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1 novembre 2015

 

La Penisola Iberica tra due fuochi

di Mauro Indelicato

 

Da Barcellona a Lisbona, dall’indipendentismo catalano alla rinnovata verve anti austerity portoghese: la penisola iberica è attraversata da tempeste politiche e sociali che potrebbero metterne in discussione la composizione politica e l'inquadramento storico

 

La penisola iberica è attraversata da mille venti in queste ore, dai Pirenei fino a Lisbona la regione nelle ultime 24 ore si è trasformata nel crocevia di tutte le incertezze politiche che stanno scuotendo l’intero vecchio continente.

Se lunedì il parlamento della Generalitat della Catalunya a Barcellona, con un voto che ha premiato l’alleanza indipendentista, ha dato il via libera al processo di indipendenza della regione, a Lisbona un altro voto parlamentare ha dato vita ad un altro importante evento: via il governo di minoranza imposto da Bruxelles, il Portogallo è vicino ad essere governato da una maggioranza anti austerity. E dire che la regione iberica è stata, almeno fino al 2010, quella più ‘tranquilla’ nel panorama europeo; nelle terre lusitane la ‘saudade’ portoghese ha dato quasi un animo sonnolente al paese, il quale è spesso sembrato lontano dalle dinamiche politiche ed economiche dell’Europa pur esprimendo con Barroso la presidenza della commissione, della Spagna invece se n’è parlato molto per il boom economico, per un ‘milagro’ che ha spesso fatto apparire Madrid vicina al sorpasso su Roma.

Poi dopo il 2010 è intervenuta la crisi, la scure dell’austerità, la minaccia della Troika; via Zapatero in Spagna, stop al milagro, il paese ha iniziato ad essere scosso dai primi movimenti di ‘Indignados’, mentre il Portogallo da qualche anno a questa parte ha mostrato i primi segni di insofferenza verso un’economia in forte fase di stallo.

Sono derivate da queste profonde cesure nella storia recente dei due paesi, in parte, le turbolenze che oggi è possibile notare in tutta la penisola iberica; gira e rigira, alla fine la voglia di indipendenza catalana da ‘popolare’ sembra si stia trasformando in istituzionale mentre, gira e rigira appunto, a Lisbona si sono ufficialmente stancati di diktat esterni ed hanno mandato via il governo di minoranza filo Bruxelles e filo austerity.

Da sottolineare però come questi due eventi sono, in un certo qual modo, distanti e differenti tra loro; il primo, quello catalano, ha un sapore difficilmente decifrabile, l’altro oltre ad avere un sapore ha anche due colori precisi, rosso e verde, quelli dei principali partiti della sinistra portoghese protagonisti dello sgambetto dato a Bruxelles.

Come detto già in passato, l’indipendentismo catalano ha due facce: da un lato, quello popolare che spesso è rappresentato dai 100mila spettatori del Camp Nou in cui non di rado si è visto campeggiare striscioni del tipo ‘Catalunya is not Spain’, ma dall’altro ha il volto ‘centrista’ del partito che governa dal 1978 la regione (con una breve interruzione tra il 2006 ed il 2010), ossia il CIU fondato da Puyol ed oggi preso in consegna da Artur Mas.

E’ stato l’attuale leader del partito e presidente della Catalogna a dare il via alle ostilità; in campagna elettorale, ha per la prima volta messo al centro del programma l’indipendenza di Barcellona da Madrid entro il 2017. Una scelta, quella del CIU, che ha saputo di svolta; è vero che il partito in questione è sempre stato prima fautore e poi ‘guardiano’ di un’ampia autonomia dal governo centrale spagnolo, è però altrettanto vero che in 35 anni di potere la formazione centrista non ha mai espressamente dichiarato di volere a tutti i costi l’indipendenza.

La svolta è arrivata lo scorso anno e qui probabilmente bisogna tirare in ballo nuovamente gli Indignados del 2011; lo scollamento tra la società civile catalana e la politica ha raggiunto in questi anni apici molto pronunciati, basti pensare all’episodio del 2012 quando i manifestanti hanno bloccato l’accesso del Parlamento regionale costringendo i deputati ad essere scortati dalle camionette della Mossos D’Esquadra (la polizia catalana i cui agenti spesso fanno finta di non capire le indicazioni in spagnolo chieste dai turisti al centro di Barcellona) per tenere la seduta.

Quello stesso parlamento bloccato, oggi invece viene applaudito; Artur Mas, sull’onda del referendum indipendentista scozzese del settembre 2014, ha iniziato a cavalcare il sentimento indipendentista catalano, sempre più marcato dall’inizio delle manovre di austerità da Madrid e così ha di fatto garantito la sopravvivenza politica di un partito che rischiava di perdere numerosi consensi.

Adesso la popolarità di Mas è alle stelle in Catalogna, il popolo catalano lo ha iniziato a vedere come il traghettatore verso il sogno dell’indipendenza e non è certo una brutta notizia per Bruxelles, visto che questa situazione ha di fatto bloccato l’avanzata sia degli Indignados che, a livello politico, di Podemos e di altre formazioni anti Euro o comunque ostili alla troika in salsa iberica.

Tutt’altro discorso invece in Portogallo; qui lo sgambetto all’Europa è molto più che evidente. Per la verità, i lusitani avevano già messo in chiaro il discorso alcune settimane fa, quando alle elezioni hanno tolto la maggioranza alla coalizione di centro – destra guidata dal premier uscente Pedro Passos Coelho, fermo sostenitore dell’applicazione in toto dei diktat di Bruxelles sull’economia portoghese.

I partiti di centro – sinistra, hanno fiutato la storica occasione ed hanno deciso di presentarsi dinnanzi al presidente Cavaco Silva con un accordo di coalizione che andava ad unire i moderati socialisti con comunisti, blocca di sinistra e verdi. Queste ultime tre formazioni, hanno un volto più marcatamente anti sistema, tra contrari all’Euro e contrari alla permanenza della NATO, i socialisti invece sono una formazione moderata, pur tuttavia l’accordo prevedeva un allentamento della pressione delle politiche di austerità e l’innalzamento dei salari dei dipendenti pubblici e di quelli minimi, oltre che un aumento importante della spesa sociale.

Nonostante l’accordo, da Bruxelles è arrivato il veto: il governo, anche se di minoranza, deve essere soltanto quello che andrebbe a garantire il percorso di austerità perseguito in questi anni. In molti hanno gridato al colpo di stato ed in effetti di questo si è trattato: una forzatura, che martedì sera ha avuto una sonora bocciatura. Il partito socialista alla fine ha mantenuto fede agli accordi con i partiti di sinistra ed ha negato la fiducia al nuovo esecutivo ed adesso il ribaltone verso sinistra potrebbe essere pronto all’attuazione.

In caso di giuramento di un simile esecutivo, non bisognerà attendersi comunque forti discontinuità dal passato o forti stravolgimenti, ma il Portogallo a differenza della Grecia non viene retto dai prestiti internazionali e dunque niente memorandum o creditori pronti a bussare alla porta in vista; questo porterebbe ad ipotizzare che, realmente, un governo di sinistra a Lisbona inizierebbe ad attuare prime manovre anti austerità e che stavolta Bruxelles non avrebbe gioco facile nel ricattare un esecutivo in linea di massima contrario (se non addirittura ostile in qualche sua componente) alle politiche europee.

Ma questo è ancora tutto da vedere, anche perché con un altro colpo di mano il presidente Cavaco Silva, andando a confermare la natura del suo secondo nome (Annibal), potrebbe decidere di congelare Passos Coelho con un governo di ordinaria amministrazione e mandare tutti di nuovo ad elezioni fra sei mesi.