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16 giugno 2015

 

Il compleanno amaro di Schengen

di Francesco Manta

 

A trent’anni dalla nascita di uno degli accordi più rivoluzionari del XX secolo, complice anche la concomitanza del G7, l’Europa si dimentica dell’Italia e barrica le sue frontiere meridionali al passaggio dei migranti diretti nel nord Europa. La solidità europea si esaurisce in un “Alt!” sul confine, abbandonando al caos centinaia di disperati figli di quelle ex colonie che i loro “padroni” ora ripudiano, praticando un doppiogiochismo che danneggia lo spirito europeista stesso.

 

Ci si è disfatti del passaporto per andare da Berlino a Parigi, e si è detto addio alla dogana sull’autostrada valicando il Brennero. Tutto grazie ad un accordo sottoscritto il 14 giugno dell’85 in un villaggio lussemburghese, simbolicamente un crocevia nel cuore originario dell’Europa unita, che ha rivoluzionato la vita dei cittadini europei. A trent’anni da quel giorno, l’area Schengen comprende 22 Paesi membri dell’Unione Europea e quattro stati non membri aderenti, Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtenstein. Nell’immaginario comune si considera tale traguardo assolutamente irreversibile, data la portata rivoluzionaria del trattato, di cui quotidianamente percepiamo dei tangibili benefici di carattere economico e sociale, decisamente innegabile! Eppure c’è chi oggi mette in discussione l’utilità di mantenere aperte le frontiere all’interno dell’Europa, venendo meno a dei patti di solidarietà che mostrano degli evidenti punti deboli, come mai prima d’ora.

La “minaccia” odierna si chiama immigrazione, quel fenomeno fisiologicamente parte integrante della società umana, cui non è possibile attribuire un’origine storica, visto che da sempre l’uomo, per necessità di vario genere, ha sentito il bisogno di spostarsi da un luogo all’altro. Questo elemento assume connotazioni congetturate agli accadimenti economico-politici che sconvolgono il mondo, primi tra tutti l’indigenza, i totalitarismi, le guerre. L’Italia, configurandosi per posizione geografica come “Porta d’Europa”, primo porto sicuro dell’Occidente, è meta di transito per le migliaia di disperati che fuggono dal loro Paese d’origine alla ricerca di un barlume di speranza, talvolta tra le braccia dei loro cari giunti da tempo nelle città del Vecchio Continente, altre volte per semplice desiderio di liberazione dalle nefaste condizioni di vita che si trovano a sopportare. Oggi tutto ciò è divenuto più difficile perché l’Italia, sud d’Europa, resta isolata ed esclusa per volontà di quei Paesi che arbitrariamente decidono di barricarsi, chiudono le proprie frontiere e negano agli accordi di Schengen dei degni festeggiamenti. La gendarmeria francese sulla frontiera di Ventimiglia blocca il passaggio a 200 individui, la polizia austriaca che respinge oltre confine a Tarvisio decine di persone, le situazioni oltre il limite della decenza nelle stazioni di Milano Centrale e Roma Tiburtina, dove sono accampate rispettivamente 500 e 200 persone in condizioni igienico-sanitarie riprovevoli, in attesa che la situazione si sblocchi. L’Europa tace e giustifica l’oltraggiosa temporanea sospensione di Schengen con motivi di sicurezza legati allo svolgimento del G7 in Baviera, respingendo al mittente le accuse di negligenza formulate dai vertici politici italiani. D’altro canto, secondo gli accordi di Dublino, il rifugiato politico ha diritto a presentare domanda di asilo nel Paese di approdo ed in attesa dell’esito, positivo o negativo che sia, non gli è concesso di lavorare, relegato in un centro di accoglienza a carico dello stato ospitante. È così che i “fratelli” europei si lavano le mani del problema, pagando il biglietto del treno a questi poveracci spedendoli in Italia, pur giunti altrove, perché un viaggio costa meno di un mantenimento a medio-lungo termine.

Non sono i numeri a creare disagio, in valore assoluto rappresentano senza dubbio un’inezia, se confrontati con le 170mila anime giunte in Italia nel 2014, fanno specie i modi con cui tale questione venga ignorata da Bruxelles e dai singoli stati europei. Vi è un perbenismo di facciata che cela una inaccettabile ipocrisia da parte di quei Paesi che, fino a mezzo secolo fa, esercitavano il potere politico su quelle ex-colonie dalle quali provengono queste legioni di disgraziati, denigrandoli quasi fossero colpevoli di vivere delle condizioni politico-sociali eufemisticamente definibili come complicate. Fedro sottolineava come per l’uomo fosse impossibile osservare i mali contenuti nella propria bisaccia, quella posta alle sue spalle, criticando e denigrando i peccati altrui, posti invece dinanzi ad esso, evidenti; così questi paesi si pongono come modelli di comportamento, ignorando i propri scheletri nell’armadio. È raccapricciante come soprattutto la Francia, guidata da un governo riformista come quello Hollande, prosegua invece su una linea intransigente ed egoista, dimenticando di aver condotto una pretestuosa crociata di “liberazione” contro il regime di Gheddafi, segnando l’inizio di un escalation allarmante. Il sud d’Europa oggi, da Lampedusa a Gorizia, ha un unico fronte lungo 1500km e non si denotano differenze per collocazione geografica o colorazione politica. La distanza tra le necessità e la volontà di rispondere a queste si accresce col passare delle settimane, e non sarà un piano B di un governo non all’altezza a tuonare nelle sorde orecchie dei vertici europei. Delude come, anziché proseguire su un percorso multi decennale segnato da tappe importanti, ci si dimostri negligenti e chiusi sulle tematiche cruciali che più di altre dovrebbero evidenziare lo spirito di unità di un continente ancora in fieri e lontano dalla sua sublimazione ultima. Buon compleanno Schengen, cento di questi giorni (o meglio di no!?)!