Fonte: Il Faro sul Mondo

28 luglio 2015

 

Nethanyahu tenta di fermare la Storia

di Salvo Ardizzone

 

L’accordo sul nucleare iraniano per “Bibi” Nethanyau è stato un tracollo politico-diplomatico che ha isolato Israele e ne ha infranto la tradizionale ed incondizionata capacità di orientare le politiche internazionali a suo piacimento.

Il Premier israeliano ha puntato tutta la sua politica estera su una contrapposizione frontale basata sulla forza bruta, dicendo no a qualunque proposta di compromesso; per farlo non ha esitato ad ingaggiare una battaglia personale con Obama, giungendo fino a parlare al Congresso per ridicolizzare la linea del Presidente Usa.

In realtà, la sua è stata una scelta precisa, la stessa che gli ha permesso di vincere sorprendentemente le elezioni malgrado la collezione di fallimenti. “Bibi” non ha una strategia per il futuro; tutto quello che ha fatto e fa è solo attizzare al parossismo l’arroganza e il fanatismo di Israele da un canto, e fare leva su una popolazione abituata a “sentirsi” diversa, a fare liberamente ciò che le pare con l’universale beneplacito della comunità internazionale, che ora vede le cose cambiare inesorabilmente e prova disorientamento e timore.

 

Ciò che persegue in tutti i modi non è la stabilizzazione del Medio Oriente, al contrario; il suo unico fine è il mantenimento dello status quo, con una regione dilaniata dai conflitti, in cui Israele continui la sua oppressione, le sue violenze, i suoi crimini.

Per questo ha elevato ad ossessione l’Iran, dipinto come il nemico assoluto, perché è l’unica potenza capace d’imprimere un nuovo corso a tutta l’area, ponendo fine alle “proxy wars” in Siria ed Iraq, ed emergendo come riferimento ed elemento di stabilizzazione per tutto il Medio Oriente allargato e i suoi punti di crisi, dal Libano all’Afghanistan.

La sconfitta subita a Vienna, invece di fargli rivedere i piani fin qui fallimentari, ne ha esasperato ancor di più i toni: da un canto sfidando ancora una volta Obama, mobilitando la lobby ebraica per manovrare il Congresso in una disperata battaglia contro l’accordo; dall’altro, stringendo rapporti sempre più fitti con gli sconfitti di quell’intesa, che vedono in testa la casa reale saudita.

Riyadh sa bene che lo sdoganamento politico dell’Iran porrà fine ai propri disegni di dominio, e percepisce l’inevitabile emergere di Teheran come il pericolo più grave per i suoi interessi ed il suo sistema di potere, che garantisce a pochi immensi privilegi.

Anche al-Sisi ha tutto da perdere da un ridimensionamento del potere del Golfo e da una stabilizzazione del Medio Oriente, che gli toglierebbe il ruolo usurpato di cui gode, e il fiume di denaro che tiene in sella lui e un pugno di generali.

I contatti diplomatici sono febbrili perché tutti gli sconfitti di Vienna, tutti coloro che hanno fondato le loro fortune sui conflitti e sulle crisi del Medio Oriente, sanno d’essere all’ultima spiaggia.

È l’idea della normalizzazione dell’area a far paura, sia a sceicchi che difendono il proprio potere assoluto, sia a generali che proteggono i privilegi della propria casta, sia infine, e siamo al cuore del problema, a tutti coloro che sostengono una fanatica missione di predominio del popolo ebraico.

Nethanyau è al centro di questo gruppo, che continua a manovrare per attizzare i conflitti ed alzare il livello dello scontro perché tutto rimanga come sempre. Ma troppe cose sono ormai cambiate e stanno mutando ancora velocemente: la Storia non s’arresta e travolge chi pensa di fermarla.