Middle East Monitor - 21st Century Wire - 10.03.2015 – Durante un comizio elettorale nella città occidentale di Herzliya, Lieberman ha detto "Quelli che sono con noi, devono ricevere tutto" in termini di diritti, dice, secondo l’israeliana Channel 2. "Quelli che sono contro di noi, non possono essere aiutati, dobbiamo sollevare un'ascia e decapitarli, altrimenti qui non riusciremo a sopravvivere".

Al contempo ha aggiunto che non c'era ragione per Umm Al-Fahm, una città araba nel nord di Israele, di continuare a far parte del suo paese.

Lo scrittore ebreo Gideon Levy ha affermato tra l’altro: "Mentre stiamo ancora disperatamente dissimulando, negando e reprimendo la nostra maggiore pulizia etnica del 1948, oltre 600.000 sfollati, alcuni fuggiti per paura delle Forze di Difesa israeliane e dei loro predecessori, alcuni espulsi con la forza, si scopre che il 1948 non finisce mai, che il suo spirito è ancora con noi … l’Enciclopedia Britannica definisce la pulizia etnica come il tentativo di creare aree geografiche etnicamente omogenee attraverso la deportazione o il trasferimento forzato di persone appartenenti a particolari gruppi etnici … Ma nell'era moderna è emerso un consenso internazionale intorno all’idea che la pulizia etnica sia un crimine di guerra e un crimine contro l'umanità. In alcuni casi, le Nazioni Unite hanno dichiarato la pulizia etnica una forma di genocidio."

 


Haberler - 10.03.2015 – anadolu agency – Martedì, Sheikh Raed Salah, capo del Movimento islamico nel nord di Israele, ha descritto all'agenzia Anadolu, le recenti minacce del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman di "decapitare" gli arabi israeliani sospettati di slealtà verso Israele come una "dichiarazione di guerra". "Le dichiarazioni di Lieberman non sono nemmeno degne di commento … E' una persona spericolata le cui dichiarazioni sono pari a una dichiarazione di guerra al mondo musulmano e al popolo palestinese", ha aggiunto. Domenica, Lieberman, leader del partito di destra Yisrael Beiteinu, ha detto che i cittadini arabi che si oppongono a Israele dovrebbe essere decapitati con l'accetta. "Chi è con noi dovrebbe avere tutto, ma chi è contro di noi ... Dobbiamo sollevare un'ascia e tagliargli la testa, altrimenti non si sopravviverà qui", ha detto Lieberman durante un comizio elettorale. Lieberman, che ha già chiesto il divieto pro-resistenza del Movimento islamico Salah, ha anche detto che chi ha sollevato la bandiera nera associata alla "Giornata della Nakba" - destinata a simboleggiare il lutto per la creazione di Israele nel 1948 - non appartiene ad Israele. Salah, da parte sua, ha difeso la decisione del suo movimento di non partecipare alle prossime elezioni della Knesset israeliana, il 17 marzo, a differenza del ramo del movimento nel sud di Israele. "La Knesset è uno strumento del progetto sionista che mira a ... legittimare la persecuzione e la discriminazione storica che i palestinesi hanno sofferto … La nostra esperienza con i parlamentari arabi in campo per più di 19 legislature della Knesset, ha ottenuto quasi zero benefici per i palestinesi in Israele … Israele usa la presenza araba nella Knesset per imbiancare la sua brutta faccia di fronte alla comunità internazionale", ha aggiunto. Israele si riferisce ai palestinesi che sono rimasti nella Palestina storica, dopo la creazione di Israele nel 1948 come "arabi israeliani". Ci sono 1,6 milioni di arabi in Israele, che rappresentano circa il 20 per cento della popolazione totale del paese, secondo i dati di Israele. Salah è stato schiaffeggiato lo scorso anno, con una condanna di sei mesi di carcere, poi sospesa da un tribunale israeliano, e 2600 dollari multa per aver ostacolato il lavoro della polizia israeliana nel 2011. Attualmente le autorità israeliane gli hanno vietato di viaggiare.

 


10 marzo 2015 - Nena News – Avrebbero dovuto generare sconcerto le parole pronunciate domenica a Herzelya dal ministro degli esteri israeliano, Avigdor Lieberman, secondo il quale i cittadini “arabi d’Israele” che sono contro gli israeliani dovrebbero essere decapitati. Lieberman, in modo non nuovo nella logica politica locale, aveva diviso gli “arabi” che supportano Israele (“che dovrebbero ricevere tutto [in termine di diritti]”) da quelli che sono “contro di noi per cui dobbiamo alzare un’ascia e decapitarli, altrimenti non sopravviveremo qui”.

Una dicotomia tra il selvaggio (si legga “arabo”) buono e il cattivo che spesso ritorna nel linguaggio politico israeliano. A dividere la comunità araba aveva già pensato lo scorso anno il parlamentare del Likud Levin che aveva distinto i palestinesi d’Israele in “cristiani” (possibili alleati) dai “musulmani” (i veri e propri “arabi”) nemici invece dello stato ebraico. Ma se la logica alla base non sorprende perché è la stessa – spaccare la comunità palestinese dello stato ebraico e reprimere al suo interno qualunque dissenso nei confronti della classe dominante ashkenazita – quello che colpisce questa volta è la violenza verbale inaccettabile promossa da un alto dirigente di uno stato che si vanta di essere faro di democrazia e di civiltà nel medioriente “barbaro” musulmano.

Le decapitazioni promosse dal ministro avrebbero dovuto pertanto generare sdegno e dure prese di posizioni del mondo politico israeliano . Ma niente di tutto ciò è successo. E forse è proprio questo il messaggio più inquietante. Hanno taciuto la sinistra liberal rappresentata da Meretz, il “Campo sionista” del centrista Hertzog (il principale rivale del premier Netanyahu), e, ma questo era scontato, la destra. In Israele le elezioni sono ormai prossime e il mondo politico israeliano sa bene che condannare parole contro la minoranza araba del Paese (circa il 20% della popolazione) potrebbe avere ripercussioni negative in termine di voti.