divenire cosmico.

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