Fonte: Megachip Globalist

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06 Luglio 2015

 

E’ caduto il mulo di Berlino

di Pino Cabras

 

I nove giorni che sconvolsero l’Europa. Con il trionfo del NO contro la testarda austerity a trazione tedesca, i greci fanno tornare la politica e la democrazia.

 

In Europa ritorna, ricaricata dai greci di oggi, un’antica parola dei greci di ieri: politica. La parola va a braccetto con un’altra parola plurimillenaria, pure greca: democrazia.

Con la squillante vittoria del NO nel referendum greco anti-austerity del 5 luglio 2015, si apre infatti per i popoli europei un mondo di possibilità politiche che gli oligarchi non avevano preso in considerazione. Ma non solo loro. Anche fra coloro che combattono gli oligarchi in troppi avevano perso fiducia nelle possibilità della politica, fino a non capire la portata dirompente del referendum: accusavano Tsipras di essere una specie di Ponzio Pilato, e pensavano che il voto delle elezioni parlamentari di gennaio bastasse al governo per tutte le drammatiche decisioni che doveva affrontare mentre l’Europa gli muoveva guerra, senza rimettere le decisioni al popolo.

 

C’è invece una grandissima differenza fra il voto del 25 gennaio e quello storico del 5 luglio. A gennaio Syriza raccoglieva il 36 per cento dei voti espressi, che a loro volta erano il 64 per cento del corpo elettorale. Il premio della legge elettorale e l’alleanza con il partito Anel, un altro 5 per cento, consentivano di governare, ma in un contesto di sfiducia nel sistema politico, simile alla disaffezione che colpisce ovunque in Europa i sistemi politici.

Il referendum di luglio ha sollevato l’affluenza e ha chiarito in modo molto solenne che quasi due votanti su tre non sono più disposti ad accettare le vessazioni degli usurai internazionali protetti dall’Europa finanziaria a trazione tedesca.

È un NO più forte della paura del salto nel buio, più potente dei bancomat a singhiozzo, più travolgente dei media che hanno inondato i greci e gli europei tutti di una valanga di bugie, come solo in occasione di guerre succede. I nove giorni che sconvolsero l’Europa – quanti appena ne sono passati tra l’annuncio di Tsipras e il giorno del referendum – sono bastati a far cadere tutte le maschere e gli equivoci che occultavano il vero volto delle istituzioni europee nemiche dei popoli. Se i popoli si sollevano, le oligarchie perdono: una verità semplice semplice che spaventa più di tutto i potenti, che infatti reagiscono facendo parlare tutti gli spara-balle del loro arsenale, dai gazzettieri più infami fino ai maggiordomi miracolati come Renzi.

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[A proposito dello scendiletto della Merkel, confrontatelo ora con Tsipras. Il tempo è galantuomo, a volte. Ha ingannato un po’ di militanti e militonti con la veste del Rottamatore e gli hashtag del #cambiaverso. Oggi è nudo, con le sue leggi reazionarie e i suoi conservatorismi, tanto da rivelarsi in pieno per quello che è: un manovratore di bassa levatura politica, senza legittimazione popolare misurabile. Un tappo che ostruisce il corso della politica e della democrazia, e comincia anche a fare errori grossolani di valutazione mentre il mondo che lo sostiene rischia di franare rovinosamente].

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Ora si apre una fase in cui l’oligarchia degli eurocrati combatterà una battaglia feroce per sopravvivere. Come nota Pier Luigi Fagan, «il nucleo PPE-socialisti mai concederà nulla ad un rappresentante dell’area critico-scettica perché altrimenti Podemos, Grillo, la Lega, la Le Pen…»

Faranno quindi la guardia a un sistema anelastico, rigidissimo, scaricando tensioni sull’intero Continente. Ma perderanno definitivamente la credibilità residua del loro vecchio inganno spacciato per “sogno europeo”. I più anelastici di tutti, a Berlino, già dichiarano per bocca del ministro delle finanze Sigmar Gabriel che «con il no la Grecia ha bruciato i ponti con l’Europa, non ci sarà un altro piano d’aiuti» (ossia i finanziamenti che in realtà aiutano le banche tedesche e spremono i greci). Testardo come un mulo, questo Gabriel. Il mulo di Berlino.

Il dramma in corso nelle segrete stanze berlinesi è definito da Giuseppe Masala come il dilemma della Prigioniera Angela.

«- Se dice sì a Varoufakis, allora regala la Spagna a Podemos, il Portogallo ai comunisti e l’Italia a Grillo.

– Se gli dice no, allora fa schiantare la moneta unica, l’Italia, la Spagna e il Portogallo (ed altri).

Risultato finale: sia che dica sì, sia che dica no, distrugge la moneta unica e l’egemonia tedesca in Europa.» ‪

Uno scenario simile è descritto anche da Marcello Foa, che aggiunge una terza opzione, quella di un imperio totalitario che si spoglia pienamente di ogni parvenza democratica. Ma anche questa opzione significa la fine dell’Europa istituzionale che conosciamo.

Insomma, grazie al referendum greco siamo giunti al dunque di un grande nodo geopolitico, che si intreccia con altre tensioni europee: non si deve dimenticare che la NATO (ossia gli USA) ha acceso tanti focolai – su tutti l’Ucraina – per impedire all’Europa di fare accordi strategici convenienti con la Russia e altre potenze e legarla così a un futuro di subalternità alla potenza nordamericana in declino, dovesse costare anche l’ascesa di movimenti nazisti. Interverranno altri attori in una scena che cambierà rapidamente già nel corso di questi mesi.

La nuova leva dirigente greca ha dimostrato che con il coraggio e il primato della politica si può mettere di nuovo il peso dei popoli nel corso degli eventi. Le sponde sensibili non mancano, in seno ai popoli, e perfino presso tante cattedre che esprimono idee in grado di buttare nella pattumiera decenni di neoliberismo. Si pensi ad esempio al peso che può avere l’enciclica di questo papa. Sarebbe uno spreco immane non cercare tutte queste voci, ora che è tornata la politica.