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nov 9th, 2015

 

Aung San Suu Kyi stravince, è la svolta democratica.

di Enrico Oliari

 

Alle prime elezioni libere della Birmania, dopo mezzo secolo di dittatura militare, è vittoria con il 70% dei consensi del premio Nobel Aung San Suu Kyi, la quale, avendo superato il 67% dei voti (i militari hanno tenuto per loro il 25% dei seggi) potrebbe diventare premier del paese e formare il primo governo realmente democratico.

Il condizionale è d’obbligo, poiché la Costituzione del paese, cucita apposta su San Suu Kyi, prevede che chi abbia contratto matrimonio ed abbia figli con doppia cittadinanza non possa  governare. La leader della Lega per la democrazia è vedova del britannico Michael Aris, ed i figli Alexander e Kim hanno anche cittadinanza britannica.

Htay Oo, presidente dell’Usdp, il partito del presidente birmano Thein Sein, ha ammesso la sconfitta dichiarando che “Dobbiamo capire le ragioni per cui abbiamo perso”, “In ogni caso accettiamo il risultato senza alcuna riserva”. Un gesto che, insieme al riconoscimento espresso dalla Cina, potrebbe tenere lontano il rischio di un golpe militare o  scongiurare ciò che avvenne come nel 1990, quando, nonostante Aung San Suu Kyi avesse vinto le elezioni, le era stato impossibile prendere il potere.

Resta il neo della minoranza musulmana perseguitata rohingya, alla quale sono stati ritirati i documenti di identità provvisori impedendone il diritto di voto. Le elezioni non si sono inoltre potute tenere in alcune zone del paese dove militari e milizie popolari sono in guerra con una miriade di gruppi etnici e paramilitari: Esercito Unione Federale alle Forze Armate Kawthoolei, Esercito Stato Shan alla Milizia etnica dei Kokang, Ribelli Shan del Myanmar del Fronte Pace e Democrazia, Armata Mong Tai,  Esercito Rivoluzionario Zomi, Fronte Democratico di Tutti gli Studenti della Birmania, Esercito di Liberazione Nazionale Chin, al-Qaeda nel Sub continente indiano, tanto per citarne alcuni.

Laureatasi nel 1967 a Oxford in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia, Aung San Suu Kyi si trasferì poi a New York dove ha lavorato presso le Nazioni Unite. Rientrata in Birmania nel 1988 per assistere la madre ammalata, la pasionaria diede vita alla Lega nazionale per la democrazia, ispirata alla filosofia del Mahatma Ghandi. L’anno dopo venne condannata per la prima volta agli arresti domiciliari, con la condizione formulata dai militari che le sarebbero stati revocati nel momento in cui avesse lasciato il paese, proposta che San Suu Ky rifiutò.

Nel 1991 vinse il premio Nobel per la Pace e usò i soldi del premio per costituire un sistema sanitario e di istruzione a favore del popolo birmano, e nel 1995 le vennero revocati gli arresti domiciliari. Il 30 maggio 2003, mentre era a bordo di un convoglio con numerosi sostenitori, un gruppo di militari aprì il fuoco e massacrò molte persone, e solo grazie alla prontezza di riflessi del suo autista, Ko Kyaw Soe Lin, riuscì a salvarsi, ma fu di nuovo messa agli arresti domiciliari. Da quel momento la sua salute andava peggiorando, tanto da richiedere interventi e ricoveri.

Evasa nel 2007 dagli arresti domiciliari, nel 2010 venne condannata a tre anni di lavori forzati, commutati dalla Giunta militare in 18 mesi di arresti domiciliari. Nel 2010 venne finalmente liberata e nel 2012 alle elezioni ottenne un seggio in parlamento.

Molti i riconoscimenti per la pace e per la lotta per i diritti umani, dalla Medaglia d’oro del Congresso Usa alla laurea honoris causa in Filosofia all’Università di Bologna.

Se Aung San Suu Kyi prenderà effettivamente il potere, erediterà un paese poverissimo, con intere zone senza energia nonostante il paese sia uno dei primi produttori di gas e di petrolio.

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