http://www.nigrizia.it/

Mercoledì 02 dicembre 2015

 

Cop21, sfida energetica al centro dell'Africa Day

di Gaia Puliero

 

L’Africa è protagonista di molte delle problematiche che si stanno affrontando alla conferenza Onu sul clima in corso a Parigi. Ieri in occasione del side event dedicato al continente, oltre a siccità, desertificazione e protezione delle coste, è emerso il problema dell'urgente fabbisogno energetico. Francia in prima linea su questo aspetto.

 

«Esiste un debito ecologico che il mondo deve pagare al continente africano». Ha esordito così ieri François Hollande all'Africa day, il mini-summit africano organizzato a lato dei negoziati ufficiali in presenza di numerosi capi di stato del continente. La seconda giornata di Cop21 si è aperta così all'insegna di alcune fra le sfide cruciali della transizione africana: fra queste il finanziamento di energie rinnovabili, la protezione costiera, l'azione sulla siccità e la lotta alla desertificazione.

Ricordando che la Francia aumenterà dal 2016 da 3 a 5 miliardi di euro l'anno il suo contributo per le sfide più urgenti del cambiamento climatico, il presidente francese ha sottolineato che la maggior parte di quest'investimento beneficerà l'Africa. Cosi, al continente andranno 6 miliardi di dollari entro il 2020, di cui 2 da destinare al finanziamento di energie rinnovabili.

La promessa interviene nel quadro del Piano Clima per l'Africa annunciato dalla Banca Mondiale (Bm), e che prevede di mobilizzare 16 miliardi di euro: di questi 5,6 saranno forniti dall'International Development Association (Ida, parte della Bm e in carica dei paesi più abbienti), i restanti da finanziamenti multilaterali, nella speranza di far leva – spera il vicepresidente in carica del continente Makhtar Diop – anche su interventi privati. Un buco di 2 miliardi rimane scoperto per ora.

 

Un interesse particolare

La sfida energetica, centrale nell'incontro di ieri e nel Piano Clima, è del resto la sottile linea rossa che collega Africa e Francia. Sul filo di un fabbisogno energetico colossale (700 milioni di persone prive di accesso all'elettricità: un africano ogni dieci) e di fronte al forte potenziale solare, idroelettrico e geotermico del territorio, l'Esagono promuove da un anno il progetto dell'elettrificazione completa del continente entro il 2050. Lanciato dall'ex ministro per l'ambiente Jean-Louis Borloo e da concretizzare dietro gestione di un'agenzia africana basata sul territorio, il "nuovo piano Marshall per l'Africa" (che ha federato negli ultimi mesi diversi protagonisti africani e richiederebbe sovvenzioni per 4 miliardi di dollari l'anno) non fa l'unanimità. Principalmente per il proposito di fare del continente una specie di rilancio della crescita europea, e per la questione – sollevata già lunedì dall'Unione Africana nell'intervento inaugurale - del coordinamento africano delle iniziative di elettrificazione del continente. Un proposito che Hollande ha voluto riprendere oggi: «L'Africa dispone di un potenziale di energie rinnovabili ancora inesplorato: bisogna aiutarla a svilupparlo per e con l'Africa».

 

Crucci africani

In questo contesto di dibattito e attese - fra i progetti concreti che il fondo propone di realizzare rientrano la “Grande Muraglia Verde” di Sahel e Sahara, e l'azione sul fiume Niger – la posizione dei paesi ha rispecchiato le preoccupazioni già espresse lunedì.

Un'attenzione particolare è stata portata – dal portavoce e fratello del re del Marocco, il principe Moulay Rachid, ma anche dall'Egitto e in parte dal Sudafrica – sulla necessità per le nazioni africane di poter dare il proprio contributo senza esser eccessivamente sfavoriti nella dinamica mondiale («Facciamo attenzione che questi paesi non debbano scegliere fra progresso economico e protezione dell'ambiente», Marocco), e sulla sfida dell'1,5 gradi: l'unica secondo gli esperti che garantirebbe la protezione dell'intera umanità dal prossimo innalzamento del livello delle acque.

«Il Ciad sta morendo e il fiume Niger si insabbia» ha perorato il presidente del Niger Mahamadou Issoufou: «è fondamentale che gli stati membri intervengano per un accordo che sia completo, solidale, vincolante, e che permetta di porre la barra a 1,5 gradi, perché il limite di 2 gradi si trasformerebbe per l'Africa in un aumento di 3,5 gradi, e per il Niger di 5».

Fra i grandi assenti di lunedì si contano i presidenti di Rwanda, Tanzania, Malawi e Zambia. Angola, Burundi, Algeria e Tunisia sono rappresentati dal loro vice presidente o dal primo ministro.

top