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08/01/2015

C’è una sola strada e parte da Ratisbona
di Mario Adinolfi

Sono Charlie? Non sono Charlie? Solo nella follia isterica da social network ci si può lanciare a cadaveri ancora caldi in una bella rissa da derby Roma-Lazio con ragionamenti di tipo binario. Terroristi islamici hanno ucciso dodici persone, tra queste cinque sono vignettisti di un giornale satirico molto irriguardoso nei confronti delle religioni. Immaginavo che gli ingredienti fossero talmente terrificanti eppure straordinariamente letterari da imporci una riflessione complessa, almeno articolata. E invece ho ricevuto pressione affinché mi schierassi subito e schierassi un giornale che si chiama La Croce e da ieri forse ha un motivo in più di preoccupazione. Sei Charlie o non sei Charlie? Ho chiesto a tutti di lasciarmi ragionare, per una volta niente polemica belluina. Ho raccolto le idee, mi sono confrontato con alcuni amici, ho detto poi quello che ho pensato in radio ed ora eccomi qui. Astenersi perditempo e tifosi, qui si prova a capire.

Le vignette di Charlie sono orrende e molto volgari, platealmente blasfeme. A chi mi ha proposto di pubblicarne qualcuna sul primo numero de La Croce ho risposto: ma siete matti? Siete davvero così capaci di immaginare strumentalizzazioni di qualsiasi cosa? No, non strumentalizzerò i dodici morti e continuerò a dire che la satira di Charlie Hebdo non è satira, è insulto. C’è anche la libertà di insultare, certo, ma non è il modo migliore di impiegare la libertà. Affermando questo divento ipso facto un sostenitore del terrorismo islamico? Evidentemente no, spero proprio di no. Anche perché questa vicenda non è terrificante per colpa di Charlie Hebdo. Questa vicenda ci costringe a parlare di Islam. Il tema è questo, il nodo è questo, le spine sono tutte lì.

A un cristiano che si sia sentito offeso dalle innumerevoli vignette di Charlie contro la Chiesa, Gesù, la Madonna, Dio e il Papa non sarebbe mai venuto in mente di organizzare un commando militare armato di kalashnikov e annientare fisicamente la redazione. A un islamico è venuto in mente, non solo ci ha pensato, ha messo in atto il piano. Perché questa differenza? Perché il Dio dei cristiani è Logos, è ragione. E’ antropomorfo, lo pensiamo con la barba bianca e con la barba bianca è ritratto, noi siamo creati a Sua immagine e somiglianza. Il Dio invocato dagli attentatori di Parigi non è ragione: è Grande (Allah u Akbar è il grido che precede l’azione), è Vendicativo, è Potente, è blasfemia ritrarlo, è blasfemia irrididerlo, è blasfemia irridere il suo Profeta che ha scritto il Corano con lettere di fuoco per diretta dettatura da parte dell’Angelo. Ed essendo dettatura di Allah a Maometto, il Corano non è interpretabile. La Bibbia si interpreta, il Corano si osserva. In termini letterali. E la lettera del Corano è violenta. Questo è il nodo, qui sono le spine.

Un Papa coraggioso e da troppi irriso, Benedetto XVI, in un discorso “con i rappresentanti della scienza” a Ratisbona indicò all’Islam il modo per sciogliere il nodo proponendo il modello adottato dal cristianesimo. “Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio, La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima”, dice Ratzinger il 12 settembre 2006 in quel discorso. Per l’Islam Dio è “assolutamente trascendente” e vive in una condizione di inconoscibilità (da cui la blasfemia nel solo ritrarlo, figuriamoci nell’irriderlo con vignette) che gli permette anche la libertà dell’irrazionalità. Il Dio cristiano è Logos, è ragione. Benedetto propone all’Islam l’apertura alla ragione, il sapersi far attraversare dalla ragione. Benedetto cita l’Illuminismo. Già proprio l’Illuminismo che tanta gloria ha dato alla Francia e in nome del quale Benedetto e tutti i Papi potevano essere settimanalmente insultati da Charlie Hebdo. Ma il cristianesimo dall’Illuminismo si è fatto attraversare e del rapporto tra ragione e fede ha fatto il suo punto di forza. L’Islam no. Il nodo è qui.

Poi c’è un Islam moderato, composto dalla stragrande maggioranza dei musulmani, che non imbraccia il kalashnikov. Ma che adora Allah, Grande e Inconoscibile, Violento e Vendicativo. In nome dello stesso “Allah u Akbar”, nella totale irrazionalità della conversione violenta dell’Infedele e dell’uccisione dello stesso, l’Islam uccide in Pakistan, in Afghanistan, in Iraq, in Iran, con le pattuglie di Al Queda, in tutto il Medio Oriente con il terrore assoluto dell’Isis, in Nigeria con Boko Haram, in Indonesia, nelle Filippine, in Malesia, in mezza Africa sahariana e subsahariana, nello Yemen, in Arabia Saudita. Gridando Allah u Akbar hanno ucciso in Spagna, a Sydney, attaccando le Torri Gemelle e il territorio americano come mai nessuno aveva mai osato, ieri a Parigi.

Se ne esce solo partendo da Ratisbona e arrivando a Istanbul dove un altro Papa, Francesco, ha invitato i leader islamici ad alzare alta la loro voce contro la violenza islamica, non avendo paura di dire che “a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane a causa della loro identità etnica e religiosa. Sono stati cacciati con la forza dalle loro case, hanno dovuto abbandonare ogni cosa per salvare la propria vita e non rinnegare la fede. La violenza ha colpito anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro”. Francesco lo ha detto chiaro al Presidente degli affari religiosi al Diyanet a Istanbul e lì ai capi islamici ha detto: “In qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace. Da tutti coloro che sostengono di adorarlo, il mondo attende che siano uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche”. Così si scioglie il nodo. Se i capi religiosi islamici con una forza e un’unità ad oggi non ascoltate proclameranno “la più forte condanna” contro l’irrazionalità della violenza. Se ne esce partendo da Ratisbona e arrivando a Istanbul, chiedendo all’Islam prima di tutto di aprirsi al confronto con la ragione, abbandonando la pretesa dell’adorazione letterale del Corano. Poi pretendendo, in nome della ragione, la condanna definitiva della violenza da parte di tutti i capi religiosi islamici.

L’Islam uccide, a ogni latitudine: è tempo di andare alla radice di questa violenza e inaridirla, impedirle qualsiasi nutrimento. Anche l’irrisione della religione islamica e la marginalizzazione violenta dei musulmani nelle nostre città sono nutrimento di quella radice. Non cadiamo nella trappola che i fondamentalisti sanno benissimo azionare.

Per il resto, salvaguardiamo la radice della nostra civiltà costruita attorno alla libertà. Riscopriamo questa radice, che è cristiana, senza infingimenti. Dall’azione dei cristiani può derivare la costruzione di ponti pacificatori. Dobbiamo esserne consapevoli. Le dodici vittime dell’assalto a Charlie Hebdo risveglino questa nostra consapevolezza.

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