Originale: The Guardian

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11 luglio 2015

 

La Germania ha interesse a spezzarci

di Yanis Varoufakis

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Il dramma finanziario greco ha dominato i titoli per cinque anni per un motivo: il testardo rifiuto dei nostri creditori di offrire un essenziale alleviamento del debito. Perché, contro il buonsenso, contro il verdetto del FMI e contro la pratica quotidiana di ogni banchiere che ha a che fare con debitori in crisi, si oppongono a una ristrutturazione del debito? La risposta non può essere trovata nell’economia perché risiede in profondità nella politica labirintica dell’Europa.

Nel 2010 lo stato greco è divenuto insolvente. Si presentavano due scelte coerenti con la continuazione dell’appartenenza all’eurozona: quella sensata, che ogni banchiere onesto raccomanderebbe, la ristrutturazione del debito e la riforma dell’economia, e la scelta tossica, concedere nuovi finanziamenti a un’entità in bancarotta facendo contemporaneamente finta che restasse solvibile.

L’Europa ufficiale ha scelto la seconda opzione, mettendo il salvataggio delle banche francesi e tedesche esposte al debito pubblico greco al di sopra della possibilità di sopravvivenza socioeconomica della Grecia. Una ristrutturazione del debito avrebbe comportato perdite per i banchieri sul debito greco da essi detenuto. Ansiosi di evitare di confessare ai parlamenti che i contribuenti avrebbero dovuto pagare di nuovo per le banche mediante nuovi prestiti insostenibili, i dirigenti UE hanno presentato l’insolvenza dello stato greco come un problema di mancanza di liquidità e giustificato il “salvataggio” come un caso di “solidarietà” nei confronti dei greci.

Per presentare il cinico trasferimento di perdite private irrecuperabili sulle spalle dei contribuenti come un esercizio di “amore duro”, è stata imposta un’austerità record alla Grecia, il cui reddito nazionale, a sua volta – dal quale dovevano essere rimborsati nuovi e vecchi debiti – è diminuito di più di un quarto. Ci vuole la competenza matematica di un bambino intelligente di otto anni per capire che questo processo non poteva finir bene.

Una volta completata la sordida operazione, l’Europa ha automaticamente acquisito un altro motivo per rifiutarsi di discutere la ristrutturazione del debito; avrebbe a quel punto colpito le tasche dei cittadini europei! E così sono state somministrate dosi crescenti di austerità mentre il debito si allargava, costringendo i creditori a concedere altri prestiti in cambio di un’austerità ancora maggiore.

Il nostro governo è stato eletto con il mandato di por fine al circolo vizioso della dannazione; di chiedere la ristrutturazione del debito e la fine della paralizzante austerità. I negoziati hanno raggiunto il loro stallo molto pubblicizzato per una ragione semplice: i nostri creditori continuano a escludere qualsiasi tangibile ristrutturazione del debito insistendo nel contempo che il nostro debito insostenibile sia rimborsato “parametricamente” dai più deboli tra i greci, dai loro figli e dai loro nipoti.

Nella mia prima settimana da ministro delle finanze ho ricevuto la visita di Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo (i ministri finanziari dell’Eurozona) che mi ha sottoposto una scelta dura: accettare la “logica” del salvataggio e rinunciare a qualsiasi richiesta di ristrutturazione del debito oppure l’accordo di finanziamento sarebbe “crollato”, con le ripercussioni, non esplicitate, che le banche greche sarebbero state chiuse.

Sono seguiti cinque mesi di negoziati in condizioni di asfissia monetaria e di una corsa indotta alle banche, controllata e amministrata dalla Banca Centrale Europea. Era segnato nel destino: a meno che capitolassimo, avremmo dovuto presto subire affrontare controlli sui capitali, bancomat semifunzionanti, una chiusura prolungata delle banche e, alla fine, la Grexit.

La minaccia di Grexit ha avuto una breve storia sulle montagne russe. Nel 2010 ha imposto il timor di Dio ai cuori e alle menti dei finanzieri, quando le loro banche erano colme di debito greco. Anche nel 2012, quando il ministro tedesco delle finanze, Wolfgang Schaeuble, ha deciso che i costi della Grexit erano un investimento valido come modo per imporre la disciplina a Francia e altri, la prospettiva ha continuato a spaventare a morte quasi tutti gli altri.

Arrivati all’ascesa al potere di Syriza, e quasi a confermare la nostra affermazione che i “salvataggi” non avevano nulla a che vedere con il salvataggio della Grecia (e tutto a che fare col mettere al riparo l’Europa settentrionale), una vasta maggioranza all’interno dell’Eurogruppo – sotto la tutela di Schaeuble – aveva adottato la Grexit o come esito preferito o come arma principale contro il nostro governo.

I greci, giustamente, rabbrividiscono al pensiero di essere tagliati fuori dall’unione monetaria. Uscire da una moneta comune non è affatto come sciogliere un legame, come ha fatto la Gran Bretagna nel 1992, quando Norman Lamont notoriamente cantava sotto la doccia la mattina in cui la sterlina è uscita dal meccanismo di cambio europeo (ERM). Ahimè, la Grecia non ha una moneta il cui legame con l’euro possa essere tagliato. Ha l’euro, una moneta straniera interamente amministrata da un creditore nemico della ristrutturazione del debito insostenibile della nostra nazione.

Per uscire dovremmo creare da zero una nuova moneta. Nell’Iraq occupato l’introduzione di una nuova moneta cartacea ha richiesto quasi un anno, venti Boeing 747, più o meno, la mobilitazione della potenza militare statunitense, tre stamperie e centinaia di camion. In assenza di un simile sostegno la Grexit sarebbe l’equivalente di annunciare con 18 mesi di anticipo una grossa svalutazione: una ricetta per liquidare le intere riserve di capitale della Grecia e trasferirle all’estero con ogni mezzo disponibile.

Con la Grexit a rafforzare la corsa alle banche indotta dalla BCE i nostri tentativi di riportare sul tavolo dei negoziati la ristrutturazione del debito hanno incontrato orecchie sorde. Ci è stato detto in continuazione che era materia per un futuro imprecisato che sarebbe seguito al “riuscito completamento del programma”, uno stupendo Comma 22, visto che il programma non sarebbe mai potuto riuscire senza una ristrutturazione del debito.

Questo fine settimana si raggiunge l’apice dei dialoghi con Euclid Tsakalotos, il mio successore, che si sforza di nuovo di mettere i buoi davanti al carro, di convincere un Eurogruppo ostile che la ristrutturazione del debito è un prerequisito della riforma della Grecia, non un premio a posteriori per essa. Perché è così difficile farlo capire? Io vedo tre motivi.

Uno è che l’inerzia istituzionale è dura da sconfiggere. Un secondo è che il debito insostenibile dà ai creditori un potere immenso sui debitori, e il potere, come sappiamo, corrompe anche i migliori. Ma è il terzo che a me pare il più pertinente e, in realtà, il più interessante.

L’euro è un ibrido di regime di cambi fissi, come l’ERM degli anni ’80 o il tallone aureo degli anni ’30, e di una moneta statale. Il primo, per tenersi insieme, si basa sul timore dell’espulsione, mentre la moneta statale implica meccanismi per riciclare gli avanzi tra gli stati membri (ad esempio un bilancio statale, titoli comuni). L’eurozona ci sta in mezzo: è più che un regime di cambi e meno di uno stato.

E qui sta il problema. Dopo la crisi del 2008/9 l’Europa non sapeva come reagire. Doveva preparare il terreno per almeno un’espulsione (cioè la Grexit) per rafforzare la disciplina? O muoversi in direzione di una federazione? Sin qui non ha fatto né l’una cosa né l’altra, mentre cresce la sua angoscia esistenziale. Schaeuble è convinto che, così come stanno le cose, ha bisogno di una Grexit per far chiarezza, in un modo o nell’altro. Improvvisamente un debito pubblico greco permanentemente insostenibile, senza il quale il rischio di una Grexit svanirebbe, ha acquistato una nuova utilità per Schaeuble.

Che cosa intendo con questo? Sulla base di mesi di negoziati, la mia convinzione è che il ministro tedesco delle finanze vuole che la Grecia sia cacciata dalla moneta unica per imporre il timor di Dio ai francesi e far loro accettare il suo modello di eurozona inflessibile.

 


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/germany-wont-spare-greek-pain-it-has-an-interest-in-breaking-us/

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