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15 dicembre 2015

 

Cop21, ancora una volta ha vinto l’ipocrisia

di Salvo Ardizzone

 

S’è tenuta a Parigi la Cop21, la 21^ Conferenza Onu delle Parti, che dal 20 novembre ha riunito 195 Paesi per trovare un accodo sul clima. Sabato, dopo un negoziato durissimo che ha sforato sui tempi, il presidente Hollande ha annunciato che, per la prima volta, è stato trovato un accordo giuridicamente vincolante che lega tutti i Paesi, finalizzato a porre un freno ai cambiamenti climatici. L’annuncio è stato dato prima che il testo venisse consegnato alle delegazioni per l’approvazione, ma ormai pare si tratti di un passaggio formale.

Al di là dei tecnicismi che troppo speso rendono la materia incomprensibile ai più, nelle 31 pagine della terza e ultima stesura (erano 78 nella prima) in sostanza si conviene di adottare una serie di misure idonee a contenere l’aumento della temperatura al di sotto dei +2°C rispetto all’era pre-industriale; gli interventi che i singoli Stati metteranno in campo verranno controllati ogni cinque anni per verificarne l’efficacia e il mantenimento degli impegni. Per aiutare i Paesi non ancora sviluppati, danneggiati dalle limitazioni imposte dall’accordo, viene istituito un fondo di 100 miliardi di dollari fino al 2020.

Fin qui per sommi capi il risultato di quella che, al di là dell’ipocrisia, è stata tutto fuorché una battaglia per l’ambiente; come largamente prevedibile, la partita che s’è giocata attorno al livello di contenimento del riscaldamento globale è stata un feroce scontro geopolitico fra interessi contrastanti.

I Paesi più minacciati dai cambiamenti climatici, in testa quelli insulari che rischiano d’essere sommersi, volevano fissare il tetto dell’aumento di temperatura a +1,5°C; ad opporsi c’erano Cina, India ed Arabia Saudita, alla testa di un nutrito gruppo di Paesi emergenti, che lo volevano a non meno di +2°C.

Cina e India, al momento fra i massimi inquinatori, sostengono che il clima è stato compromesso dalle emissioni di CO2 dei Paesi sviluppati, che ora, divenuti ricchi e in possesso delle tecnologie necessarie allo sviluppo di energie alternative, vogliono eliminare il carbone e ridurre il consumo di idrocarburi, condannando gli altri al sottosviluppo.

Nel sostenere questa posizione, Pechino, oltre che difendere il proprio sistema produttivo, ha l’obiettivo politico di allineare dietro di sé tutti i Paesi emergenti. Dal canto suo, l’Arabia Saudita ha difeso strenuamente il tetto dei +2°C perché, dipendendo in tutto dal petrolio, vede una minaccia mortale nella contrazione dei suoi consumi.

La frattura fra le due posizioni è stata acuita dal pesante intervento di Usa e Ue, che hanno definito irrealistico il tetto di +1,5°C. Non s’è trattato di un intervento di mediazione, ma ha obbedito a due scopi perseguiti da Washington: gli Usa, che sono i primi inquinatori mondiali, non hanno mai sottoscritto impegni vincolanti che limitino le emissioni di CO2; farlo con la certezza di colpire con durezza le attività industriali meno avanzate nelle proprie aree meno ricche, avrebbe avuto un impatto negativo in un periodo elettorale. Inoltre, e considerato assai più importante dall’Amministrazione, un simile intervento è stato mirato a sottrarre all’influenza di Cina ed India il vasto blocco dei Paesi in via di sviluppo.

In tutto questo la Ue s’è limitata ad andare al rimorchio, assecondando le economie dell’Est Europa, ancora largamente basate sul carbone, vedi caso le più docili ad obbedire a Washington sul dossier russo.

Così l’accordo è stato raggiunto su una formula ambigua: si dovrà tendere a contenere il riscaldamento a un livello “assai inferiore ai +2°C”, che tradotto nella realtà sarà +2°C meno un’inezia. E per semplificare l’accettazione è stato istituito il solito fondo di aiuti, che di solito rimane sulla carta perché nessuno versa i quattrini.

Come si vede, s’è trattato di uno scontro geopolitico d’interessi; comunque uno straccio d’accordo s’è raggiunto, anche se fuori di esso è rimasto un tema scottante di cui non s’è voluto fare menzione: la sovrappopolazione. Perché se è vero che l’attuale modello di sviluppo e le tecnologie utilizzate per esso hanno ridotto l’atmosfera ad una colossale discarica di gas, lo è altrettanto che l’umanità continua a crescere senza che nessuno si ponga il problema della sostenibilità di una crescita demografica incontrollata.

Un tema delicato quanto impellente che giocoforza dovrà essere affrontato, malgrado i troppi tabù posti su di esso da preconcetti ideologici, laici o religiosi che siano.

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