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Domenica 24 Maggio 2015

 

Il punto sulla Grecia

 

Tornando sulla situazione greca a qualche mese dalla vittoria elettorale di Syriza si inizia a intravedere chi ha preso tempo per cosa.

 

Il governo di Atene annaspa raschiando ogni volta di più il fondo del barile delle disastrate finanze pubbliche, statali e locali, per rispettare le scadenze dei pagamenti internazionali -da ultimo verso il Fmi usando i fondi di riserva già ivi depositati- mentre ogni mese più problematico diventa il pagamento di pensioni e stipendi statali. Le autorità europee nel frattempo non hanno concesso nulla di sostanziale continuando a insistere sulla necessità di nuove misure di austerity in cambio di rifinanziamenti per rimborsare il servizio del debito accumulato. Manovrando sulla semplice leva della liquidità in euro, sotto l’attenta supervisione dell’usuraio Draghi, stanno letteralmente prendendo il partner per la gola a misura che il suo potere contrattuale diventa sempre più evanescente.

Dopo l’ennesimo nulla di fatto al vertice di Riga, si avvicina il momento in cui dal logoramento si passerà direttamente alla stretta finale: o Syriza cede nella sostanza (magari salvando provvisoriamente la faccia con un rinvio di qualche mese delle misure più dure (http://www.sueddeutsche.de/wirtschaft/schuldenkrise-eu-erwaegt-verlaengerung-der-griechenland-hilfe-1.2487115) oppure assisteremo probabilmente, a liquidità esaurita, a un default “controllato” sullo stile cipriota (congelamento dei conti bancari, controlli sui capitali). Le conseguenze per la tenuta del governo, sul breve o medio periodo, saranno inevitabili anche, salvo imprevisti, senza Grexit. Comunque vada a finire l’ennesima tornata di negoziati, siamo a un passaggio di fase: la partita è finita, le speranze di fine dell’austerity tornano nel cassetto. 

Ora, serve a poco inveire all’egoismo o miopia (?!) di Bruxelles, Berlino o degli altri stati membri ecc. Quel che serve è invece un’analisi il più possibile lucida e realistica. Senza pensare di dare suggerimenti a nessuno, tanto meno infingersi di rappresentare un soggetto collettivo che saprebbe “cosa si deve fare”.

Isoliamo per un momento il livello decisionale del governo di Atene dal contesto più ampio, scontando il fatto che è decisamente più quest’ultimo a condizionare il primo che non viceversa.

La tattica negoziale di Tsipras si è basata in ultima analisi sull’idea che la minaccia “oggettiva” di default avrebbe spinto la Ue a concedere proroghe dei pagamenti e/o nuova liquidità, vuoi a evitare un eventuale caos finanziario vuoi a non creare precedenti di uscita di uno stato membro dall’euro con gli inevitabili contraccolpi politici. In sé non sbagliata, questa tattica - a meno di una improbabile prossima smentita dei fatti - ha però fin qui escluso programmaticamente proprio l’unica leva per una sua possibile ancorché non scontata riuscita: e cioè la sua possibile messa in pratica “soggettiva”, nè ventilata a livello di dichiarazioni ufficiali e legata al darsi di precise condizioni nè fin qui preparata come opzione concreta, un vuoto non certo colmato da misure sociali radicali all’interno del paese che non si sono proprio viste.

Bluff o ingenuità, insomma, di fronte a pescecani il cui primo obiettivo, e sempre più esplicito, è quello politico di far cadere il governo di sinistra e togliere grilli politici dalla testa delle popolazioni europee alle prese con le conseguenze della crisi. (Basta guardare a come il Fmi e Bruxelles trattano Kiev, insolvente verso Mosca, e Atene…).

È bene riflettere a fondo sul perché di questo punto di caduta oramai difficilmente aggirabile che avrà dei contraccolpi negativi sulle possibilità immediate di lotta ben oltre la Grecia. Da un lato Syriza -in questo plasticamente di sinistra- crede realmente, o ha fin qui creduto, a un possibile ravvedimento dei vertici Ue rispetto alla prova provata che l’austerity non funziona e che per salvare l’Europa politica è necessaria una politica economica alternativa. Dall’altro, il mandato elettorale e, in senso più ampio, popolare greco è quello di negoziare condizioni più favorevoli senza però imboccare la via senza ritorno di fuoriuscita dall’euro.

Detto in una battuta, la Grecia non è (ancora?) l’Argentina del 2001, né oggettivamente né soggettivamente. E, dato non indifferente, Syriza al governo non viene con e sull’onda di un crescendo delle lotte sociali ma dopo la loro sostanziale sconfitta, segnata dall’incapacità di buttar giù dalla piazza gli infami governi precedenti. Quindi, niente litanie sull’incapacità (che pure c’è) e men che meno sul “tradimento” di Tsipras&c.

I fattori decisivi sono a un livello ben più profondo. E stanno soprattutto nei connotati di fase dell’attuale passaggio della crisi in Europa: allentamento dei ritmi di implementazione dell’austerity, enorme immissione di liquidità via Quantitative Easing della Bce, svalutazione dell’euro pro esportazioni, classi dirigenti attente a chiudere gli spazi all’antipolitica, aspettative decrescenti della gente miste al crescere di un sordo risentimento… Una situazione complessiva non destinata a stabilizzarsi ma che certo non facilita il superamento dell’impasse attuale. La Grecia lo esemplifica nel modo più chiaro: nessun compromesso è possibile coi poteri forti ma al tempo stesso nessuna radicalizzazione delle lotte è in vista.

Siamo dentro questa situazione liminale. Il che non vuol dire che al momento non c’è nulla da fare, ma è meglio prendere atto al più presto che questa è l’Europa realmente esistente, l’unica possibile: se i vincoli europei “comunitari” sono infrangibili si tratta di puntare sulla ripresa della mobilitazione sociale e di elaborare e sperimentare in un quadro inedito e non lineare i caratteri di classe di un possibile programma di “transizione” piuttosto che perdersi dietro il politically correct di un europeismo di sinistra sempre più annacquato. (Quanto all’illusorio sovranismo degli anti-euro, la vicenda greca è uno schiaffone anche per loro). Abbiamo bisogno di uno scarto su un terreno effettivamente altro, suscettibile di andare nella direzione di soluzioni antagonistiche a condizione di una ripresa di lotte di massa. Su quale sia questa direzione la discussione è aperta.