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dic 4th, 2015

 

COP21. Sono 79 i conflitti provocati dai cambiamenti climatici

di Viviana D’Onofrio

 

Secondo quanto rilevato da un rapporto commissionato dai Paesi del G7 all’istituto tedesco Adelphi, sono stati ben 111, a partire dal dopoguerra, i conflitti determinati da fattori di natura ambientale. Di questi, 79 sono attualmente in corso e 19 di essi sono classificati come conflitti ad alta intensità (livello 4 in una scala da 1 a 4).

E‘ della relazione tra guerre e cambiamenti climatici che si è parlato in un convegno, “La sfida del clima per la sicurezza e la pace“, organizzato alla Camera dei Deputati dall’intergruppo bicamerale per il clima Globe Italia, in concomitanza con la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP21) in corso a Parigi.

Gli effetti dei cambiamenti climatici vengono, dunque, considerati come un “moltiplicatore di minaccia“ per la pace e la sicurezza globale.

Il legame esistente tra il fenomeno del cambiamento climatico e l’emergere di conflitti, in particolare nelle aree maggiormente vulnerabili del pianeta, è stato evidenziato anche dal World Watch Institute, istituto di ricerca di Washington, che ha sottolineato come “l’alterazione delle precipitazioni potrebbe accrescere le tensioni rispetto all’uso dei corpi idrici condivisi e aumentare la probabilità di conflitti violenti sulle risorse idriche. Secondo lo studio condotto dall’istituto in questione, “si stima che circa 1,4 miliardi di persone già vivono in aree sotto stress idrico. Un numero che al 2025 potrebbe arrivare fino a 5 miliardi di persone. Gli impatti diffusi dei cambiamenti climatici potrebbero portare a ondate migratorie, minacciando la stabilità internazionale. Si stima che entro il 2050, ben 250 milioni di persone potrebbero essere fuggite da aree vulnerabili per l’innalzamento del mare, tempeste o inondazioni, o terreni agricoli troppo aridi per coltivare“.

Tra le eco-guerre attualmente in corso nel mondo vi è anche il conflitto siriano. Uno studio recente, condotto dalla Columbia University, ha sostenuto che tra i differenti fattori che hanno provocato la guerra in Siria, va menzionato senza dubbio il ruolo giocato da un’ondata di siccità straordinaria che tra il 2007 e il 2010 ha visto l’area della “mezzaluna fertile” ridurre progressivamente la propria disponibilità di risorse. Come ha spiegato Richard Seager, climatologo della Columbia University e coautore dello studio, “Non stiamo dicendo che la siccità abbia provocato la guerra; quello che pensiamo è che, insieme a tutti gli altri fattori scatenanti, abbia aiutato a spingere gli eventi oltre la soglia di non ritorno, fino a scatenare il conflitto. Un’ondata di siccità così grave, inoltre, è sicuramente stata resa possibile, o quanto meno molto più probabile, dall’inaridimento della regione provocato dall’attività umana”.

Il legame esistente tra il cambiamento climatico ed il conflitto siriano è stato sostenuto, inoltre, da uno studio pubblicato nel 2014 in “Weather, Climate and Society“. In questo caso, Peter Gleickwrote, esperto di questioni climatiche, ha affermato che “l’acqua e le condizioni climatiche presenti in Siria hanno giocato un ruolo diretto nel deterioramento delle condizioni economiche del Paese“.

Quello attualmente in corso in Siria non è l’unico conflitto alla cui base possano essere riconosciuti fattori di natura ambientale. Tra le cosiddette “eco-guerre“ vanno menzionate, tra le altre, anche i conflitti per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi che hanno distrutto gli ecosistemi in Nigeria e la guerra civile in Darfur, tra le cui principali cause va, senza dubbio, menzionato l‘accesso alle risorse idriche.

A mettere in guardia i governi dal rischio, per la sicurezza internazionale, insito nei cambiamenti climatici ci ha pensato anche Grammenos Mastrjeni, diplomatico italiano, che ha spiegato le potenziali gravi conseguenze geopolitiche derivanti dal cambiamento climatico e che ha, conseguentemente, sottolineato la necessità di agire con rapidità per fronteggiare l’inevitabile incremento della conflittualità a livello globale derivante da quest’ultimo. Nel suo libro, intitolato “L’Arca di Noè. Per salvarci tutti insieme“, Mastrojeni ha spiegato il collegamento esistente tra le primavere arabe ed i fattori climatici: “Le rivolte in Nordafrica non sono state innescate dall’ideologia ma da anni di iperinflazione; il prezzo del pane era cresciuto a causa della speculazione, ma la speculazione è stata messa in moto da cattivi raccolti provocati da scompensi climatici”. “Se i ghiacciai dell’Himalaya si sciogliessero – continua il diplomatico italiano – entro pochissimo tempo verrebbe meno la riserva continua di acqua che alimenta l’agricoltura dell’Asia centrale, del Sud Est asiatico e dell’India e milioni di persone non avrebbero più di che sfamarsi, con conseguenze sconvolgenti sulla stabilità sociale. E questo avverrebbe in un’area del mondo dove quattro stati, Russia, Cina, India e Pakistan, possiedono armamenti nucleari”.

Attualmente nel mondo si contano 261 bacini idrici internazionali suddivisi tra 145 nazioni e nei quali risiede più del 40% della popolazione mondiale. I bacini idrici del Nilo, Tigri-Eufrate, Mekong, Giordania, Indo, Brahmaputra e Amu Darya sono soggetti a uno sfruttamento intensivo e rischiano di alimentare i conflitti tra le nazioni che li condividono.

L’Africa è, senza dubbio, uno dei continenti più vulnerabili ai cambiamenti climatici. In Nordafrica e nel Sahel, la crescente siccità, la scarsità d’acqua e l‘uso eccessivo della terra sono destinati a condurre alla degradazione del suolo; ciò potrebbe portare a una perdita pari al 75% di terreni coltivabili. Il Delta del Nilo potrebbe essere a rischio sia per l’innalzamento del livello del mare, sia per la salinizzazione delle zone agricole, mentre una percentuale compresa tra il 12 ed il 15% della terra arabile potrebbe andare perduta a causa dell’innalzamento del livello del mare, con 5 milioni di persone colpite da tali fenomeni entro il 2050. Il cambiamento climatico sta avendo già oggi un forte impatto sul conflitto nel Darfur e in altre zone del continente africano. Nel Corno d’Africa, ad esempio, la riduzione del livello delle piogge e l‘aumento delle temperature sono destinati ad avere un negativo impatto su una regione altamente esposta ai conflitti. Nell‘Africa australe la siccità sta contribuendo a scarsi raccolti, generando insicurezza alimentare in varie aree in cui milioni di persone si troveranno a fronteggiare la carenza di cibo. Tutto ciò determinerà un intensificarsi dei fenomeni migratori attraverso il Nordafrica per raggiungere l’Europa.

Il fatto che i cambiamenti climatici accrescano il rischio di intensificare la conflittualità presente in determinate aree del pianeta ha acceso un dibattito sulla questione anche nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite.

Il 3 giugno 2009 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione sui “Cambiamenti climatici e le possibili implicazioni in termini di sicurezza per l’agenda sulle piccole isole del Pacifico” (A/63/L.8/Rev. 1). Sempre nello stesso anno, l’Assemblea Generale ha presentato il Rapporto “Climate change and its possible security implications“.

Il Rapporto evidenzia cinque specifiche modalità con le quali il cambiamento climatico può avere effetti sulla sicurezza:

1.I cambiamenti climatici mettono a rischio il benessere delle popolazioni maggiormente vulnerabili. Sotto questo aspetto, il cambiamento climatico finisce per costituire una minaccia per i diritti umani. Le Nazioni Unite riconoscono l’intrinseco legame tra l’ambiente e la realizzazione di tutta una serie di diritti umani, quali il diritto alla vita, alla salute, al cibo, all’acqua e alla casa.

2.Il secondo fattore da prendere in considerazione è l’impatto che i cambiamenti climatici hanno sui processi di sviluppo economico. Un rallentamento o una battuta d’arresto nei processi di crescita degli Stati maggiormente vulnerabili, determinati dal cambiamento climatico, costituirebbero un rischio per la sicurezza di queste popolazioni in quanto l’aumento della povertà costituisce un fattore di instabilità politica e sociale.

3.Il cambiamento climatico conduce a migrazioni, alla competizione per il controllo delle risorse naturali scarse e, conseguentemente, ad un incremento del rischio di conflitti interni, con inevitabili effetti sulla pace e sulla sicurezza internazionale.

4.Il cambiamento climatico minaccia la stessa esistenza di alcune entità statali, in particolare a causa dell’innalzamento del livello del mare, che può condurre alla perdita del territorio nazionale. Ciò determina il fenomeno delle popolazioni sfollate, dagli apolidi nonchè di conflitti di natura territoriale con le popolazioni vicine.

5.Per concludere, le conseguenze del cambiamento climatico sulla disponibilità delle risorse naturali e sull’accesso a queste ultime può determinare il sorgere di conflitti internazionali, ossia conflitti tra entità statali per il controllo del territorio.

Alla luce di quanto detto finora, la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima in corso a Parigi assume un’importanza cruciale. Combattere il cambiamento climatico è assolutamente indispensabile al fine di evitare l’acuirsi della conflittualità nel mondo, in particolar modo nelle aree maggiormente vulnerabili del pianeta, e di garantire, così,d la pace e la sicurezza internazionali.

La presidente dell’Intergruppo Globe Italia, Stella Bianchi, ha affermato che “Raggiungere un accordo forte ed inclusivo alla COP 21 di Parigi che contenga il riscaldamento globale entro i 2 gradi, o meglio ancora entro 1,5 gradi, vuol dire anche combattere il terrorismo ed una delle maggiori minacce alla sicurezza globale. Ogni successo che otteniamo nel ridurre il riscaldamento globale è un passo avanti per disinnescare conflitti violenti, inevitabili quando vengono a mancare acqua o terra da coltivare“.

 

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