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14 novembre 2015

 

Il prezzo del disadattamento

di Pierluigi Fagan

 

14 Novembre. Ed ora l’onda di sdegno e commozione, le improbabili contro-analisi su chi è stato e perché l’ha fatto, la melassa retorica, la voglia di restituire il colpo. Noi non stiamo capendo cosa è diventato e cosa diventerà il mondo, il nostro e quello a noi vicino. Noi non siamo adeguati ai tempi che ci è toccato in sorte di vivere. Viviamo ignari convincendoci che tutto va per il solito, poi soprassaltiamo un po’ quando succede qualcosa di violento che ci lambisce o colpisce, poi dimentichiamo e torniamo a prorogare ostinatamente il nostro corso di vita estraneo. Noi ci rifiutiamo di capire perché rifiutiamo di agire perché sappiamo che questo agire turberebbe profondamente il nostro modo di essere, noi non vogliamo cambiare. Quando il mondo cambia e noi no, poiché chi detta le regole del gioco della realtà è il mondo, noi ci troviamo disadattati. I morti di Parigi e quelli che verranno sono le vittime del nostro disadattamento.

Cosa dovremmo capire per agire di fronte a fenomeni come quelli di ieri sera a Parigi? Forse dovremmo partire dall’anello di causazione più semplice, non l’unico, ma comunque quello senza la cui esistenza non esisterebbero neanche gli altri. L’anello più semplice ha tre segmenti. Il primo segmento è dato dal fatto che ieri sera, a Parigi, molte persone trovavano bello trascorrere la serata in compagnia, o in un ristorante cambogiano, o ad un concerto rock, o a vedere una partita di calcio. Il lato piacevole della vita normale secondo gli standard europei e più in generale occidentali. Questi standard sono garantiti da una complessa macchina economica e finanziaria che in quanto determina gli ordini sociali dei nostri popoli-nazioni, diventa interesse di Stato. Una parte di questa macchina, per i francesi, include una vasta serie di rapporti interessati con realtà extra-nazionali che si trovano, tra l’altro, in Africa occidentale e Medio Oriente. Il secondo segmento presenta una perturbazione a gli interessi dello Stato francese. Si tratta di conflitti indiretti, conflitti che riguardano fazioni politiche relative ai territori extra-francesi: la fazione del potere in carica -che ha ottimi rapporti con lo Stato francese, quindi con il loro interesse- e le fazioni sfidanti. I francesi potrebbero lasciarlo esser un conflitto indiretto ovvero aspettare che si risolva in favore dell’uno o dell’altro ma bisognerebbe allora che accettassero il fatto che se vincesse il potere sfidante, dovrebbero dire addio ai benefici della propria presenza che estrae ricchezza locale per alimentare lo standard di vita nazionale. Se non si accetta questa eventualità, la riduzione della propria potenza, allora bisogna intervenire ed il conflitto da indiretto, diventa diretto. Si arriva così al terzo segmento. Avere un conflitto diretto tra uno Stato ed una entità non formale, porta allo scontro asimmetrico.  E’ uno scontro come qualsiasi altra forma più tradizionale, cioè una guerra, ma mentre le guerre propriamente dette hanno un solo campo di battaglia ed eserciti regolari con vittime civili collaterali, lo scontro asimmetrico può arrivare ad avere due campi di battaglia, due eserciti, uno regolare ed uno no, vittime civili facenti parte del campo di battaglia non come collaterali ma come obiettivi principali. Quello che è successo ieri a Parigi è la chiusura del circolo delle cause semplici in una forma finale di guerra asimmetrica.

Poiché in definitiva, il soggetto centrale di tutta questa situazione è il popolo francese, perché è questo che deve decidere del prezzo del proprio standard di vita, perché è questo che elegge i propri rappresentanti che poi interpretano e gestiscono l’interesse nazionale, perché è esso stesso quello che paga il prezzo d vite umane della guerra asimmetrica, tocca al popolo francese decidere come agire.

Può certo desiderare di distruggere il potere sfidante locale di modo da non subirne la reazione ma nel caso in oggetto, questo obiettivo parrebbe non alla portata del solo Stato francese. Potrebbe allora allearsi con gli altri nemici del potere sfidante ma chissà perché, proprio lo Stato francese risulta alleato con gli amici del potere sfidante e nemico dei loro nemici naturali. Forse di questo dovrebbe chieder conto ai propri rappresentanti. Potrebbe inventare una qualche forma più sofisticata di intervento indiretto che forse: a) renderebbe meno esplicito ed evidente il suo ruolo; b) potrebbe addirittura portare effetti più concreti degli interventi diretti, cioè militari. Sembra però che questa forma più sofisticata di manovra sul mondo complesso non sia conosciuta in Occidente. Del resto, nel passato, anche quando era conosciuta, ha portato a risultati disastrosi. Potrebbe migliorare la propria intelligence, polizia e forma repressiva interna di modo da minimizzare i rischi delle ritorsioni indirette ma questo consiglio sembra non tenere conto della oggettiva ed ineliminabile porosità delle società occidentali. Eliminare questa porosità che offrendo libertà offre anche opportunità di azione per il nemico, significherebbe togliere “occidentale” da “società”e tra l’altro non si vede quale logica potrebbe avere, visto che la ritorsione si ha per essersi impicciati in cose da cui proviene parte della qualità di vita di quella società. In pratica si accetterebbe di peggiorare la qualità di vita ma alzando i rischi di ritorsione, un assurdo. Ci si potrebbe del tutto astenere dall’intervenire in conflitti terzi e si potrebbe accettare una moderata rinuncia di parte di quella qualità della vita ma allora bisognerebbe agire internamente per redistribuire la tanta che hanno i Pochi, compensando quella poca che perderebbero i Molti.

Rimarrebbe certo una parte del problema. Popolazioni con alti tassi di natalità, quindi giovani, sono strette nel triangolo insostenibile fatto da: 1) una memoria storica di umiliazioni seriali, di morti, stupri, ingiustizie, rapine, tracotanza, sudditanza ad opera di soggetti coloniali; 2) una realtà economica depressa e corrotta poiché gli interessi di monarchie medioevali, élite militari, stati confinanti, potenze planetarie, soggetti settari, variamente in concerto tra loro, non mostrano alcuna capacità di aiutare i loro popoli ad un adattamento sociale e storico ai tempi che sono; 3) una ideologia di stampo religioso, molto indeterminata sebbene presente come unica ed in forme molto estese, che offre spunti per interpretazioni che vanno dalla quiete universale alla guerra santa, che non ha una autorità centrale normativa, che è usata da interessi settari o nazionali o geopolitici da parte di attori molto furbi e molto ricchi. Tale triangolo che ha solo entrate e non uscite, è poi inscritto del cerchio della modernità, quella in cui, quei giovani sono immersi ma con pochi diritti di fruizione se si vive fuori dall’Islam, quella vista nei mezzi di comunicazione di massa e con nessun diritto di fruizione bensì solo di desiderio, se si è nell’Islam. Tale desiderio è poi ambivalente perché in conflitto con alcune norme della propria etica religiosa e relativo al mondo di coloro che, in fondo, si odiano.

Questa secondo problema è più complesso e merita un dibattito ampio e profondo ma è meno urgente. Quello più urgente è che i francesi e coloro che partecipano della loro sorte, decidano dentro l’equazione data: se pagare i prezzi degli atti di guerra condotti per sostenere una parte del proprio tenore di vita, se incrementarli incrementando l’azione di guerra, se diminuirli astenendosi da azioni unilaterali, se diminuirli di più astenendosi del tutto da condurre azioni di guerra aperta. Il resto è “temps perdu”.

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