Fonte: http://www.eccpalestine.org/eu-non-recognition-policies-need-consistency/


http://www.eccpalestine.org

www.assopacepalestina.org

17 février 2015

 

Le politiche di non riconoscimento della UE hanno bisogno di coerenza.

di Tom Moerenhout

 

Traduzione a cura di Assopace Palestina

 

Il bando alle importazioni adottato dalla UE come parte della propria politica di non riconoscimento dell’annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli solleva la questione sul perché la stessa politica non si applichi anche nel caso degli scambi commerciali con gli insediamenti situati nei territori palestinesi occupati. In questi casi, il non riconoscimento è addirittura imposto dal diritto internazionale, incluso il divieto di scambi commerciali.

La UE ha stabilito formalmente a giugno del 2014 il divieto di importare merci originarie della Crimea o Sebastopoli (Decisione 2014/386/CFSPdel Consiglio eRegolamento (UE) n. 692/2014 del Consiglio) giustificando l’introduzione di questa misura come parte integrante della propria politica di non riconoscimento. In questo caso, il non riconoscimento faceva seguito all’annessione illegale di tali territori e leconclusioni del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo 2014, che condannano esplicitamente l’annessione illegale e confermano il non riconoscimento, hanno costituito la base legale del divieto di importazione.

È importante comprendere che l’obbligo di non riconoscimento sussiste anche nel caso degli insediamenti israeliani nei territori occupati e che, inoltre, la base legale dell’obbligo è molto più solida rispetto ai casi della Crimea e di Sebastopoli. Naturalmente, qualsiasi esperto policy-maker è consapevole che la realtà politica determina l’implementazione del diritto internazionale. Detto ciò, le politiche e le misure di non riconoscimento sono strumenti fondamentali per la tutela della stabilità del sistema (giuridico) internazionale e non dovrebbero essere né adottate con leggerezza né soccombere a una realpolitik di breve periodo.

L’UE, purtroppo, non rispetta l’importanza che dà allo stato di diritto:l’attuazione delle politiche fondamentali di non riconoscimento è, nel migliore dei casi, incoerente.

Nel caso dell’occupazione israeliana l’obbligo di non riconoscimento si applica non solo alla costruzione del muro (come spiegato nel parere consultivo della Corte internazionale di giustizia (CIG)) ma anche agli insediamenti illegali. Questo principio è sostenuto da noti studiosi di diritto, da numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU (in particolare, la risoluzione 465) e, più rilevante dal punto di vista politico, dalla stessa Unione Europea.

Le norme fondamentali del diritto internazionale vietano il trasferimento della popolazione nei territori occupati e garantiscono il diritto all’autodeterminazione contro l’annessione illegale. Allo stesso tempo, il diritto pubblico internazionale stabilisce che lo stato occupante non può trarre vantaggi economici dall’occupazione (Convenzione dell’Aja e Quarta convenzione di Ginevra). Questa stessa norma è anche affermata dal diritto israeliano (caso ElonMoreh). Quando queste norme fondamentali e perentorie del diritto internazionale vengono infrante, gli stati hanno l’obbligo di non riconoscere e di non agevolare la violazione compiuta.

L’obbligo di non riconoscimento consta di due elementi:in primo luogo la consuetudine; in secondo luogo, è un obbligo di immediata applicazione, che non necessita di un’azione collettiva per essere attivato. Quando uno stato rileva una violazione delle norme perentorie del diritto internazionale non necessita dell’azione delle Nazioni Unite (ovvero, in questo caso, un embargo commerciale secondo quanto previsto nel capitolo VII) per non riconoscere in alcun modo la violazione in atto. L’immediata applicazione dell’obbligo consuetudinario impedisce ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza (la Russia nel caso della Crimea, gli Stati Uniti nel caso degli insediamenti israeliani), o ad altri stati da questi protetti, di violare tali norme o di ostacolare l’esercizio dell’obbligo di non riconoscimento da parte degli altri stati membri delle NU.

Evitare gli scambi commerciali da cui trae profitto lo stato occupante costituisce una componente importante dell’obbligo di non riconoscimento. Il divieto di commercio non deve essere considerato una sanzione (ovvero una azione positiva) quanto piuttosto una rettifica di un errore nelle relazioni commerciali internazionali: gli scambi commerciali con gli insediamenti riconosciuti illegali a livello internazionale. Non si tratta quindi di vietare tali scambi (obbligo positivo) ma di evitare di commerciare con un attore illegale se tale commercio va a vantaggio dell’occupante (obbligo negativo).

Torniamo dunque al punto di partenza. Nel caso degli insediamenti israeliani nei territori occupati l’UE attualmente viola il proprio obbligo fondamentale di non riconoscimento. Un divieto di commercio con gli insediamenti non dovrebbe essere una mossa politicamente controversa quanto piuttosto una rettifica dell’errore commesso nell’applicazione del diritto fondamentale internazionale. L’obbligo di non riconoscimento è valido per tutti gli stati membri della UE: se la UE, che ha competenza esclusiva in materia di commercio, non si attiene ai propri obblighi legali internazionali, allora gli stati membri devono intervenire e garantire di non commerciare con gli insediamenti al fine di non violare essi stessi i propri obblighi giuridici internazionali.

Considerata la posizione della UE e le misure di non riconoscimento introdotte in seguito all’annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli, si può presumere che la UE è ben consapevole dell’importanza del principio di non riconoscimento ma decide, per ragioni politiche, di non implementare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale nel caso del commercio con gli insediamenti israeliani.

Può sembrare controverso a livello politico ma in base al diritto pubblico internazionale, al diritto commerciale internazionale e al diritto della UE i singoli stati hanno la facoltà di garantire l’implementazione dei propri obblighi giuridici internazionalifondamentali; a dire il vero, non solo ne hanno la facoltà, ma sono obbligati a farlo.

 

 

 

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17 février 2015

 

EU Non-Recognition Policies Need Consistency

 

The EU import ban under its policy of non-recognition of illegal annexation of Crimea and Sevastopol begs the question why such non-recognition policies are not applied in the case of trade with settlements located in the Occupied Palestinian Territory. In this case, international law even mandates non-recognition, including a prohibition on trade.

In June 2014, the European Union formally decided to prohibit imports from Crimea or Sevastopol (Council Decision 2014/386/CFSP & Council Regulation (EU) No 692/2014). The stated reason: an import ban is an integral part of the EU’s non-recognition policy. In this case, non-recognition was related to the illegal annexation of these territories. The legal basis for this import ban was the European Council Conclusions of 20/21 March, which explicitly condemned the illegal annexation and confirmed non-recognition.

It is important to understand that an obligation of non-recognition also exists in the case of Israeli settlements in the Occupied Territories. Moreover, the legal basis for this duty of non-recognition is much stronger than it is in the case of Crimea and Sevastopol. Of course every knowledgeable policy maker is aware that political realities eventually determine the implementation of international law. That said, policies and actions related to non-recognition are fundamental to safeguarding the stability of the international (legal) system, and should not be taken lightheartedly, nor be succumbed to short-term realpolitik.

Indeed, and unfortunately, the EU does not respect its own emphasis on the rule of law. Its implementation of fundamental non-recognition policies is, at best, inconsistent.

In the case of the Israeli occupation, the duty of non-recognition applies not only to the construction of the Wall (which the International Court of Justice (ICJ) explained in its advisory opinion) but also to the illegal Israeli settlements. This has been affirmed by prominent legal scholars, by numerous UN trade Council Resolutions (most notably Resolution 465) and, politically most important, by the European Union itself.

Fundamental norms of international law prohibit the transfer of population to occupied territories and guarantee the right to self-determination against illegal annexation. At the same time, it is well established under public international law (the Hague Convention and Fourth Geneva Convention) that economic gains from the occupation for the occupying force are illegal. This has even been affirmed under Israeli law (the Elon Moreh case). When such fundamental, peremptory norms of international law are breached, States have the obligation not to recognize or assist the breach of these norms.

The obligation of non-recognition holds two elements. First, it is a customary obligation. Second, it is a self-executing obligation, which does not need collective action to be triggered. When a state observes a breach of peremptory norms of international law, it does not need action by the United Nations (i.e. in this case a trade embargo under Chapter VII) to not recognize by any measure or action the illegality at hand. The self-executing nature of the customary obligation is to prevent permanent members of the Security Council (Russia in the case of Crimea, the United States in the case of Israeli Settlements), or other states protected by them, from being able to breach such norms or prevent the exercise of the duty of non-recognition by other UN members.

Withholding from trade that benefits the occupant is indeed an important part of the duty of non-recognition. Such a  prohibition is not to be seen as a sanction (which would be a positive action) but rather as a rectification of an error in international trade relations: trade with internationally recognized illegal settlements. It is thus not about banning trade (a positive obligation) but about refraining oneself of trade with an illegal actor if such trade benefits the occupant (a negative obligation).

This brings us full circle. The EU is currently violating its own fundamental obligation of non-recognition in the case of Israeli settlements in the Occupied Territories. A ban on trade with settlements would not need to be a politically controversial move, but rather a rectification of its own error in applying fundamental international law. The obligation of non-recognition equally applies to every EU member state. If the EU, who holds the exclusive competence for trade, fails to abide by its international legal obligations, then member states need to step in and guarantee they themselves do not trade with settlements and as such breach their international legal obligations.

Given the EU’s position and action related to the non-recognition of illegal annexation of Crimea and Sevastopol, one can now safely assume that the EU is very well aware of the importance of the non-recognition principle, but decides, for political reasons, not to implement its own obligations under international law related to trade with Israeli settlements.

It may seem politically controversial, but individual states are permitted under international public law, international trade law and EU law to guarantee their own implementation of these fundamental international legal obligations. Indeed, they are not only permitted, they are obliged.

 

Tom Moerenhout: Graduate Institute of International and Development Studies, Ginevra, Svizzera. Autore di “The Obligation to Withhold from Trading in Order not to Recognize and Assist Settlements and Their Economic Activity in Occupied Territories” (2012), Journal of International Humanitarian Legal Studies. 

Per un’analisi accademicadel diritto applicabile, completa e revisionata da esperti, vedere: Tom Moerenhout. “The Obligation to Withhold from Trading in Order not to Recognize and Assist Settlements and Their Economic Activity in Occupied Territories” (2012) Journal of International Humanitarian Legal Studies.