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martedì 28 aprile2015

 

Il corpo di Giovanni Lo Porto sia restituito alla famiglia

 

Giovanni Lo Porto, 39 anni, era originario dello Sperone, uno dei quartieri più difficili di Palermo: fino all’ultimo ha portato a casa tutto quello che riusciva a guadagnare per aiutare la famiglia. Era andato via di casa a 18 anni perché sognava di portare pace e conforto nelle città martoriate dalle guerre.

Aveva iniziato lavorando e studiando: era andato in Croazia e poi a Londra dove aveva conseguito le sue lauree alla London Metropolitan University. Poi era volato anche in Giappone, dove si era ulteriormente specializzato in “conflitti e pace”. Qualche anno fa aveva iniziato a cooperare con le Ong, prima in Pakistan, poi ad Haiti, e poi di nuovo in Pakistan.

Cooperanti come lui sono i migliori eredi della Resistenza, a loro modo sono i nuovi partigiani. Lavorano sui nuovi fronti, combattono nuove forme di manipolazione delle coscienze, antiche ignoranze.

Giovanni era stato rapito da quattro uomini armati nel gennaio di tre anni fa nella provincia del Punjab, tra Pakistan e Afghanistan: si trovava là per aiutare a ricostruire le case in una zona devastata da un’alluvione.

I media si sono scarsamente interessati di lui in questi anni di prigionia, eppure era stato citato, assieme a padre Paolo Dall’Oglio rapito in Siria e al medico Ignazio Scaravilli scomparso in Libia, dal Presidente Mattarella nel suo discorso di insediamento.

Lo scorso 24 aprile, durante l'informativa del ministro degli Esteri sulla sua uccisione, l'aula è rimasta vergognosamente deserta. Già troppo silenzio ha accompagnato questa vicenda. 

È importante che l'Italia, adesso, pretenda formali chiarimenti dal governo americano, tanto per l'uccisione quanto per la ritardata comunicazione. 

Ed è fondamentale, soprattutto, che il governo si adoperi per riportare a casa il corpo di Giovanni, come chiedono i suoi familiari.

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