Originale: Jacobin Magazine

http://znetitaly.altervista.org

7 novembre 2015

 

La politica con altri mezzi

di Arundhati Roy

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Arundhati Roy spiega perché restituisce il suo Premio Nazionale alla massima istituzione letteraria dell’India

 

Anche se non credo che i premi siano una misura del lavoro che facciamo, vorrei aggiungere il Premio Nazionale per la migliore sceneggiatura che ho vinto nel 1989, alla pila crescente dei premi già  restituiti. Voglio anche chiarire che non restituisco questi premio perché sono “sconvolta” da quella che viene chiamata la “crescente intolleranza” incoraggiata dal nostro governo.

Prima di tutto, “intolleranza” è la parola sbagliata da usare per i linciaggi, le sparatorie, i roghi e gli omicidi di massa di esseri umani come noi. Secondo, abbiamo avuto tanti preavvisi di quello che c’era in serbo per noi – quindi non posso affermare di essere sconvolta da quello che è avvenuto dopo che questo governo è stato entusiasticamente mandato al potere con una maggioranza schiacciante. Terzo, questi orribili omicidi sono soltanto un sintomo di un malessere più profondo. La vita è anche un inferno per chi ci vive. Intere popolazioni – milioni di dalit, adivas, musulmani, cristiani sono costretti a vivere ne terrore, senza sapere quando e da dove attiverà l’attacco.

Oggi viviamo in un paese i cui quando gli scagnozzi e i burocrati  del Nuovo Ordine parlano di “eccidio illegale”  si riferiscono alla mucca immaginaria che è stata uccisa, non all’uomo reale che è stato assassinato. Quando parlano di prendere dei “reperti per l’esame della polizia scientifica” dalla scena del crimine, si riferiscono al cibo nel frigorifero, non al corpo dell’uomo che è stato linciato.

Diciamo di avere fatto progressi, ma quando i dalit vengono massacrati e i loro figli vengono bruciati vivi, quale scrittore oggi può dire liberamente, come ha fatto una volta Babasaheb, che “Per gli Intoccabili l’induismo è un’autentica camera degli orrori,”  senza che venga poi attaccato, linciato, colpito da un’arma da fuoco, o messo in prigione? Quale scrittore può scrivere ciò che Saadat Hassan scrisse nella sua Letter to Uncle Sam [ “Lettera allo zio Sam”]?

Non importa se siamo d’accordo o in disaccordo con quello che si sta dicendo. Se non avremo il diritto di parlare liberamente ci trasformeremo in una società che soffre di malnutrizione intellettuale, una nazione di cretini. In tutto il subcontinente indiano è diventata una corsa una competizione al ribasso in cui  è entrata entusiasticamente la Nuova India. Anche in questo caso la censura è stata data in appalto alla feccia.

Sono molto contenta di avere trovato (da qualche parte nel lontano passato) un Premio Nazionale che posso restituire perché mi permette di fare parte di un movimento politico iniziato da scrittori, cineasti, e accademici di questo paese che si sono sollevati contro una specie di perversione ideologica e di assalto contro il nostro Quoziente Intellettivo,  che ci farà a pezzi e ci seppellirà molto profondamente se  non scenderemo in campo contro di essa adesso.

Credo che quello che gli artisti e gli intellettuali stanno facendo adesso, non ha precedenti e non ha un parallelo storico. E’ politica fatta con altri mezzi. Sono molto orgogliosa di farne parte e mi vergogno tanto di quello che accade oggi in questo paese.

Per la cronaca, ho rifiutato il Premio della Sahitya Akademi nel 2005 quando il Partito del Congresso era al potere. Risparmiatemi, quindi, per piacere quel vecchio dibattito sul contrasto tra il Partito del Congresso e il Partito Bharatiya Janata. Si è andati molto oltre tutto questo. Grazie.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/politics-by-other-means

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