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15 dicembre 2015

 

La Fiaba Comune

di Rosaria Gasparro

 

Bisogna che genitori ed educatori tornino a raccontare ai bambini

le storie che durante l’infanzia alimentarono la loro stessa vita fantastica, contribuirono a plasmare le loro coscienze e affinarono la loro sensibilità estetica e morale.

(B. Bettelheim, Il mondo Incantato)

 

Conosco un rituale umile e potente, a portata di voce e di sguardo. Una pratica di tenerezza e di formazione, relegata in un cantuccio. Conosco l’incanto della fiaba, che entra a passo di fata e fuoco di drago nel mondo interiore del bambino per insegnargli che i mostri esistono e si possono sconfiggere. E conosco bambini a cui nessuno più ne racconta. Bambini che vengono deprivati di un mondo simbolico di antica saggezza e rispetto, perché le fiabe nutrono l’immaginario, “nutrono in modo immediato come il latte, leggere e gradevoli, o come il miele, dolci e nutrienti, senza pesantezza terrestre” scrissero i fratelli Grimm.

Abbiamo bisogno urgente di una nuova immaginazione, terrena e celeste, come spazio del desiderio e della conoscenza, come esperienza di trasformazione e di direzione del senso della vita. Per questo, dopo gli attacchi del terrore e la confusione tra chi sono i buoni e chi i cattivi, con le nuove paure che si accompagnano a quelle antiche, scelgo la fiaba come percorso di formazione, scelgo l’uso didattico dell’incanto. Legati dal canto delle parole entriamo in uno spazio sacro per una fede senza età e senza dogmi.

 

Una fiaba al giorno per imparare a rigenerarci, per rinnovare la fiducia nella vita. Una fiaba al giorno come dono d’amore per rendere più abitabile questo mondo. E anche i più terribili, quelli che non stanno mai fermi mai zitti si placano con la formula antica del “C’era una volta”. Nessuno fiata, s’incomincia a “fatare”. Si predispongono fiduciosi alla sospensione del tempo, a ciò che verrà, alla carezza della voce, che fa l’orco e la bambina, che cambia colore, tonalità, ritmo, che si fa atmosfera, corpo narrante che scala le montagne cavalcando una sedia.

Una tensione piena di grazia, di stupore attivo tra il loro silenzio e le mie parole. E mentre racconto si dilata la vita, quella dei bambini che ascoltano con gli occhi sognanti e la mia che coltiva la meraviglia e la speranza. L’incontro del loro piacere con il mio nello spazio di una storia che continua anche dopo e crea legami e affetti e mette insieme in un unico respiro il mondo dei grandi e quello dei piccoli.

I bambini si fidano di chi racconta. È un prendersi per mano per entrare nel territorio di Psiche, l’altro nome dell’anima, dove il bene e il male si riconoscono, dove ci si educa ad affrontare i rischi e i pericoli, a superare prove difficili e ardue, a scoprire il coraggio, a scegliere la virtù, a dare compimento al proprio essere umano, e conquistare il regno della propria vita in un finale che, se non conosce il per sempre, rimane aperto all’amore per l’altro.

«Ascoltare una fiaba […] può essere paragonato a uno spargimento di semi» scriveva B. Bettelheim. Le fiabe camminano, hanno le gambe lunghe, passano di bocca in bocca, passano confini. Parlano di noi. Insegnano a vivere.

Racconto fiabe per ribellarmi – nel modo che mi è proprio – al racconto del mondo eccessivo e spietato, di orrori e abbandoni, di rifiuti e mancanze, di perdite e partenze, di draghi e giganti cattivi, di falsi eroi da smascherare, di bambini soli nelle periferie della terra, in fuga da carestie e guerre, poveri, senza briciole per il ritorno, senza rotte sicure, divorati dagli orchi del mare.

 

La fiaba come radicalizzazione del bene, per non avere paura, e con fiducia mettersi in viaggio nel mondo, mutare o inventare il proprio destino, perché desiderare può essere ancora efficace e il protagonista più umile diventa principe quando mostra la nobiltà del proprio animo.

Racconto fiabe perché credo nel prodigio delle formule comuni degli eroi senza nome, “ed è che io credo questo: le fiabe sono vere” scriveva Italo Calvino, «sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna […] E in questo sommario disegno, tutto; la drastica divisione dei viventi in re e poveri, ma la loro parità sostanziale; la persecuzione dell’innocente e il suo riscatto come termini d’una dialettica interna ad ogni vita; l’amore incontrato prima ancora di conoscerlo e poi subito sofferto come bene perduto; la comune sorte di soggiacere a incantesimi, cioè d’essere determinato da forze complesse e sconosciute, e lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potere liberarsi da soli, il liberarsi liberando; la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo; la bellezza come segno di grazia, ma che può essere nascosta sotto spoglie d’umile bruttezza come un corpo di rana; e soprattutto la sostanza unitaria del tutto, uomini bestie piante cose, l’infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste».

Racconto fiabe perché rassicurano e confortano, perché il protagonista per quanto alto come un mignolo e indifeso, sciocco e sprovveduto, alla fine vince sempre. E sono i bambini che, attraverso i protagonisti delle fiabe, vincono contro tutte le figure del male più potenti di loro. Per questo le fiabe rappresentano, per i bambini che le ascoltano e per l’adulto che le racconta, un percorso esistenziale insostituibile di speranza.

Racconto fiabe perché l’odio e il dolore si possono guarire. E se la Fiaba diventa Comune, io ci sono. (r.g.)

 

Raccontami una storia; vedi come sono stanco per quello cui assisto controvoglia. Una storia dove c’è gente buona. Raccontami una storia dal lieto fine per farmi riposare, per farmi guarire.

(Lounis Ait Menguellat)

 


Con questo splendido articolo Rosaria Gasparro, maestra, ha aderito alla campagna 2016 Facciamo Comune insieme