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mar 2nd, 2015

 

Il Kurdistan vuole l’indipendenza

di Shorsh Surme

 

Il principio di autodeterminazione dei popoli sancisce l’obbligo, in capo alla comunità degli stati, a consentire che un popolo sottoposto a dominazione straniera (colonizzazione o occupazione con la forza), o facente parte di uno stato che la pratica, possa determinare il proprio destino in uno dei seguenti modi: ottenere l’indipendenza, associarsi o integrarsi a un altro stato già in essere, o, comunque, a poter scegliere autonomamente il proprio modello politico.

Infatti, proprio secondo questo principio, i curdi stanno preparando il quadro giuridico nel parlamento regionale del Kurdistan per un referendum sull’autodeterminazione e per decidere se le zone contese fra Baghdad e Erbil debbano unirsi al Kurdistan o rimanere con Baghdad. La cosa interessa in modo particolare la città di Kirkuk e tutte le sue province, che doveva essere risolto da tempo con l’articolo 140 della nuova Costituzione irachena, approvata nel 2007, la quale prevedeva entro il 31 dicembre dello stesso anno l’indizione di un referendum per l’annessione della provincia di Kirkuk alla regione del Kurdistan, cosa che poi non è stata fatta da parte del governo centrale, ignorando completamente la nuova costituzione.

Quasi certamente se venisse tenuto un referendum, tutte le zone contese tornerebbero far parte della loro madre patria, cioè il Kurdistan, perché sono sempre state terre curde. Pochi sanno della politica di arabizzazione e di pulizia etnica praticata da tutti i regimi che si sono succeduti in Iraq. Per la prima volta nel giugno del 1963 il regime baathista di Ali Saleh al-Sa’adi, che appena aveva preso il potere in Iraq, distrusse tredici villaggi curdi vicino a Kirkuk, deportandone l’intera popolazione, come pure di altri trentaquattro villaggi nel distretto di Dubz, sostituendo gli abitanti con gli arabi provenienti dal centro e dal sud dell’Iraq.

Ancora nel 1973 Saddam Hussein diede il via ad una vera e propria politica di arabizzazione delle aree petrolifere della regione curda, proceduta con la creazione di nuovi villaggi interamente arabi e fattorie gestite da arabi, e sono stati praticati soprusi di ogni genere nei confronti della popolazione curda. Questo nonostante la convivenza pacifica da secoli tra tutte le minoranze quali gli assiri, i turcomanni e gli arabi autoctoni, questi ultimi anche ora vorrebbero rimanere e vivere nelle zone sotto controllo dei curdi per via della stabilità garantita, piuttosto che sotto il controllo del governo centrale o sotto delle milizie sunnite dello Stato Islamico.

La domanda chiave è quindi: chi appoggerà l’indipendenza curda? La risposta, purtroppo, è una sola: nessuno. Perché il più delle volte i paesi lontani dal Kurdistan, ma presenti sulla scena internazionale, formalmente hanno approvano e sostenuto l’indipendenza dei curdi, ma nella sostanza hanno continuato ad appoggiare la politica repressiva dei singoli governi spesso con aiuti economici ai vari regimi, nascondendo così le consuete dinamiche dell’imperialismo dietro un intervento indiretto, ma ugualmente efficace.

Nonostante tutto il sogno di vivere in un Kurdistan libero e indipendente rimane inscritto in ogni singolo curdo.

-Shahadi, controllata dalle bande di Al Baghdadi. 

L’offensiva jihadista è scattata durante la notte tra domenica e lunedì scorsi contro i villaggi assiri disseminati lungo le sponde del fiume Khabur. Alle 4 del mattino molte centinaia di miliziani dell’Is hanno lanciato l’offensiva su un fronte largo 40 km, hanno ucciso alcune guardie assire che difendevano i villaggi e hanno incendiato scuole, case e chiese.

Ha raccontato all'agenzia vaticana Fides l'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, ordinario dell'arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi: "I jihadisti hanno preso il pieno controllo dei villaggi sulla sponda occidentale del Khabur, mentre ieri pomeriggio (24 febbraio ndr) tutti gli abitanti dei 22 villaggi disseminati lungo la sponda orientale sono stati evacuati e più di mille famiglie cristiane assire e caldee sono fuggite verso i centri maggiori di Hassakè, Qamishli, Dirbesiye e Ras al-Ayn (vicino a Kobane)". Tra le vittime dell’offensiva si contano alcuni combattenti arruolati nel Consiglio Militare Siriaco schieratosi con i battaglioni delle Unità di Difesa Popolare del Kurdistan contro i miliziani dell'Is.

L'arcivescovo siro-cattolico denuncia che i jihadisti hanno lanciato l'offensiva nella regione del Khabur per trovare nuovi spazi e vie di fuga, compensando così le sconfitte e le perdite di territorio da loro registrate a Kobane e intorno alla roccaforte di Raqqa. Secondo Mons. Hindo, anche le contromosse prospettate da alcuni Paesi stranieri davanti alle recenti strategie militari dello Stato Islamico confermano le gravi responsabilità dell'Occidente nello scatenamento dei conflitti che stanno dilaniando il Medio Oriente. "Con le loro politiche sciagurate soprattutto francesi e statunitensi, con i loro alleati regionali, hanno favorito di fatto l'escalation del Daesh (acronimo arabo con cui si indica lo Stato Islamico). Adesso perseverano nell'errore, commettono sbagli strategici grotteschi come l'annuncio sui media della 'campagna di primavera' per liberare Mosul e si ostinano a interferire con interventi irrilevanti, invece di riconoscere che proprio il sostegno da loro garantito ai gruppi jihadisti ci ha portato a questo caos e ha distrutto la Siria, facendoci regredire di 200 anni".

Intanto continua l’avanzata delle milizie curde in altri settori del Rojava (il Kurdistan siriano), dove pian piano stanno rientrando migliaia di sfollati che si erano rifugiati in Turchia. Ad est, anche grazie alla copertura aerea dell'aviazione della ‘coalizione internazionale’, le Unità di Difesa del Popolo sono avanzate fino a 15 chilometri dalla città frontaliera di Tell Abyad (GireSipi in curdo). Ad ovest i miliziani dell'ISIS sarebbero invece stati respinti fino alla riva sinistra dell'Eufrate

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