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25/04/2015

 

Atene sotto assedio non vuole fare nuovi debiti

di Dimitri Deliolanes

 

Tsipras e Varoufakis denigrati dalla stampa europea e lasciati senza ossigeno. La campagna anti-ellenica nasconde uno scontro politico

 

Nel settembre dell’anno scorso l’allora ministro greco delle Finanze Ghikas Hardouvelis aveva ricevuto dalla troika una e-mail contenente un promemoria sulle misure da applicare nel corso del 2015 e già concordate con Atene. Cosa era previsto da queste misure?

Che il surplus primario dello stato greco aumentasse fino a giungere al 3,5%, cioè di 5,5 miliardi, in modo da poter indirizzare una parte maggiore verso gli interessi e le rate di saldo del debito greco. Sul modo per ottenere una performance così spettacolare non c’erano dubbi: con nuove misure di austerità. Era previsto un nuovo taglio delle pensioni, in modo da far abbassare la media dagli attuali 450 a 360 euro e anche un taglio di quelle integrative: per festeggiare il Capodanno dell’8% e del 7% da luglio. Avrebbe dovuto aumentare di due anni e mezzo anche l’anzianità lavorativa per ottenere la pensione.

L’obiettivo era far tornare in pareggio le casse pensionistiche, proprio nel momento in cui più di un quarto della forza lavoro greca era disoccupato.

La troika proponeva inoltre una nuova generosa ondata di licenziamenti tra gli statali greci (15.000), l’abolizione di ogni diritto sindacale nel settore privato e una nuova e massiccia incursione fiscale: si prevedeva di equiparare l’Iva delle isole a quello in vigore nel continente, aumentando il minimo dall’attuale 6,5% al 13%. Il precedente governo socialista di George Papandreou aveva dato battaglia per questa esenzione.

Secondo i collaboratori del premier, agli inizi del 2011 alcuni troikani erano arrivati alla conclusione che queste 227 isole greche abitate erano un costo insostenibile per il paese e proponevano di sgomberare quelle con meno di 150 abitanti.

Alla fine, l’idea sembrò stravagante perfino in quel consesso e così gli isolani greci non solo salvarono le loro piccole patrie ma ottennero anche questo piccolo privilegio in favore dello sviluppo turistico. Nel continente tutte le aliquote Iva avrebbero dovuto essere unificate attorno al 18%, mentre la tassa straordinaria di solidarietà del 2010 sarebbe diventata un’imposta ordinaria. Perché però parlare di questa triste archeologia liberista, dal momento che Hardouvelis ora è andato a casa insieme con tutta la destra greca? Anzi, recentemente il povero banchiere ed ex ministro è stato colto in flagrante per aver esportato alcuni milioncini all’estero nel 2012, poco prima di entrare nell’esecutivo.

Il fatto è che questa e-mail è al centro di tutte le trattative che si stanno svolgendo tra il governo greco e i suoi creditori. Ovviamente, se uno legge la stampa europea e italiana ha l’impressione che Varoufakis e Tsipras siano dei semianalfabeti che non sanno fare neanche una semplice operazione di aritmetica. «Mancano i numeri, mancano le stime», si lamenterebbero gli esperti dell’Euro Working Group, che continua a riunirsi fino a trovare un accordo. I commenti, sempre anonimi, sullo svolgimento delle trattative, riportano che «i greci non sono pronti a impegnarsi nelle riforme».

Questa campagna denigratoria di stampa sembra che non si limiti alle sue facili prede, i lettori di Bild e del Corriere della Sera. Si racconta che durante il primo incontro tra Tsipras e la Merkel a Berlino, il premier greco abbia potuto toccare con mano quanto profonda sia l’opera di disinformazione. Ad un certo punto la cancelliera ha accusato i greci di «consumare il 14% del Pil solo per le pensioni». Il ministro Nikos Pappas, braccio destro di Tsipras, è apparso stupito: ha frugato nella sua cartella e ha tirato fuori il rapporto 2013 della Ragioneria dello Stato: la spesa per le pensioni non supera il 7% (in Italia nel 2011 era del 17%).

Il 13 aprile il giornale tedesco Faz è arrivato al punto di scrivere che il Segretario generale per le Entrate del ministero delle Finanze greco Nikos Theocharakis si comportava come un «tassista» che voleva essere pagato subito, sostenendo che le casse dello stato greco si stavano esaurendo. La risposta dei creditori era che «rimaneva ampio spazio fiscale sul quale lavorare» in modo che la Grecia potesse adempiere agli impegni derivanti da debito (all’epoca erano i 450 milioni da versare al Fmi). Varoufakis ha risposto al giornale tedesco usando parole dure. Ma probabilmente quello che lo ha urtato era più il tono che la sostanza. In effetti, tutte queste accuse mostrano qual è il centro della discussione, le famigerate «riforme». Che non sono altro che i contenuti dell’e-mail Hardouvelis: gli aggiustamenti «tecnici» che vengono richiesti con insistenza riguardano esattamente questo aspetto della questione: se non applicate le misure della e-mail, come farete a incassare i 6,5 miliardi previsti? Con la lotta all’evasione fiscale?

Ad Atene queste rigidità erano ampiamente previste. Quello che non si poteva prevedere era il rifiuto di Draghi di includere anche i bond greci nel quantitative easing, in modo da assediare più strettamente i ribelli di Atene. Ma l’assedio sembra andare per le lunghe e se la Grecia ha bisogno di liquidità immediata, anche i creditori hanno delle scadenze che si stanno ravvicinando. Tra giugno e luglio Atene sarà costretta a pagare come tranche del debito e interessi da 19 fino a 22 miliardi.

Anche se la stampa europea lo ignora, Tsipras non ha alcuna intenzione di fare nuovi debiti per pagare quelli vecchi. E ha ripetuto parecchie volte, anche ieri alla Merkel, che in mancanza di risorse sufficienti avrebbe privilegiato i pagamenti interni e non il debito. Dopo tre mesi di braccio di ferro dovrebbe essere evidente che Tsipras parla sul serio. È ora che qualcuno lo spieghi a Schauble.