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15/07/2015

 

Nucleare, così Teheran può riempire le tasche degli alleati scomodi

di Tommaso Canetta

 

In arrivo un fiume di dollari (100 miliardi?) che l’Iran potrebbe investire tra Assad e Hezbollah, passando per Yemen e Iraq. Ma anche contro l’Isis

 

Dopo mesi di trattativa finalmente è arrivato l’accordo tra il 5+1 (gli Stati del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania) e l’Iran. Ora dovrà essere recepito in una direttiva delle Nazioni Unite, in base alla quale il programma nucleare della Repubblica Islamica verrà rallentato e controllato dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica, in cambio di un alleggerimento delle sanzioni che da quasi dieci anni affliggono l’economia del Paese. Al di là dei dettagli del testo e della questione nucleare nello specifico, uno degli aspetti più importanti è il flusso di denaro che comincerà ad arrivare a Teheran – oltretutto ora maggiormente riconosciuto come attore internazionale - con la riduzione delle sanzioni. Secondo fonti americane citate dalla Reuters, l’Iran avrà accesso a circa 100 miliardi di dollari di asset grazie a questo accordo. È legittimo interrogarsi su cosa intenda farne. Al momento la Repubblica Islamica è infatti impegnata in vari scenari di crisi in Medio Oriente.

 

Siria

È praticamente certo che uno dei beneficiari indiretti dell’accordo con l’Iran sarà il regime di Assad. Già finanziato – di fatto, tenuto in vita – da Teheran con ingenti trasferimenti di capitale (oltre che aiutato militarmente da corpi speciali iraniani e dalla milizia libanese sciita dell’Hezbollah), probabilmente avrà accesso a risorse ancora maggiori. In una guerra civile di lungo periodo – questo è infatti lo scenario ritenuto più probabile dagli analisti – la superiorità tecnologica militare paga quasi sempre. Ora Damasco potrà avervi accesso con maggiore agio (Russia e Cina sono sempre disponibili a vendere ad Assad le proprie armi), riducendo notevolmente le speranze dei ribelli – non solo Isis ma anche moderati e islamisti, che di recente avevano tentato una spallata – di vincere la guerra in tempi rapidi.

 

Iraq

Dopo la caduta del regime sunnita di Saddam Hussein (con cui l’Iran combatté una guerra sanguinosa tra il 1980 e il 1989), gli sciiti – maggioranza nel Paese - hanno preso sempre più il potere, specialmente dopo il ritiro degli Stati Uniti, durante il governo di Al Maliki. L’Iran sostiene il potere sciita e sta combattendo al fianco di Baghdad – e della coalizione internazionale anti-Isis – per riconquistare le aree cadute in mano al Califfato. Anche in questo scenario è prevedibile un ulteriore aumento del coinvolgimento iraniano e un rafforzamento della componente sciita (non solo al governo, ma forte anche di diverse milizie paramilitari). Il rischio è che, per reazione, si intensifichi fino a degenerare lo scontro intra-religioso con la minoranza sunnita del Paese. Le grandi tribù sunnite della regione di Anbar potrebbero schierarsi interamente – già alcune lo hanno fatto – con lo Stato Islamico.

 

Yemen

La tregua precaria che era stata faticosamente raggiunta tra i ribelli sciiti Houthi (sostenuti dall’Iran) e le forze governative sunnite filo-Sauditi stava già crollando (pare per responsabilità dei governativi) nei giorni prima dell’accordo sul nucleare con Teheran e ora potrebbe aver ricevuto il colpo di grazia. L’aviazione saudita ha bombardato con un'intensità raramente vista finora nel conflitto le postazioni Houthi e le forze filo-governative hanno annunciato di aver riconquistato l’aeroporto di Aden. Forte dei miliardi extra che cominceranno ad arrivare nei prossimi mesi, l’Iran potrebbe decidere di aumentare il proprio coinvolgimento e di rispondere all'escalation saudita, data la collocazione strategica del Paese. Lo Yemen si trova infatti al confine meridionale del nemico saudita e controlla lo stretto che dal Mar Rosso immette nel Golfo di Aden e nell'Oceano Indiano.

 

Libano

Il primo e più fedele alleato di Teheran è la milizia sciita libanese di Hezbollah, il Partito di Dio. Bene armata e ideologicamente coesa è stata per decenni la spina nel fianco di Israele e ora viene utilizzata dall’Iran in Siria per sostenere Assad e in Iraq per contrastare l’Isis. Nel futuro potrebbe essere supportata ancor di più dagli Ayatollah sia militarmente, per le operazioni all'estero soprattutto, sia economicamente-politicamente. In questo secondo scenario non si può escludere il rischio che la situazione politica interna del Libano ne risenta e rischi di deflagrare in nuovi scontri tra sunniti, sciiti, cristiani e drusi.

 

I grandi sconfitti di questo accordo sono Israele e Arabia Saudita.

I governanti di ambo gli Stati sono stati immediatamente e personalmente rassicurati dal presidente americano, ma il premier israeliano Netanyahu (che pure godrà dei dividendi politici per l’inasprimento del clima) ha già fatto trapelare la propria totale ostilità all’esito del negoziato. Tel Aviv teme soprattutto che l’Iran possa, tramite Hezbollah e Hamas, rappresentare una minaccia sempre più grave alla sicurezza di Israele. I Sauditi, dal canto loro, sono ovviamente messi in difficoltà dal rafforzarsi del loro nemico regionale con cui stanno combattendo diverse proxy war nell'area. C'è quasi certezza, secondo gli esperti, che per reazione a questo accordo Riad intensificherà il proprio sostegno alle sigle del jihadismo sunnita in funzione anti-sciita (Isis incluso). Ma il fanatismo islamico è una bestia multiforme che, anche se nutrita, non si ammansisce. Il rischio che, oltre a combattere in Siria, Yemen e Iraq, le organizzazioni terroristiche finanziate dai Saud abbiano cellule e lupi solitari che possono colpire anche in Occidente per ideologia e propaganda, come successo in passato, non può essere affatto escluso.

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