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10/06/2015

 

Giulio Terzi: «Con la Russia facciamo i furbi, per questo contiamo poco»

di Marco Sarti

 

Parla l’ex ministro, già ambasciatore a Washington: «Questa crisi è delicata. Putin ci vede come una minaccia dal 2008, non ce ne siamo mai accorti»

 

«L’Occidente e la Russia sono a un passo da una nuova guerra fredda? Di certo la situazione è molto delicata». Giulio Terzi di Sant’Agata conosce bene l’argomento. Prima di diventare ministro degli Esteri nel governo Monti è stato ambasciatore negli Stati Uniti e rappresentante permanente d’Italia alle Nazioni Unite. Oggi racconta: «Siamo noi che abbiamo sottovalutato la situazione: l’atteggiamento russo che vede l’Occidente come una minaccia era chiaro fin dal 2008». L’ex ministro, ora esponente di Fratelli d’Italia, critica la posizione dell’esecutivo, troppo ambiguo nella partita delle sanzioni economiche contro Mosca. «A livello internazionale conteremo sempre meno, quanto più cercheremo di fare i furbi». Inutile negare i legami privilegiati tra i nostri Paesi, confermati anche dalla visita del presidente Putin a Roma e Milano. «Ma non dobbiamo dare la percezione che questi rapporti speciali possano staccare il vagone Italia dal treno degli altri paesi occidentali».

Dottor Terzi, qual è lo stato delle nostre relazioni diplomatiche con la Russia?

Penso si debba guardare al rapporto con la Russia con molta calma, ma con determinazione. Senza lasciarsi prendere da emotività. La Russia è un partner importante dell’Europa. Il partenariato con questo Paese è una priorità per noi sul piano economico, politico e della sicurezza europea. Negli anni sono stati fatti passi avanti per costruire un sistema di difesa europeo. Penso ai progressi sul piano dell’eliminazione di armi nucleari a medio raggio e sulla riduzione degli arsenali nucleari di Usa e Russia. Ma non possiamo dimenticare l’annessione della Crimea, sulla cui illegittimità non c’è alcun dubbio. Un’annessione illegittima perché avvenuta in base al principio della tutela delle minoranze al di fuori dei propri confini, superato da 50 anni. Fin dall’atto finale di Helsinki (l'atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa che si è svolta nel 1975, ndR).

La vicenda Ucraina resta al centro delle tensioni internazionali.

Comunque la si voglia guardare, l’annessione della Crimea c’è stata e la modifica dei confini ucraini è avvenuta. Ma anche l’accordo Minsk 2 è stato violato più volte. Adesso le parti si scambiano accuse reciproche, ma non c’è alcun dubbio che i ribelli del Donbass siano massicciamente assistiti da formatori militari e armamenti inviati dalla Russia. Dire che le rivolte sono spontanee significa nascondersi dietro una foglia di fico. Questa è una crisi di proporzioni enormi. Una situazione da non sottovalutare, che avviene proprio nel cuore dell’Europa.

Le decisioni prese dall’ultimo G7 in Baviera sono piuttosto dure nei confronti della Russia. Si ipotizza l’introduzione di nuove sanzioni economiche. 

In questo quadro di riferimento è assolutamente condivisibile la decisione uscita dal G7. Bisogna rimanere convinti della necessità di ricostruire un sistema di sicurezza europeo, oggi scardinato dalla vicenda ucraina. Si deve essere fermi sulle regole e attivi sul piano diplomatico. Per l’Europa diventa preoccupante la presenza e la concentrazione di armamenti. Penso all’Ucraina, appunto. Ma anche ai Paesi baltici, allo spiegamento di forze in Polonia. È importantissimo riavviare il dialogo tra l’Alleanza atlantica, l’Europa, la Russia. Con un chiaro obiettivo: tornare a una riduzione concordata degli armamenti convenzionali. Aspetti di “hard security” che devono essere al centro della nostra attenzione. 

L’esito del G7 non sembra proprio l’inizio di una nuova fase di dialogo.

Perché avvenga una ripresa di rapporti seri e amichevoli tra i paesi occidentali e il mondo russo è importantissima la coesione degli europei. La pace si costruisce solo con serietà e coerenza. So che molti soffrono per le sanzioni economiche alla Russia. Ed è evidente che bisogna fare di tutto perché queste sanzioni finiscano. Però mi ha molto colpito una frase del presidente Obama: «È la leadership russa che deve decidere se concentrarsi su un’economia che sta andando male, anche grazie al suo crescente isolazionismo, oppure far dipendere le sue aspirazioni di grandezza dalla violazione dell’integrità dei paesi vicini».

Ma il rischio di una guerra fredda è davvero vicino?

La situazione è molto delicata. Lo si può notare dal numero impressionante di violazioni dello spazio aereo e dai test di armi tattiche. La zona grigia può diventare zona rossa? Personalmente non posso neppure immaginare un incidente tra le forze dell’Alleanza atlantica e quelle russe. Ma la caduta di molte delle reti di sicurezza costruite con difficoltà negli ultimi 50 anni rappresenta un grande problema. 

Era ipotizzabile una crisi internazionale così improvvisa?

In realtà già nel 2008, ben prima della crisi georgiana, era accaduto qualcosa a Bucarest. Il presidente Putin partecipò, controvoglia e con atteggiamento chiaramente polemico, al consiglio Nato-Russia. Al vertice si discutevano tre o quattro dossier che non erano proprio il massimo per rasserenare i rapporti. Ricordo ad esempio il tema della difesa antimissile o i rapporti con Ucraina e Georgia. Con la solita determinazione, Putin non nascose le sue critiche. Alla fine non si riuscì neppure ad accordarsi su una dichiarazione congiunta. Come vede, già allora erano evidenti i prodromi di un atteggiamento russo che vede l’Occidente come un elemento di minaccia. E già allora la Russia aveva iniziato a modificare la sua dottrina strategica, accelerando l’ammodernamento delle sue forze armate e valutando il principio di tutela delle sue minoranze all’estero. Peccato che noi occidentali non ci abbiamo mai creduto veramente. L’abbiamo sempre considerata una politica declaratoria, utile al presidente russo per rafforzare la sua leadership sul fronte interno.

Pochi giorni fa l’Italia era presente al G7 che ha minacciato nuove sanzioni contro la Russia. Oggi il presidente Putin è in visita nel nostro Paese. La diplomazia prevede anche simili giravolte?

Ricordo una vicenda curiosa. All’inizio della crisi ucraina il Corriere della Sera pubblicò una pagina dove venivano presentati i paesi favorevoli e contrari alle sanzioni economiche contro la Russia. Secondo quando apprendevano i corrispondenti a Washington, l’Italia era considerata tra i favorevoli. Stando alle notizie raccolte al Cremlino, eravamo considerati anche tra i contrari. Insomma, eravamo l’unico Paese ad essere presente in entrambe le liste. È esattamente questo il rischio che corriamo: conteremo sempre meno quanto più cercheremo di fare i furbi. Paradossalmente in questa vicenda il danno è doppio. Perché oltre a perdere credibilità, perdiamo anche dal punto di vista economico, visto che le nostre imprese sono costrette a rispettare rigorosamente le sanzioni contro la Russia. E una situazione simile accade con l’Iran. 

Oggi Putin è in Italia, pochi giorni fa ha definito i suoi rapporti con il nostro Paese particolarmente speciali. Ma allora qual è il nostro ruolo?

Sono rapporti assolutamente privilegiati, che affondano nella storia e in una comune cultura formidabile. Io sono bergamasco. Lei sa che molti palazzi imperiali di San Pietroburgo sono stati realizzati da un mio concittadino, l’architetto Giacomo Quarenghi? Parlando di energia, poi, i nostri Paesi hanno un legame che dura dagli anni Cinquanta. Ma non dobbiamo dare la percezione che questi rapporti speciali possano staccare il vagone Italia dal treno degli altri Paesi occidentali. Sul piano della sicurezza, quello prioritario, non possiamo che essere ancorati al mondo occidentale.

Una sua valutazione su come il governo sta gestendo la partita internazionale con la Russia?

Se guardo ai contenuti delle azioni che l’Italia sta portando avanti sono molto preoccupato. Siamo troppo timidi nei rapporti con la Russia e più in generale nella costruzione di un’Europa più coesa. Mi riferisco in particolare al progetto di un’Ue dell’energia, lanciato per primo da Donald Tusk. Oggi la Russia esporta il 60 per cento del suo gas verso l’Europa, mentre l’Europa importa il 30 per cento della sua energia dalla Russia. Una considerazione puramente empirica dimostra che, se coordinato e ben informato, l’acquirente può avere una maggior capacità negoziale rispetto al fornitore. Invece nel nostro caso il fornitore continua ad agire da monopolista. Non solo. L’Italia paga il gas russo il 15-20 per cento in più rispetto alla media degli altri acquirenti europei. Di fatto è un’ulteriore Iva per le nostre aziende e i nostri consumatori. Non crede che dovremmo essere proprio noi in prima fila per avviare il progetto di un’Europa dell’energia? 

Intanto alcune realtà politiche italiane si schierano al fianco del presidente russo. È il caso del leader leghista Matteo Salvini, ma anche del Movimento Cinque Stelle. Pochi giorni fa sul blog di Beppe Grillo c’era un post: “Putin circondato”. 

Nel nostro Paese c’è un antiamericanismo dilagante. Credo sia questa la chiave per raccontare questa realtà. Si concretizza nel sostegno a Putin, ma a volte anche nei confronti di Assad (Bashar al-Assad, il presidente siriano, ndR). Nel suo Paese è responsabile della morte di oltre 300mila persone, ci sono almeno 10 milioni di sfollati. Ma qualcuno lo apprezza per la sua lotta al terrorismo. È un atteggiamento diffuso: un senso di fastidio verso tutto ciò che rappresentano l’America e Obama.

Ma è un atteggiamento che a livello elettorale paga?

In termini elettorali tutto quello che è nuovo può sembrare redditizio. Secondo me questa impostazione ci danneggia solamente. Quale sarebbe la strategia? Anche in Francia il Front National teorizza un’alleanza con la Russia. Però nessuno chiarisce quali sono le prospettive. Il Cremlino è palesemente molto attivo sul piano della comunicazione nei paesi occidentali. Pubblicano grandi inserti sui giornali, finanziano think tank, Ong. E va benissimo, la libertà di informazione è anche questa. Ma fa male vedere che le Ong presenti a Mosca e finanziate dal mondo occidentale sono considerate fuori legge. Potrei parlare del rapporto di Putin con l’opposizione interna, dei diritti degli omosessuali in Russia. Mi spiace, una politica estera corretta non può far finta che certe diversità non esistano.

Il confronto di Putin con il Papa può aiutare a riaprire un dialogo?

Come hanno spiegato Raul Castro e il presidente Obama, la Santa Sede ha avuto un ruolo estremamente importante nella svolta positiva della vicenda cubana. La personalità di Papa Francesco gode di un’enorme autorevolezza internazionale. Quello di Putin in Vaticano sarà un incontro di grande sostanza, forse potrà fornire elementi di cambiamento. 

 

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