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30 giugno 2015-07-02

 

Stiglitz: l’attacco dell’Europa alla democrazia greca

 

Il premio Nobel Joseph Stiglitz si pronuncia in maniera molto esplicita sulla crisi in corso tra la Grecia e le “istituzioni” UE:  oltre alla assurda insistenza degli eurocrati su obiettivi che la maggior parte degli economisti del mondo ha condannato come inutili e punitivi, qui si rivela con chiarezza la vera faccia del progetto Uem, antitesi della democrazia, nato per favorire la concentrazione della ricchezza e schiavizzare il lavoro. 

di Joseph Stiglitz, 29 giugno 2015

 

Il crescendo di dissidi e di acrimonia all’interno dell’Europa potrebbe apparire all’esterno come il risultato inevitabile dell’amaro finale di partita giocato tra la Grecia e i suoi creditori. In realtà, i leader europei stanno infine cominciando a rivelare la vera natura della disputa in corso sul debito, e il risultato non è piacevole: si tratta di potere e di democrazia molto più che di denaro e di economia.

Naturalmente, l’aspetto economico dietro il programma che la “troika” (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) ha imposto alla Grecia cinque anni fa è stato terribile, con una conseguente diminuzione del 25% del PIL del paese. Non mi viene in mente nessuna depressione economica, mai, che sia stata così deliberata e abbia avuto conseguenze così catastrofiche: il tasso di disoccupazione giovanile in Grecia, per esempio, ora supera il 60%.

E’ sorprendente che la troika abbia rifiutato di assumersi la responsabilità per questo o ammesso quanto siano state pessime le sue previsioni e i modelli da essa adottati. Ma è ancora più sorprendente che i leader europei non abbiano ancora capito la lezione. La troika sta ancora chiedendo che che la Grecia realizzi un avanzo primario di bilancio (al netto degli interessi) del 3,5% del PIL entro il 2018.

Gli economisti di tutto il mondo hanno condannato un tale obiettivo come punitivo, perché puntare a questo si tradurrà inevitabilmente in una recessione ancora più profonda. Infatti, anche se il debito greco fosse ristrutturato al di là dell’immaginabile, se al referendum che si terrà questo fine settimana gli elettori si impegnano a realizzare l’obiettivo della troika, il paese rimarrà in depressione.

Per quanto riguarda il passaggio da un vasto disavanzo primario a un surplus, pochi paesi hanno realizzato quello che i greci hanno ottenuto negli ultimi cinque anni. E, anche se il costo in termini di sofferenza umana è stato estremamente alto, le recenti proposte del governo greco andavano parecchio incontro alle richieste dei creditori.

Dovremmo essere chiari: quasi nulla dell’enorme quantità di denaro prestato alla Grecia è effettivamente andato al paese. E’ andato a pagare i creditori del settore privato – comprese le banche tedesche e francesi. La Grecia ha ottenuto una miseria, ma ha pagato un alto prezzo per preservare i sistemi bancari di questi paesi. Il FMI e gli altri creditori “ufficiali” non hanno bisogno dei soldi che vengono richiesti. In uno scenario di business-as-usual, il denaro ricevuto molto probabilmente sarebbe stato nuovamente prestato alla Grecia.

Ma, ancora una volta, non è una questione di soldi. Si tratta di utilizzare le “scadenze” per costringere la Grecia a sottomettersi, e accettare l’inaccettabile – non solo le misure di austerità, ma le altre politiche regressive e punitive.

Ma perché l’Europa dovrebbe fare questo? Perché i leader dell’Unione europea si oppongono al referendum e rifiutano di dilazionare anche di pochi giorni il termine del 30 giugno per il prossimo pagamento della Grecia al Fondo monetario internazionale? Non è l’Europa tutta una questione di democrazia?

Nel mese di gennaio, i cittadini greci hanno votato per un governo che si impegnasse a porre fine all’austerità. Se il governo dovesse semplicemente dare attuazione alle sue promesse elettorali, avrebbe già respinto la proposta. Ma esso vuole dare ai greci la possibilità di dire la propria su questo tema, così importante per il futuro benessere del loro paese.

Questa preoccupazione per la legittimazione popolare è incompatibile con la politica della zona euro, che non è mai stato un progetto molto democratico. La maggior parte dei governi dei paesi membri non hanno chiesto l’approvazione dei popoli per consegnare la loro sovranità monetaria alla BCE. Quando la Svezia lo ha fatto, gli svedesi ha detto di no. Essi hanno capito che avrebbero avuto un aumento della disoccupazione se la politica monetaria del paese fosse stata affidata ad una banca centrale che è risolutamente concentrata sull’inflazione (e anche che ci sarebbe stata una insufficiente attenzione alla stabilità finanziaria). L’economia avrebbe sofferto, perché il modello economico di fondo della zona euro era basato su rapporti di potere a sfavore dei lavoratori.

E, di certo, quello che stiamo vedendo ora, 16 anni dopo che l’eurozona ha istituzionalizzato quei rapporti, è l’antitesi della democrazia: molti leader europei vogliono vedere la fine del governo di sinistra del primo ministro Alexis Tsipras. Dopo tutto, è estremamente scomodo avere in Grecia un governo così contrario al tipo di politiche che tanto hanno fatto per aumentare le disuguaglianze in tanti paesi avanzati, e che è così impegnato a contenere il potere sfrenato della ricchezza. Essi sembrano credere che potranno alla fine far cadere il governo greco forzandolo ad accettare un accordo in contrasto con il suo mandato.

E’ difficile consigliare i greci su come votare il 5 luglio. Nessuna delle alternative – approvare o rifiutare le condizioni della troika – sarà facile, ed entrambe comportano enormi rischi. Un voto favorevole significherebbe depressione quasi senza fine. Forse un paese impoverito – un paese che ha venduto tutti i suoi beni, e la cui gioventù più brillante è emigrata – potrebbe finalmente ottenere la remissione del debito; forse, essendo regredita ad un’economia a medio reddito, la Grecia potrebbe finalmente ottenere assistenza dalla Banca mondiale. Tutto questo potrebbe accadere nei prossimi dieci anni, o forse nel decennio successivo.

Al contrario, un voto negativo lascerebbe almeno aperta la possibilità che la Grecia, con la sua forte tradizione democratica, possa prendere il suo destino nelle proprie mani. I greci potrebbero guadagnare l’opportunità di costruirsi un futuro che, anche se forse non così prospero come nel passato, è molto più promettente della tortura irragionevole del presente.

Io so come voterei.