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feb 17th, 2015

 

Israele spende in armi. Ma il popolo si impoverisce sempre di più

di C. Alessandro Mauceri

Quando si parla di guerra, il paese che più di ogni altro (fatta eccezione per gli Usa e per le sue missioni di pace) ha fatto parlare di sé è certamente Israele.

Una guerra, quella tra Israeliani e palestinesi, che ha causato solo morti e povertà. Una povertà che oggi in Israele, ha raggiunto livelli preoccupanti: su una popolazione di poco più di otto milioni di persone, oltre 2 milioni e mezzo di israeliani vivono al sotto la soglia di povertà. E tra questi 900 mila bambini (uno su tre). Sono questi i dati dell’ultimo rapporto di Latet, un’organizzazione di assistenza, la quale ha denunciato che il fenomeno è in rapida crescita.

Numeri che hanno fatto presentare dure critiche contro l’operato del premier Benyamin Netanyahu in vista delle elezioni di marzo. L’ex presidente Shimon Peres ha detto che “i bambini affamati e gli anziani non possono essere sfamati con i comunicati”.

Peres pare aver dimenticato che la causa di questa povertà è proprio da ricercare nel perdurare ormai da troppi decenni della guerra israeliano-palestinese e nella decisione di destinare ad armi ed armamenti una parte rilevantissima delle entrate dello Stato.

Eppure proprio a lui, insieme ad Arafat e a Rabin, nel 1994 ricevette il premio Nobel per la Pace con la motivazione “per i loro sforzi per creare la pace in Medio Oriente”. Sforzi assolutamente inutili, stando ai numeri che vedono il numero dei morti continuare a crescere, anno dopo anno. E con il numero delle vittime cresce la spesa per armi e armamenti: secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), tra le fonti internazionali più autorevoli, Israele dedica alla guerra oltre il 7% del proprio Pil. Secondo i dati relativi al 2014, Israele è il paese che ha dedicato alla guerra più soldi di qualsiasi altro Paese al mondo, in percentuale rispetto al Pil (le sole eccezioni sono pochi paesi i cui dati sono però influenzati dal fatto di essere tra i maggiori venditori di armi e armamenti).

Soldi che potrebbero essere utilizzati per risolvere molti problemi economici e sociali, ma che invece vengono utilizzati per comprare o produrre armi e armamenti. A volte in pieno disaccordo con gli accordi internazionali. Non a caso, a dicembre 2014, le Nazioni Unite hanno votato una risoluzione in cui veniva sottolineato come Israele sia l’unica nazione del Medio Oriente a non aver ancora aderito al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT). Una situazione che ormai pare non essere più tollerata neanche dagli alleati di sempre di Israele. Recentemente è stato reso noto da Foreign Policy un documento della Cia che conferma il possesso di armi chimiche e biologiche da parte di Israele e da molti decenni. E ciò nonostante Israele abbia firmato la Convenzione sul bando delle armi chimiche, anche non ha mai ratificato il trattato.

Soldi spesi in armi e armamenti, invece che in aiuti alla popolazione che muore di fame. Eppure il governo israeliano non sembra voler cambiare questo stato di cose: negli ultimi anni la percentuale di spesa, sulle somme a disposizione, del governo in armi e armamenti non è mai scesa al di sotto del 13%,con picchi superiori al 17%.

La conseguenza di questa ostinazione è il forte calo dei consumi e del Pil nazionale. I consumi, specie nel sud del paese, continuano a diminuire: città come Ashdod, Ashkelon e Sderot, hanno visto le vendite crollare del 60 e anche del 70%, nella zona intorno a Tel Aviv sono calati di un terzo. Anche il turismo è in crisi… chi vuole viaggiare in un Paese dove c’è la guerra? Eppure questo settore rappresentava il 7,3% dell’economia israeliana, ed un’unità su tredici dell’intera forza lavoro era occupata nel turismo. Non solo, ma con l’escalation delle ostilità a Gaza e in Siria molte compagnie hanno deciso di non atterrare più all’aeroporto di Tel Aviv e le prenotazioni alberghiere sono diminuite.

A causa della crisi economica e sociale, il Governo è stato costretto a ricorrere ad un’ulteriore stretta fiscale e la Banca di Israele continua a fare grandi sforzi per adeguarsi alle scelte adottate dalle altre Banche Centrali.

Stando a questi numeri, forse, non è sbagliato dire che Israele non vuole la pace. Anche a costo di ridurre alla fame la maggior parte degli israeliani.