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06 marzo 2015

 

L’Ue ha imposto a Tsipras quanto gli Alleati pretesero dalla Germania alla conclusione del secondo conflitto mondiale: una resa incondizionata

di Alessandro Somma

 

Nella partita tra Grecia ed Europa, il capitano della squadra vincente, la Cancelliera tedesca, gioca sporco. Prima ha fatto in modo che l’estensione dei prestiti erogati dalla Troika non fosse negoziata con il governo di centrodestra, bensì dall’esecutivo presieduto da Alexis Tsipras: colui che aveva costruito la sua fortuna dichiarando di voler azzerare gli accordi alla base dei prestiti, quindi di voler terminare l’austerità e tornare a politiche di giustizia sociale. Poi ha imposto a Tsipras quanto gli Alleati pretesero dalla Germania alla conclusione del secondo conflitto mondiale: una resa incondizionata. Della serie: cari greci, se un governo di centrodestra realizza politiche neoliberali, qualcuno potrebbe pensare che si tratta di una libera scelta, se però lo stesso fa un governo di sinistra, è chiaro a tutti che la cabina di comando non è ad Atene.

Che alla Grecia non sia stato concesso neppure il goal della bandiera, è sotto gli occhi di tutti. Al Paese verrà esteso il programma di prestiti, ma alle medesime condizioni imposte dalla Troika: solo se si continuerà a ridurre la spesa sociale, solo se si procederà con le privatizzazioni e le liberalizzazione, e solo se si continuerà a precarizzare e sottopagare il lavoro.

Certo, leggendo i documenti ufficiali si ritrova qua e là un riferimento la tragedia umanitaria del popolo greco, e la necessità di finanziare un adeguato sistema di sicurezza sociale. Si tratta però di meri orpelli retorici, come la scelta di utilizzare l’espressione “istituzioni europee” in luogo di “Troika”. La sostanza, infatti, è un’altra: non solo il governo greco ha dovuto rinunciare a modificare i precedenti accordi, ma ha anche dovuto assicurare che i prestiti saranno utilizzati per ricapitalizzare le banche, e che l’eventuale avanzo di bilancio sarà destinato soprattutto a ripagare il debito. E’ chiaro che, a queste condizioni, sarà inevitabile un incremento delle politiche di austerità e una ulteriore contrazione di quelle volte a promuovere la giustizia sociale.

In questo modo si è compiuto un ulteriore passo lungo un percorso di uscita dalla crisi che presenta inquietanti analogie con quello intrapreso in conseguenza della Grande depressione del 1929: il percorso che in Europa ha portato all’avvento del fascismo. Disprezzando e umiliando il governo greco si è nei fatti invalidato l’orientamento espresso dal popolo greco con il suo recente voto, e dunque si è calpestato un fondamento primo dell’ordine democratico. Il tutto, come all’epoca del fascismo, per realizzare le riforme dell’ordine economico nel senso preteso dal mercato.

Cosa penseranno a questo punto i greci che hanno appena inteso dare fiducia a Tsipras, un leader che parla di giustizia sociale come fondamento per l’Europa, e non come obbiettivo raggiungibile solo nell’ambito di sistemi nazionali in lotta tra loro? Penseranno che la democrazia non serve a nulla, che l’unica soluzione è l’uscita dall’Euro, e vedranno nei neofascisti di Alba dorata, che da sempre la invocano, la forza politica del futuro. E lo stesso faranno gli altri popoli europei, che sempre più si rivolgeranno ai Mattei Salvini e alle Marie Le Pen di turno.

E’ penoso osservare come a questo risultato si sia giunti con il fondamentale contributo proprio di quei Paesi che, come la Grecia, hanno già sperimentato il fascismo: l’Italia, il Portogallo e la Spagna. Questi ultimi, dopo aver subito le politiche di austerità imposte da Bruxelles e spirate dai tedeschi, avrebbero finalmente potuto comporre il fronte dei Paesi sudeuropei, finalmente capace di fronteggiare un Nord Europa sempre più autoritario e sempre meno capace di rendere onore al motto dell’Unione europea: “unità nella diversità”. Invece nulla di tutto questo: si sono comportati come la vittima che diviene complice dei carnefici, come dei kapò.

E cosa dire dell’Italia? Il Premier del Belpaese aveva promesso durante il semestre di presidenza italiana dell’Unione l’Europa, ovvero nella seconda metà dell’anno appena trascorso, avrebbe ripudiato le politiche di austerità e perseguito finalmente politiche di sostegno alla crescita economica. Renzi è invece divenuto il paladino del pensiero neoliberale più virulento: quello per cui la crescita si ottiene solo affidandosi al mercato, alle sue modalità di redistribuzione della ricchezza. Il tutto coperto da una cortina fumogena di affermazioni a tratti esilaranti, come quella per cui sarebbe stato il Tsipras italiano.

L’Italia, in effetti, sta realizzando il programma della Troika senza che questa lo abbia formalmente imposto. Monti, in una recente intervista, ha avuto l’ardire di riconoscerlo, oltre che di affermare che, a suo dire, si sarebbero così evitati guai ben peggiori. Renzi, invece, preferisce predicare bene e razzolare male, mostrandosi agli occhi dell’Europa come ciò che molti tedeschi pensano sia il tipico italiano: un pagliaccio.