Fonte: il manifesto

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8 novembre 2015

 

Un mondo prigioniero del Walmart

di Roberto Ciccarelli

 

Il denaro, il debito e la dop­pia crisi di Luciano Gal­lino (Einaudi, pp. 200, 18 euro) è la terza parte di una ricerca sulle ori­gini della crisi e le poli­ti­che dell’austerità che si pre­senta sotto la forma con­fi­den­ziale di una lunga let­tera ai nipoti e uno spie­tato j’accuse con­tro la classe poli­tica più igno­rante e inca­pace in Europa: quella italiana.

La scrit­tura di Gal­lino è come un die­sel: è tesa come una corda di vio­lino verso un appello al futuro; con un mar­tello col­pi­sce tutti i luo­ghi comuni ideo­lo­gici mone­ta­ri­sti e i grot­te­schi tic discor­sivi di una malin­tesa moder­nità che diven­tano armi della poli­tica neo­li­be­ri­sta e auste­ri­ta­ria; giunge infine al giu­di­zio poli­tico che si fa mor­dace ope­ra­zione di com­bat­ti­mento dia­let­tico con­tro l’oligarchia al potere.

La tri­lo­gia com­po­sta da Finan­z­ca­pi­ta­li­smo e da Il colpo di Stato di ban­che e governi, da leg­gere insieme a libri come Attacco allo stato sociale e Vite rin­viate, lo scan­dalo del lavoro pre­ca­rio, trova un com­pi­mento nella defi­ni­zione dei linea­menti del «pen­siero cri­tico», oscu­rato e rimosso dalle riforme della scuola e dell’università Moratti-Gelmini e imba­stite da quel con­cen­trato di idio­zie mer­can­ti­li­sti­che della legge «di sini­stra» Berlinguer.

 

Una morale casalinga

«La con­ce­zione dell’essere umano per­se­guita con dram­ma­tica effi­ca­cia dal pen­siero neo­li­be­rale — scrive con fero­cia Gal­lino — ha lo spes­sore morale e intel­let­tuale di un oro­lo­gio a cucù». Ne emerge il ritratto della stu­pi­dità delle nuove classi domi­nanti. La stu­pi­dità è il risul­tato morale e intel­let­tuale di chi ha assunto acri­ti­ca­mente l’idea della fun­zione gover­na­men­tale della finanza e delle ban­che; del verbo divino di teo­rie eco­no­mi­che smen­tite dalla vio­lenza della crisi nel 2008; della morale della «casa­linga sveva» Angela Mer­kel che «spende sol­tanto quel che incassa e non fa debiti».

Stu­pido, oggi, è con­fon­dere le ori­gini della crisi, adde­bi­tan­dole all’aumento della spesa sociale (che invece dimi­nuirà di 17 miliardi in Ita­lia fino al 2019) e non alla crisi ban­ca­ria che si finan­zia suc­chiando la risorse dal lavoro vivo, dal Wel­fare, dall’ecosistema e dalla vita. «Non è la spesa sociale, bensì la spesa per inte­ressi a stran­go­lare il bilan­cio pub­blico e a limi­tare il ruolo dello Stato nell’economia pro­dut­tiva» scrive Gallino.

Nel libro sono rico­struiti i pas­saggi base dall’ancora breve, ma effe­rata espe­rienza di governo di Mat­teo Renzi e del suo Pd-partito della Nazione. Si pro­cede per casi, con dati e pro­spet­tive. Pren­diamo il Jobs Act: «All’epoca i disoc­cu­pati erano oltre 3 milioni, i gio­vani senza lavoro sfio­ra­vano il 45%, il Pil aveva perso 10–11 punti – ricorda iro­ni­ca­mente Gal­lino – E che fa il governo? Intro­duce nuove norme per faci­li­tare il licen­zia­mento ripren­dendo idee dell’Ocse vec­chie di vent’anni. Come non con­clu­dere che siamo dinanzi a casi con­cla­mati di stupidità».

Il ren­ziano medio, in for­mato social net­work e da gior­nale «intel­li­gente», rispon­derà con la pozione magica: siete gufi, oggi c’è la cre­scita, l’occupazione svetta anche se non ancora abba­stanza, il pil aumenta, le imprese assu­mono con gli sgravi pagati dallo Stato. Il libro di Gal­lino è un cac­cia­vite per smon­tare que­sta corazza di sta­gno. Ciò che aumenta è il lavoro pre­ca­rio; il sot­to­sa­la­riato, la pau­pe­riz­za­zione delle classi medie, le nuove forme di povertà.

È il modello «Wal-Mart»: si acqui­stano merci a basso prezzo con salari mise­ra­bili e lavoro a ter­mine. Gal­lino rac­conta il mondo di milioni di wor­king poors che, almeno in Ita­lia, non hanno nem­meno il sala­rio minimo, né il red­dito minimo. Misure che altrove per­met­tono un livello di soprav­vi­venza e, in Inghil­terra, sono con­tra­state dalle imprese per­ché il con­ser­va­tore Came­ron ha deciso di aumen­tre il sala­rio minimo in cam­bio della distru­zione defi­ni­tiva del Wel­fare. Chi è povero, o lavora, deve con­ti­nuare a vivere in maniera inde­gna. E morire peg­gio. Senza pen­sione né tutele. E, se pro­prio ne ha biso­gno, le com­pra. Que­sta è la legge, oggi.

Quello di Renzi è il «quarto governo del disa­stro» in Ita­lia, dove la crisi è la peg­giore di tutti i paesi euro­pei, dopo quella greca. «Hanno mani­fe­stato la mag­giore inca­pa­cità di governo dell’economia» scrive il socio­logo tori­nese. E in più si avviano, a grandi passi, feli­ce­mente acce­cati, verso la cata­strofe di un’economia della sta­gna­zione dove i pro­fitti cre­sce­ranno a dismi­sura e non esi­sterà un metro per misu­rare le disu­gua­glianze così prodotte.

Schiavi del mini-job

Nel nostro paese il «modello Wal Mart» è stato adat­tato a quello tede­sco, «uno dei paesi più inu­mani al mondo», com­menta Gal­lino. Con le «riforme» dei social­de­mo­cra­tici di Schroe­der ha pro­dotto dieci milioni di schiavi con i mini-job e una società della «mode­ra­zione sala­riale» che ha tagliato gli sti­pendi del 20%, peg­gio­rando la domanda e favo­rendo la ten­denza alla defla­zione in tutta Europa. Quella che Dra­ghi sta com­bat­tendo con il QE per le ban­che e la bolla dei titoli di stato, dopo averla prodotta.

Un’alternativa è ardua da costruire in que­ste con­di­zioni. La stu­pi­dità del potere domina e pro­li­fera tra i subor­di­nati. «Pen­sa­toi neo­li­be­rali lavo­rano giorno e notte per fab­bri­care un con­senso col­let­tivo intorno alla demo­li­zione dello stato sociale» ricorda Gal­lino. La «dop­pia crisi» del capi­ta­li­smo, finan­zia­ria e eco­lo­gica, è rimossa, men­tre si aspira alla vec­chia, irrea­liz­za­bile, cre­scita illi­mi­tata dei consumi.

Biso­gna costruire, per tutta la pros­sima gene­ra­zione, le «fab­bri­che del dis­senso». Le idee ci sono, ispi­rate a un «socia­li­smo eco­lo­gico» o a un «socia­li­smo demo­cra­tico», lo defi­ni­sce Gal­lino: riforma della finanza, rot­tura con il cen­tri­smo neo­li­be­rale che uni­sce destra e sini­stra, riuso intel­li­gente del neo­key­ne­si­smo per il popolo, e non per la finanza. «Non sarà un supe­ra­mento totale del capi­ta­li­smo, come forse sarebbe neces­sa­rio – con­clude Gal­lino – ma un modo rea­li­stico per ten­tare una volta ancora di sot­to­porlo a un grado ragio­ne­vole di con­trollo demo­cra­tico». Resta da capire se la ragio­ne­vo­lezza basterà per resi­stere alla sfida mor­tale di que­sto capitalismo.

 

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