Originale: Jacobin Magazine

http://znetitaly.altervista.org/

25 febbraio 2015

 

Un genere diverso di stato

di Leo Panitch

traduzione di Giuseppe Volpe

 

La posizione di Syriza è tutt’altro che invidiabile. Ha assunto il potere in un paese nella morsa della depressione economica, spaccato da reti oligarchiche e, per ora, ancora alla mercé delle istituzioni internazionali. Ciò nonostante è il primo governo europeo di sinistra radicale a memoria d’uomo e un governo le cui azioni possono non solo trasformare la Grecia, ma serviranno da punto di riferimento per la sinistra internazionale.

Syriza ha fatto ciò contro cui alcuni appena recentemente hanno ammonito la sinistra: ha assunto il potere statale. Leo Panitch ha sempre sostenuto, al contrario, che la sinistra non dovrebbe temere di assumere il potere; in effetti dovrebbe organizzarsi per penetrare lo stato, pur restando consapevole dei pericoli. Nel corso degli anni ha scritto estesamente a proposito dello stato, del suo ruolo nelle trasformazioni contemporanee del capitalismo e della strategia socialista.

Qui il giornalista e ricercatore canadese Michal Rozworski parla con Panitch delle difficoltà di operare entro limiti politici tentando contemporaneamente di trascenderli, del ruolo della solidarietà internazionale e dell’importanza dell’organizzazione politica.

L’intervista ha avuto luogo giovedì scorso, solo un giorno prima che la Grecia firmasse un accordo con l’Eurogruppo per prorogare, con modifiche, per quattro mesi il suo attuale programma di salvataggio. L’intervista è stata condensata e rivista a fini di chiarezza.

***

Come valuta il modo in cui si sono sviluppati i negoziati? Come sta reagendo a Syriza l’Europa?

Questo, naturalmente, è molto importante. I greci hanno pochissimo spazio di manovra: in termini della loro capacità di collocamento di titoli sul mercato obbligazionario mondiale, in termini di prelevamenti dai conti bancari da parte degli armatori e delle imprese greche, che potrebbero far presagire una corsa agli sportelli. E’ qualcosa che pende quotidianamente sulla loro testa, che potrebbe causare notti insonni a chiunque sia responsabile di un governo.

Come se non bastasse, sono impegnati a rimanere in Europa. I leader di Syriza sono molto europeisti e non hanno intenzione di lasciare l’Europa. Dunque questi negoziati sono davvero importanti per loro.

Giusto, non è semplicemente questione di un qualche oscura strategia teorica di gioco.

No, no, da anni – non solo da quest’anno – è mia opinione che se Syriza entra nel governo arriverà solo sin dove gli europei la lasceranno arrivare per quanto riguarda la crisi delle finanze greche nell’arena internazionale. E’ una crisi molto grave perché anche se cercheranno di accrescere la loro capacità fiscale, e sperabilmente introdurranno un’imposta patrimoniale, il pericolo è che ciò provocherà una maggior fuga di capitali. E se introdurranno controlli sui capitali, quale prezzo dovrebbero pagare per questo agli europei? Sarebbero espulsi?

Ma, anche, dove troveranno i fondi per cercare di affrontare una disoccupazione giovanile tra il cinquanta e il sessanta per cento? Dove troveranno i fondi per il genere di investimenti pubblici necessari per affrontare i livelli di disoccupazione da era della Depressione che esistono in Grecia? Ciò che dovette essere fatto in Canada e negli Stati Uniti negli anni trenta fu un’enorme spesa pubblica per affrontare la cosa. Questo sono domande enormemente importanti e gli europei stanno davvero giocando duro.

E pare che, a tutt’oggi, Yanis Varoufakis abbia trasmesso ai ministri europei delle finanze una lettera che dà loro la forma verbale che vogliono. Questo significa realmente che onoreranno l’accordo precedente chiedendo, contemporaneamente, una sua proroga di altri sei mesi. Questo significa onorare i memorandum nei loro termini generali e l’austerità neoliberista che li condiziona.

Ora, questo non significa che non avranno spazio di manovra in termini di quando chiederlo e come chiederlo. Ma hanno concesso agli europei la forma verbale che questi richiedevano dopo che i negoziati si erano bloccati la settimana scorsa. E’ ancora possibile che la lettera sarà respinta per mancanza di fiducia nel governo di Syriza.

Penso di aver visto degli articoli secondo i quali il ministero delle finanze tedesco potrebbe respingerla totalmente.

Vedremo che cosa succederà esattamente. Io sono ancora dell’idea che questa dirigenza di Syriza si spingerà solo fin dove i leader europei glielo permetteranno.

La tragedia di ciò, ovviamente, è che, a parte la dimostrazione a Londra a sostegno di Syriza di cui ho letto la settimana scorsa, dove sta la sinistra europea? Non mi riferisco solo alla sinistra più vasta o più radicale, ma anche ai socialdemocratici. I socialdemocratici e i sindacati di sinistra dovrebbero ignorare i loro leader. Dopotutto i socialdemocratici tedeschi sono nel governo tedesco per grazia di Dio!

E Dijsselbloem, il ministro olandese delle finanze con cui Syriza sta trattando presso l’Eurogruppo dovrebbe essere anche lui un politico socialista; almeno socialista di nome, come lo si è nel sistema europeo.

Così come Hollande in Francia. Il problema al riguardo è che Hollande ha appena introdotto un bilancio d’austerità che promette alle imprese tutto ciò di cui hanno bisogno per essere pagate per investire. Dunque ciò che Syriza dice al riguardo la mette in cattiva luce.

Quale dovrebbe essere il ruolo della sinistra internazionale riguardo agli sviluppi in Grecia? Che cosa possiamo non solo imparare ma quale genere di sostegno è possibile offrire per influenza la situazione dall’esterno?

Beh, non c’è moltissimo che la sinistra vasta possa fare, sfortunatamente, perché dispone di così scarsi veicoli politici. Non penso che le dimostrazioni farebbero male, specialmente se potessero essere in numeri considerevoli. Dovremmo fare il genere di lavoro mediatico che state facendo voi; dovremmo anche cercare di far arrivare il più possibile nella stampa tradizionale.

Dovremmo contestare le democrazie occidentali per la loro ipocrisia; contestarle nella misura in cui dicono che fintanto che uno si attiene alle regole è eletto. “I socialisti possono essere eletti” è la linea che ci indicano, e noi dovremmo davvero insistere su questo.

A parte ciò, io penso che davvero non dobbiamo trattare la Grecia come troppo spesso la sinistra tratta i governi sui quali ripone speranze.  Negli anni ’30 Sidney e Beatrice Webb, Fabiani inglesi che non erano poi tanto di sinistra, si recarono in Unione Sovietica e dissero “Ho visto il futuro, e funziona”, perché c’era piena occupazione.

E si era al culmine dei processi farsa a Mosca. Troppi dall’occidente si sono recati in Bolivia o in Venezuela o ai Social Forum in Brasile, dove, non sapendo nulla dei bilanci partecipativi, sono state dette loro due o tre cose al riguardo e quando sono tornati hanno detto “Ho visto il futuro, e funziona”.

Ciò è ingenuo. E’ quella che chiamo mentalità del culto della nave da carico, in cui qualsiasi imbarcazione uno vede all’orizzonte con la scritta “Socialismo” sulle vele è trattata come l’arrivo del Messia. Non dovremmo comportarci così. Dovremmo guardare alla Grecia con tutti i suoi problemi e tutti i suoi limiti.

Dovremmo cercare di apprendere lezioni da come hanno costruito un partito simile nel corso di due, tre decenni, ma anche dai limiti in cui si stanno imbattendo non che dai compromessi in cui potrebbero incorrere. Ciò include l’abbraccio del parlamentarismo che mina il loro radicalismo; dobbiamo osservare questo.

La Grecia è uno stato molto specifico: ha avuto una giunta militare, ha ottenuto la democrazia negli anni ’70 ed è tuttora dilaniata dal clientelismo e dalle reti ereditate dai vecchi tempi. Come interagiscono le specificità dello stato greco con il programma più radicale di Syriza e quali sono le contraddizioni e i limiti?

A un certo livello – nella misura in cui Syriza rappresenta la sinistra greca che non è mai stata assorbita nello stato greco – quando ha promesso riforme si può coltivare la speranza che intendesse farlo. Il programma del Pasok del 1980 era radicale. Tuttavia il partito si è dato allo stesso schema di clientelismo e paternalismo a proprio vantaggio.

Penso che possiamo coltivare una speranza molto maggiore – che persino i poteri forti d’Europa possano avere più speranza – che quando un governo di Syriza promette riforme, quelle che intende per riforme strutturali, si spera, non sono mercati flessibili del lavoro bensì la creazione di un sistema basato sulla legge con una burocrazia relativamente onesta. Spererei, d’altro canto, che non si trasformerebbe nel genere di efficiente burocrazia statale capitalista efficiente che conosciamo in altri paesi capitalisti avanzati.

Spererei che sarebbe molto più aperto e democratico. Spererei che si tratterebbe di persone nominate nello stato greco che considererebbero loro ruolo organizzare i non organizzati, promuovere una democratizzazione dello stato e della società più piena di quella che conosciamo. Ciò non renderà granché felici i poteri forti d’Europa, ma si spera che sarebbero questi i tipi di interventi creativi cui s’impegnerebbero tentando contemporaneamente di creare uno stato di diritto, onesto ed efficiente.

C’è qualcosa di significativo nel fatto che questo è accaduto in Grecia, che ha sperimentato una depressione economica conclamata? Questo genere di creatività e di radicalismo è possibile solo nel contesto di gravi problemi economici? E’ questo che dovremmo attenderci?

Crisi economiche gravissime non necessariamente producono questo tipo di creatività politica o di sostegno popolare a essa. In una crisi le persone si spaventano, anche, e si chiudono in sé stesse, non vogliono mandare tutto all’aria, eccetera.

Penso realmente che l’occasione per questo venga da un mucchio di pazienza da parte della sinistra greca e di costruzione istituzionale da parte di Syriza, questa coalizione della sinistra radicale, che risale in realtà fino agli anni ’80. Questa dovrebbe essere una lezione per noi in termini di superare la protesta, cosa in cui la sinistra è stata prevalentemente abile e impegnata nell’ultimo decennio o negli ultimi quindici anni.

Dovremmo ricominciare a prestare attenzione alla necessità di organizzazione politica, di organizzazione di un partito politico. Anche se non sembra produrre risultati in termini elettorali, implica la costruzione del genere di infrastruttura che potrebbe alla fine metterci nella condizione, in altri paesi, di essere in grado di penetrare lo stato. Penso sia questo che dimostra l’esempio di Syriza.

Quanto creativa essa sarà, è un’altra questione. Non sono sicuro se questa crisi le darà spazio per esserlo. Questo deve essere osservato con grande attenzione.

Quali sono le lezioni che possiamo ricavare dalla Grecia – lei ha già accennato all’organizzazione – e come si applicherebbero al contesto canadese o al contesto di paesi che non hanno vissuto lo stesso livello di crisi e distorsione?

Quello che ho detto prima e anche quello che lei sta sollevando sono la cosa principale: abbiamo bisogno di imparare che possiamo protestare fino alle calende greche e non cambieremo mai il mondo. Non si cambia il mondo senza prendere il potere, anche se il contrario è stato uno slogan molto popolare della sinistra alter-globalizzatrice ed è in una certa misura popolare nella sinistra ecologista (che Dio sa se sta facendo un lavoro magnifico con le sue proteste). Comunque, a parte i partiti Verdi che non sono molto radicali, gli ecosocialisti sono più impegnati nelle proteste che nella costruzione di un partito.

Dunque io penso davvero che dobbiamo prendere questo molto, molto sul serio. Per quanto tempo ci voglia, per quanto lento possa essere il processo, dobbiamo sviluppare le nostre capacità politiche. Ne abbiamo bisogno non solo per impegnarci nelle proteste, ma anche per cercare di sviluppare il tipo di organizzazione politica che possa non solo penetrare lo stato, ma possa anche affrontare la politica statale in modo serio.

Prendiamo la questione che lei ha sollevato a proposito dei negoziati con gli europei. La gente pensa che abbiamo il neoliberismo solo perché c’è un collettivo del pensiero neoliberista; gente che legge Hayek e lo caccia in gola ai politici. Non penso che prendiamo abbastanza sul serio le grandi difficoltà di gestire un governo nel capitalismo avanzato e che cosa significherebbe cercare di amministrare un governo socialista che in qualche modo trovi spazio di manovra per sfuggire alla fine al capitalismo avanzato.

Questa è roba seria e non sufficiente limitarsi a disprezzare i poteri forti come persone malvage, come liberomercatisti nelle mani di seguaci di Hayek. Questo è un tipo di politica che, ovviamente, sin troppo spesso è incoraggiato dagli intellettuali, specialmente dagli economisti radicali, che come i loro colleghi di destra pensano che le idee degli economisti governino il mondo.

Le idee degli economisti non governano il mondo. Sono usati dai politici quando affrontano le difficoltà che incontrano nel gestire il capitalismo. Dobbiamo staccarci da questo e fare davvero sul serio nel pensare a come programmare e anche a organizzare.

Penso che parallelamente a sviluppare l’organizzazione dobbiamo anche sviluppare un linguaggio.

E’ una cosa difficile e non sono sicuro sia fatta bene in nessun posto, ma penso che lei stia indicando la cosa giusta. Non è soltanto una questione di programma, e non è soltanto una questione di organizzazione; si tratta di imparare come parlare in modo popolare e tuttavia in un modo che sia, ciò nonostante, socialista.

Parlare in un modo che sia non soltanto anticapitalista, ma dia alla gente una convalida di una concezione socialista del gestire lo stato in modo diverso; non soltanto una questione di più stato o meno stato, ma di un genere diverso di stato. Non solo più mercato o meno mercato, ma un genere diverso di economia. E’ così che dobbiamo articolare un nuovo linguaggio politico.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/a-different-kind-of-state/