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22 febbraio

 

La rivoluzione dietro i titoli dei giornali: l’autonomia nella Siria settentrionale

di Joris Leverink

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Durante i quattro mesi in cui Kobane è stata sotto l’assedio dell’ISIS,  pochi media hanno prestato attenzione alla  vera lotta della gente della Siria del Nord, in cui si sta combattendo per la vera democrazia, per i diritti delle donne, e per la sostenibilità ecologica.

 

Il 26 gennaio, dopo 134 giorni di  resistenza,  le forze di difesa curde hanno annunciato che hanno   cacciato fuori con successo le forze  dello Stato islamico (IS, in precedenza noto come ISIS) da Kobane. Nel corso dei quattro mesi e mezzo in cui la città della Siria settentrionale è stata sotto attacco dell’ISIS, è diventata un simbolo della resistenza  contro le forze jihadiste apparentemente ‘imbattibili’ e un bastione di libertà nel caos e nella distruzione della guerra civile siriana.

Fin dalla liberazione di Kobane, le forze di difesa curde dell’ YPG e dell’ YPJ (Unità di Difesa del Popolo e Unità di Difesa delle Donne) hanno continuato la loro avanzata contro l’ISIS e nelle scorse settimane sono riuscite a liberare quasi due terzi dei circa 350 villaggi che insieme costituiscono il distretto di Kobane. La vittoria a Kobane non è soltanto una  sonora  sconfitta per l’ISIS ma, ciò che più conta,  è forse il significato simbolico di questo evento. All’immagine di invincibilità dell’ISIS è stato inflitto un colpo letale, mentre  i curdi si sono dimostrati alleati indispensabili nella battaglia contro gli estremisti della regione.

Mentre la battaglia per Kobane ha ricevuto moltissima attenzione sui media internazionali – le ‘esotiche’ donne combattenti dell’YPJ – pochi organi di stampa hanno dato copertura alla vera battaglia dei curdi. Fin dall’estate 2012, quando il Partito Curdo di Unione Democratica ha dichiarato l’autonomia dei tre distretti nella Siria settentrionale, nel loro insieme noti come Rojava, la popolazione locale è stata coinvolta in una lotta rivoluzionaria dal basso verso l’alto che persegue una democrazia orizzontale, uguaglianza di genere e sostenibilità ambientale.

La rivoluzione del Rojava – come da allora è diventata nota – è apertamente anti-statista e anti-capitalista, e questo potrebbe essere infatti uno dei motivi per cui ha ricevuto così poca attenzione dai media convenzionali. Malgrado la sua assenza dai titoli della stampa mondiale, si potrebbe sostenere che la rivoluzione del Rojava è di fatto uno dei progetti politici più importanti che attualmente vengono perseguiti nel mondo.

 

Da cittadini di seconda categoria a rivoluzionari di prima classe

Quando nel marzo 2011 i siriani, ispirati dalle insurrezioni popolari in Egitto e in Tunisia, sono scesi nelle strade in massa per domandare la caduta del regime di Assad, pochi avrebbero previsto che questa pacifica rivoluzione sarebbe presto precipitata  nel caos, causando la morte di centinaia di migliaia di civili e lasciando il paese in rovina. I Curdi siriani, che vivono principalmente nelle tre regioni più a nord, cioè: Afrîn, Kobane e Cezîre, aveva tanta ragione come tutti  –  e probabilmente di più – di chiedere la caduta del regime.

Per molti anni gli abitanti curdi del paese erano stata trattata come cittadini di seconda categoria, con le loro terre natie  lasciate in condizioni di sottosviluppo dal governo centrale che trattava il Rojava come una colonia interna. Mentre è ricca di petrolio e di terreni agricoli, non si riusciva a trovare nella regione nessuna raffineria e meno di una manciata di fabbriche. Inoltre, a causa di un divieto istituzionale sulla  lingua curda  le scuole fornivano l’istruzione soltanto in arabo, e per l’istruzione dopo la scuola media gli studenti erano costretti a  trasferirsi in centri urbani come Aleppo e Damasco.

Nel 2004, i Curdi in tutto il paese sono insorti dopo che uno scontro tra tifosi di calcio curdi e arabi durante una partita nella città di Qamishli, capitale regionale del distretto di Cezîre, era sfuggito di mano. La violenza sproporzionata usata dalle forze di sicurezza per  reprimere più severamente soltanto i tifosi curdi, ha scatenato un’insurrezione durata per una settimana che rapidamente si è diffusa dalle città e dai villaggi del nord fino alla capitale e ad altre città con predominanza araba. Dopo parecchi giorni di  disordini,  almeno 30 persone sono state uccise. Tuttavia, più importante per il futuro del Rojava è stato il fatto di aver capito che i Curdi siriani non potevano contare sui loro vicini arabi nell’opposizione al regime.

Gli eventi del 2004 sono stati uno dei motivi per cui i Curdi hanno esitato a unirsi all’insurrezione contro Assad nel 2011. Sicuramente, dimostrazioni pacifiche si sono svolte nelle regioni curde così come in molti altri luoghi, ma dopo che l’insurrezione popolare si è trasformata in una feroce e violenta guerra civile, le milizie curde e i partiti politici hanno esitato ad allinearsi con l’Esercito Siriano Libero (FSA) e con la sua ala politica, il Consiglio Nazionale Siriano (SNC). Non essere riuscito a ottenere la garanzia dalle forze di opposizione che i Curdi non avrebbero sofferto di emarginazione ed esclusione in un futuro dopo-Assad, il governo controllato dall’SNC ha portato i partiti curdi a scegliere una cosiddetta ‘Terza Via’ in cui si non sono allineati né con il regime né con i ribelli.

 

La rivoluzione dal basso

L’approccio della “Terza Via” si è dimostrato riuscito quando, il 19 luglio 2012 i partiti curdi hanno preso il controllo di molte istituzioni governative nella regione e Assad ha iniziato a ritirare le sue forze lasciando un vuoto di potere che è stato rapidamente riempito dal PYD. Si è formato un nuovo organismo, il Movimento per una Società Democratica, noto con il suo acronimo kurdo (TEV DEM) per supervisionare e facilitare l’attuazione , delle strutture del nuovo, diretto tipo di amministrazione  democratica. IL TEV DEM   è stato creato  per organizzare la società in gruppi di lavoro diversi,  in comitati e assemblee popolari, ognuna incentrata su campi specifici come i problemi delle donne, l’economia, l’ambiente, la difesa, la società civile e l’educazione, e altri.

IL TEV DEM può essere scelto come una delle principali ragioni per  la rivoluzione nel Rojava  non si è arresa   ai distruttivi conflitti interni che hanno perseguitato così tanti altri gruppi di opposizione saltati fuori nel contesto della Primavera Araba. Il TEV DEM non ha funzionato come catalizzatore della rivoluzione del Rojava, ma ha piuttosto canalizzato lo spirito rivoluzionario già esistente, dirigendo le energie del popolo verso la costruzione di una nuova società invece che verso la distruzione di quella vecchia. I quattro principi del TEV DEM possono fare molto per spiegare  la sua attrazione per il popolo oppresso ed emarginato del Rojava. Questi sono: la rivoluzione deve avvenire dal basso al alto; deve essere sociale, culturale, formativa,     come la rivoluzione politica; dovrebbe essere diretta contro lo stato, il potere e l’autorità e infine deve essere il popolo ad avere l’ultima parola in tutti i processi decisionali.

Mentre il resto della Siria precipitava nel caos, la gente del Rojava si radunava in assemblee di quartiere e in comunità locali,  organizzandosi a vantaggio della società. Mentre l’ISIS entrava nella guerra siriana  nella prima metà del 2013, le donne del Rojava formavano la spina dorsale della rivoluzione, presentandosi a tutti i livelli di organizzazione e prendendo parte attiva nel modellare un movimento non patriarcale e anti-capitalista. E mentre gli occhi del mondo erano concentrati sul massacro e la distruzione della guerra civile siriana e sul fatto che tracimasse  in Iraq, i tre cantoni del Rojava dichiaravano tranquillamente la loro autonomia dal governo centrale.

 

Autonomia, non indipendenza

Un importante dettaglio che viene spesso trascurato è che il popolo del Rojava non si è separato dalla Siria; ha dichiarato la sua  autonomia e non la sua  indipendenza. L’articolo 12 della ‘Carta del Contratto Sociale’, cioè la Costituzione del Rojava, annunciata e attuata nel gennaio 2014 – dichiara chiaramente che “Le Regioni Autonome formano una parte integrale della Siria. E’ un modello per un futuro sistema decentralizzato di governo in Siria.” La ricerca di autonomia  piuttosto che di indipendenza è significativo. Mostra che il loro progetto non è esclusivamente curdo e che, sebbene non sia attivamente coinvolto  nell’insurrezione mirata a rovesciare Assad, il popolo del Rojava si sente davvero impegnato nel futuro del proprio paese.

La dichiarazione di autonomia regionale è inoltre indicativa dei legami tra il movimento nel Rojava e il Movimento Curdo per la Libertà nel Kurdistan nel Nord (Turchia di sud-est). Gli stretti collegamenti tra il PYD e il Partito   dei Lavoratori del Kurdistan(PKK) non sono mai stati un segreto. Il PYD è stato fondato nel 2003 come la sua organizzazione siriana sorella, del PKK messo fuori legge, e migliaia di Curdi siriani hanno combattuto nei ranghi del PKK in Turchia. Entrambe le organizzazioni considerano Abdullah Öcalan come loro capo spirituale e il suo  concetto di Confederalismo Democratico è l’ideologia   guida  sia per la rivoluzione del Rojava che per i numerosi progetti locali nelle regioni sud-orientali della Turchia dominate dai Curdi.

L’orientamento ideologico ritrovato di Öcalan che partiva da una prospettiva marxista-leninista in cui uno stato socialista, indipendente era l’obiettivo finale per i Curdi, per arrivare a una convinzione politica che considera una federazione di comunità autonome, indipendentemente dai loro contesti etnici e/o religiosi come forma ideale di organizzazione politica e sociale, era stata fortemente influenzato dalle opere del pensatore anarchico americano, Murray Bookchin. Nei suoi studi, Bookchin guardava le origini della gerarchia sociale e concludeva che il dominio umano sulla natura  ha le sue radici nel dominio umano sugli esseri umani. Allo scopo di creare una società umana che non soltanto abolisce le relazioni gerarchiche tra esseri umani, ma che è anche in armonia con l’ambiente ecologico, Bookchin proponeva l’idea di ‘municipalismo libertario’.

Le  idee di Bookchin riguardanti le assemblee del popolo, la democrazia diretta e una confederazione di comunità locali autonome, vengono attualmente attuate in tutti e tre  cantoni che insieme formano il Rojava. I consigli popolari, o ‘Camere del Popolo’, costituiscono il cuore del sistema politico. Il primo livello di organizzazione sono le comuni locali, ognuna formata da 30-150 famiglie; al livello successivo ci sono i consigli di villaggio e di quartiere che consistono di  30-70 comuni ciascuno; ci sono poi i consigli di zona  e infine c’è l’MGRK, il Consiglio del Popolo del Kurdistan Occidentale. Le decisioni vengono comunicate da un livello a quello successivo da due delegati, un uomo e una donna, eletti a questo scopo. Inoltre, tutti i consigli devono rispettare una quota di genere del 40%.

 

I curdi della Siria hanno bisogno di solidarietà, non di beneficienza

Sfortunatamente,  maprevedibilmente, la rivoluzione del Rojava è stata tutto tranne che ignorata sui media e anche nei circoli politici internazionali. Il progetto di democrazia radicale, la creazione di zone autonome e le sue violente critiche sia dell’imperialismo che del capitalismo, non hanno lasciato il popolo del Rojava con molti amici. Perfino Masoud Barzani, capo del limitrofo Kurdistan iracheno, guarda il Rojava con occhi sospettosi, rendendosi conto che un’analoga rivoluzione nell’Iraq settentrionale significherebbe automaticamente la fine del suo governo. Più preoccupante, tuttavia, è stata l’inclinazione della Turchia verso gli esperimenti dei Curdi siriani.

“Per noi il PYD è la stessa cosa che il PKK, è un’organizzazione terrorista,” ha dichiarato pubblicamente il presidente turco Erdo?an in replica ai piani per armare il PYD al culmine della battaglia per Kobane. Durante tutto il conflitto la Turchia ha tenuto  ermeticamente chiusi i suoi confini con la città siriana, non permettendo che

alcun aiuto, medico o militare, raggiungesse i difensori di Kobane. La sola eccezione è stata quando ha permesso a un piccolo battaglione di 150 combattenti Peshmerga del Kurdistan iracheno di attraversare il confine per combattere insieme all’YPG/YPJ contro l’ISIS.

La Turchia teme che  una rivoluzione del Rojava che abbia un esito felice potrebbe stimolare la sua popolazione curda interna a perseguire un obiettivo analogo. In realtà, sia i gruppi della società civile come il Congresso Democratico del  Popolo (DTK) che i partiti politici come il Partito Democratico del Popolo (HDP) hanno già da anni attuato e appoggiato strutture locali di governo. L’autonoma per i Curdi della Turchia significherebbe  che Ankara perderebbe il controllo diretto, quotidiano su circa un quinto del suo territorio, una cosa che è inaccettabile per il governo attuale.

Per queste e altre ragioni, il governo turco ha finora rifiutato di fornire aiuto in qualsiasi forma alla popolazione del Rojava in generale, e in particolare alla città di Kobane.

Affinché la ricostruzione di Kobane sia possibile, e affinché la popolazione del Rojava sia in grado di continuare a resistere alla sempre imminente minaccia di avere le forze jihadiste sulla soglia di casa, è assolutamente fondamentale che la Turchia apra i suoi confini con le regioni siriane sotto il controllo curdo. Se il passato comportamento della Turchia serve come indicazione delle sue azioni future, allora c’è poca speranza che questo accada in tempi brevi.

Tuttavia, nel caso si  richiedesse  la pressione da parte di altri governi per costringere la Turchia ad aprire i sui confini, la gente di Kobane deve stare attenta alle persone da cui accetta aiuto per la ricostruzione della loro città. Aiuti incondizionati senza l’aggiunta di altre condizioni  sono un fenomeno raro. Allo scopo di conservare la loro indipendenza radicale e i valori fondamentali della rivoluzione per i quali hanno combattuto, è cruciale che né alle organizzazioni  sovranazionali come l’ONU, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, né alle imprese globali che ficcano il naso nelle risorse naturali della regione sia permesso l’accesso da parte del popolo del Rojava. La vera battaglia dei Curdi della Siria è loro, e soltanto loro. Nei prossimi mesi e anni avranno bisogno di tutta la solidarietà che potranno avere, ma i loro impressionanti  precedenti  dimostrano che l’ultima cosa di cui hanno bisogno loro sono stanziamenti mascherati da beneficienza da parte delle potenze occidentali.

 


Joris Leverink è un giornalista indipendente di base a Istanbul ed è uno dei redattori della rivista online ROAR Magazine.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/the-revolution-behind-the-headlines-autonomy-in-northern-syria

Originale: non indicato

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