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23 giugno 2015

 

La dissidenza europea parla la lingua dell’economia reale

di Francesco Manta

 

L’annuale Forum internazionale di economia tenutosi a San Pietroburgo evidenzia come l’Europa abbia ancora voglia di fare affari con la Russia, imprescindibile e vitale partner di Bruxelles. La massiccia partecipazione di businessmen provenienti da tutta Europa e l’imponente volume di accordi conclusi testimoniano la mancanza di volontà di isolare Mosca dalla comunità economica internazionale, creando un forte imbarazzo nei tecnocrati rispetto ai diktat enunciati da Washington negli ultimi tempi.

 

La Russia non è isolata, e non si vuole isolarla. Questo è forse il mantra che riassume i positivi esiti risultanti dalla tre giorni del Forum Internazionale di Economia che si tiene a San Pietroburgo ogni anno. Il meeting di quest’anno ha visto l’imponente partecipazione di circa diecimila addetti ai lavori provenienti da 120 Paesi, interessati a giovare del valore aggiunto programmato durante il cosiddetto “Russian Davos”, tra questi circa 200 alti funzionari di aziende straniere e 1500 di loro controparti russe, oltre ai più di duemila giornalisti accreditati, mostrando un interesse senza precedenti per l’evento, così come dichiarato da Kobyakov, uno degli organizzatori. Alla considerevole presenza in termini di capitale umano, si somma l’ingente volume di affari portati a termine nel corso del forum, che attesta il conto finale a 205 contratti conclusi per un ammontare complessivo di 5.4 miliardi di dollari che, ai tassi di cambio correnti, si confrontano agevolmente con le cifre dell’anno passato. Si parla di denaro reale, non carta stampata senza valore. La notizia più altisonante riguarda sicuramente la sottoscrizione dell’accordo che entro il 2019 porterà alla realizzazione del Turkish Stream, il gasdotto che dalla Siberia, attraverso la Turchia e la Grecia, trasporterà in Europa circa 47 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Il costo dell’opera si aggira intorno ai due miliardi di euro, e rientra in una serie di accordi che il governo di Tsipras ha sottoscritto con la Russia, manifestando sempre più la propria intenzione di allontanarsi da un’Europa fratricida e suicida. Altro accordo, di carattere privato, comprende l’ampliamento del progetto North Stream, gasdotto che taglia il Baltico per giungere l’Europa Centrale. Il memorandum, sottoscritto da Gazprom, Shell, E.On e OMV prevede l’aggiunta di due pipelines che seguono il tragitto del North Stream, incrementando la capacità di fornitura fino a 55 miliardi di metri cubi di gas.

Osservando la vicenda da un punto di vista politico e mediatico, viene fuori, per converso, il marcio occidentale che, prima ha professato e millantato l’assenteismo più sfrenato, per poi effettivamente smentire con i fatti e con i dati all’evidenza di tutti. Nella fattispecie, la delegazione italiana è probabilmente stata la più numerosa, con esponenti di spessore politico come il Ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, e l’onnipresente Romano Prodi, habitué delle kermesse politico-economiche organizzate in Russia (presente anche al forum del Club Valdai 2014). In generale da tutta l’Unione Europea si è rilevata una consistente partecipazione da parte dei rappresentanti del mondo economico e dell’imprenditoria, palese segnale di necessità e volontà da parte della sfera del business di non allontanare un partner come la Russia, che ricopre un ruolo cruciale nei rapporti politici, economici e commerciali del Vecchio Continente. Un messaggio senza dubbio importante quello recepito dai burattinai della politica euro-atlantica, che altro che non possono fare che tacere con malcelato imbarazzo alla concreta smentita delle loro affermazioni di stampo evidentemente fazioso. La moneta con cui l’Occidente ricambia queste azioni di apertura sono sempre le stesse: sanzioni, sanzioni, sanzioni. Questo liquamoso pantano in cui il “mondo liberale” insiste nel navigare espone le autorità “competenti” ad una sempre più diffusa critica da parte del “Paese reale”, che vede inesorabilmente sacrificare il proprio benessere a favore di un disegno politico appannaggio di pochi beneficiari. La forbice tra legittimità dell’Autorità centrale e popoli europei continua ad ampliarsi, e non tarderà a giungere quel momento in cui la voce di oltre 500 milioni di persone prevarrà, per intensità ed eco, sui sibili registrati e mal interpretati dei pochi (per fortuna) vassalli asserviti.