Originale: Systemic  Disorder

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14 marzo 2015

 

L’arte di diventare umani

di Pete Dolack

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Circa 180.000 persone  si arruolano ogni anno nell’esercito negli Stati Uniti , molte delle quali  torneranno in patria  con lesioni fisiche o danni psicologici. Le reclute sono addestrate a uccidere, si insegna loro a disumanizzare gli altri, a partecipare alle torture, ma ci si aspetta che dimentichino tutto quando tornano alla vita normale.

Che 22 reduci si tolgano la vita ogni giorno è un triste  memorandum non soltanto di quello che richiede la vita militare, ma del fatto che il Pentagono effettivamente  getta via i suoi reduci dopo averli usati. Il governo degli Stati Uniti è  rapido a iniziare le guerre, ma anche se i leader politici fanno continuamente  discorsi che  esaltano i sacrifici dei reduci, non necessariamente fanno seguire a questi sentimenti  l’assistenza  necessaria.

I reduci stessi stanno usando l’arte  per iniziare il processo  di risolvere le loro ferite psicologiche  con un programma noto come  “Combat Paper”. Con un interessante interpretazione dell’idea di dare alle spade la forma di strumento per arare, il programma Combat Paper trasforma le uniformi dei reduci in carta, che viene usata poi come tela per creazioni artistiche incentrate sulle loro esperienze militari. Le fibre  decostruite  delle uniformi vengono battute fino a diventare  una poltiglia usando gli attrezzi per fare la carta; dei carta vengono ricavati dalla polpa e vengono asciugati per creare la carta.

Drew Cameron, uno degli iniziatori del Progetto Combat Papers, parla del concetto:

“La storia della fibra, del sangue, del sudore  e delle lacrime, i mesi di avversità  e di violenza brutale sono contenuti dentro quelle vecchie uniformi. Queste spesso diventano abitanti di  armadi o di scatole che sono  in soffitta.  La nostra motivazione è di trasformare   quell’insieme di subordinazione, di guerra e di servizio, in qualche cosa di collettivo e di bello.”

I risultati sono straordinari, come ho scoperto mentre visitavo una mostra alla galleria Art 101 nel quartiere Williamsburg di New York City. Prendete, per esempio, la stampa su seta di Jesse Violante: “Nessuno può cambiare l’animale che sono diventato.” La frase del titolo è scritta in lettere rosso sangue al di sopra di una scena di soldati allo scoperto in posizione di avanzata, che sono stesi, proni con le armi pronte. L’immagine è spoglia e rappresenta soltanto la zona immediatamente vicina, e rappresenta la mancanza di visione da parte degli ufficiali che considerano la guerra una prima opzione e la nebbia dell’incertezza sperimentata dai soldati sul campo  ridotta alla lotta per la sopravvivenza.

Ferite che si possono vedere e ferite non viste

Ci sono persone i cui danni  sono ovvii,  come Thomas Young, le cui lotte sono state mostrate con piena intensità nel documentario Body of War. Nella lettera che ha scritto a George W. Bush  e a Dick Cheney quando la morte era imminente, ha messo per iscritto la sua agonia:

“La vostra vigliaccheria ed egoismo sono state assodate decenni fa. Non eravate disponibili a rischiare voi stessi per la nostra nazione, ma avete mandato centinaia di giovani uomini e donne a essere sacrificati in una guerra senza senso, non dandogli  più considerazione di quella che si usa per mettere fuori la spazzatura.  Sono arrivato a rendermi conto, come molti altri  reduci disabili, che le nostre [disabilità e] ferite mentali e fisiche non vi interessano affatto, forse a nessun politico. Siamo stati usati. Siamo stati traditi. E siamo stati abbandonati.”

E ci sono coloro le cui  lesioni   non sono così ovviamente palesi. Ascoltiamo cosa dicono un paio di loro.  Kelly Dougherty che  ha contribuito a fondare Iraq Veterans Against the War [Reduci dell’Iraq contro la guerra – IVAW]   dopo aver prestato servizio come medico e come poliziotta militare,     ha detto che apprezza di avere uno spazio per “parlare dei miei sentimenti di vergogna per aver partecipato a una occupazione violenta.” Scrive:

“Quando sono tornata dall’Iraq dieci anni fa, alcuni dei miei ricordi più vividi erano quelli in cui puntavo il mio fucile verso uomini e ragazzi, mentre i miei compagni soldati bruciavano camion carchi di cibo e di combustibile  e quelli  in cui osservavo il crudo dolore di una famiglia che aveva scoperto che il loro giovane figlio era stato investito e ucciso da un convoglio militare.

Mi ricordo la mia frustrazione a causa dei comandanti militari che sembravano più preoccupati delle loro decorazioni e dei loro premi che della sicurezza dei loro soldati e per la scoperta che non c’era nessuna arma di distruzione di massa. Ero arrabbiata e frustrata e non potevo raccontarlo ai miei compagni reduci che esprimevano con orgoglio i loro sentimenti, cioè che stavano difendendo la libertà e la democrazia. Non potevo neanche raccontarlo ai civili che mi avrebbero dato l’etichetta di  eroina, ma che non sembravano interessati ad ascoltare davvero la mia storia”

Garret Reppenhagen, anch’egli membro dell’IVAW, ha scritto sul sito web del gruppo, circa l’opposizione che ha ricevuto negli incontri dell’Amministrazione dei Reduci quando tentava di parlare delle sue esperienze, dell’illegalità dell’occupazione irachena e delle bugie dell’ amministrazione BushII/Cheney che ha iniziato la guerra. “Lo sguardo di quando si vuol far capire: ‘sai che non hai il permesso di andare là’”, come si esprime: “Non riesco a parlare della bambina che è esploso perché senza saperlo aveva una bomba nella cartella e di come il suo piede sia arrivato per terra accanto a me sull’altro lato dell’ Humvee. Non riesco a parlare di come abbiamo ucciso, fuori servizio, dei tizi dell’Esercito iracheno che lavoravano   come guardie del corpo del vice governatore, perché ci sembravano degli insorti. Non riesco a raccontare che ho fatto volar via la testa di un vecchio che stava cambiando una gomma perché forse stava sistemando una bomba sul ciglio della strada. Non riesco a parlare di quelle cose senza parlare del motivo per cui la abbiamo fatta.”

Le favole diventano incubi

Perché è stata fatta?  Le spese militari degli Stati Uniti ammontano a un trilione di dollari all’anno, più di quelle di tutti gli altri paesi messi insieme. L’invasione e l’occupazione dell’Iraq sono state  intese a creare una tabula rasa in Iraq, con la sua economia  fatta a pezzi, in modo che le imprese multinazionali con base negli Stati Uniti  lo potessero sfruttare  come volevano, una fantasia neoliberale che si estendeva ben oltre il più ovvio tentativo di controllare il petrolio dell’Iraq. Rovesciare i governi tramite campagne di destabilizzazione, invasioni totali e dettati finanziari attraverso istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale sono state per lungo tempo la risposta degli Stati Uniti a qualsiasi paese che osi utilizzare le sue risorse per dare un beneficio  alla propria popolazione invece che promuovere i profitti delle multinazionali.

E le favole di voler emancipare le donne dai fondamentalisti musulmani? Allora dobbiamo soltanto chiederci perché gli Stati Uniti abbiano finanziato e armato i militanti afgani che hanno rovesciato il loro governo allineato con i Sovietici per aver commesso il crimine di istruire le ragazze. O anche perché il governo degli Stati Uniti sta dalla parte dell’Arabia Saudita e di altri governi ultra-repressivi. Quei militanti afgani sono diventati i talebani e al-Qaida, e hanno dato vita allo Stato Islamico. Altre interferenze in altri paesi generano altra opposizione, altri gruppi estremisti che si alimentano di distruzione e rabbia.

Che cosa ci dice della nostra umanità quando a  un numero sempre maggiore di uomini e di donne si chiede  di portare questi pesi, di pagare questi prezzi così alti per un impero che arricchisce l’1% e rende poveri i lavoratori, comprese le comunità da cui provengono questi soldati. Che cosa dice della nostra umanità quando i paesi che vengono invasi sono ridotti in macerie e subiscono  vittime a milioni, e di tutto questo si esulta come se fosse un video game?

Stimolano ancora di più l’interesse le creazioni artistiche del Progetto Combat Paper. Un’alta opera, “Cry for Help” [Invocare aiuto], di  Eli Wright, rappresenta un uomo che strilla e un telefono tenuto da una mano e da un braccio scheletrici. Del filo spinato è teso in cima. In che modo appropriato ci saremmo attaccati alla nostra umanità se fossimo stati in perlustrazione? Se fossimo stati a rischio di essere uccisi in qualsiasi momento da una pattuglia?

Una seconda mostra di Mr Wright è “Questi colori scorrono dappertutto,” un’opera più minimalista che fa vedere rossi, bianchi e blu che colano lungo la tela, una pioggia che cade su un paesaggio urbano ridotto a uno sfondo indistinto che potrebbe essere interpretato come un simbolo della mancanza di conoscenza dei luoghi che gli Stati Uniti invadono e delle società che le invasioni distruggono. E’ anche uno stravolgimento  pungente  di uno slogan comune usato come mantra di difesa davanti a una dottrina di attacco e di invasione, rappresenta cioè la reale pratica di quello slogan.

Certamente  non parlo e non potrei parlare, a nome di questi artisti. Forse avreste interpretazioni diverse, molto diverse. Il film American Sniper, che esalta un omicida razzista e che quindi simbolizza le tendenze disumanizzanti di color che si battono il petto mentre urlano “Siamo i numeri uno!” quando il bilancio delle vittime aumenta, ha incassato diecine di milioni di dollari. Molto meno denaro cambierà mani come risultato delle creazioni artistiche di Combat Papers. Ma quale prezzo si dovrebbe pagare per la nostra umanità?

 

 

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/the-art-of-becoming-human-

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