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ago 20th, 2015

 

La guerra ai curdi: così Erdogan vuole ricompattare il consenso.

di Enrico Oliari

 

Non si fermano le violenze in Turchia, dove si stanno sovrapponendo attentati ed attacchi di diverse origini, dal terrorismo di estrema sinistra alla reazione armata del Partito curdo dei Lavoratori (Pkk) nei confronti dell’offensiva militare: spari vi sono stati presso l’ingresso del palazzo di Dolmabahce a Istanbul, di epoca ottomana, che ospita gli uffici presso la città del Bosforo del presidente della Repubblica. Gli attentatori, fermati vicino al consolato tedesco con armi e bombe a mano, sarebbero riconducibili alla sigla di estrema sinistra del Partito-Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo (Dhkp-c), già autore di numerosi attacchi del genere proprio ad Istanbul, tra i quali quello del primo gennaio quando vennero lanciate due bombe a mano contro le guardie all’entrata del medesimo edificio.

Otto militari sono invece rimasti uccisi in un attacco dei miliziani armati del Pkk mentre viaggiavano nella provincia sudorientale di Siirt: la loro auto è esplosa dopo aver innescato una mina piazzata dai militanti della sinistra curda. Un altro soldato è morto a seguito delle ferite riportate in scontri nella provincia sudorientale di Diyarbakir, roccaforte dei curdi, ed è il quarto a perdere la vita nel tentativo di rimuovere i blocchi stradali piazzati dai combattenti curdi lungo la strada che collega il capoluogo Diyarbakir a Bingol.

L’acuirsi delle violenze è seguito alla decisione del presidente Recep Tayyp Erdogan di rompere la tregua con il Pkk e di avviare un’offensiva nei confronti dei curdi arrivando a colpirli con i raid aerei nel Kurdistan iracheno, evidentemente contravvenendo le leggi internazionali. L’iniziativa del presidente turco ha preso il via a seguito dell’attentato dello scorso 20 luglio a Suruc, dove hanno perso la vita 32 giovani attivisti turchi e curdi: essendo stato firmato dallo Stato Islamico, ci si sarebbe aspettati una forte iniziativa contro il Daesh (Isis), ma Erdogan ha preferito puntare tutto contro il Pkk e riservare ai jihadisti azioni secondarie, per non dire di facciata.

Il motivo di tale strategia politica è facilmente spiegabile con la necessità di riacquistare il voto nazionalista, dopo che le elezioni dello scorso giungo hanno visto il partito curdo di area socialdemocratica Hdp, guidato dal promettente Selahattin Demirtas, superare la soglia del 10% (12,5%) necessaria per entrare in parlamento, e l’Akp di Erdogan perdere la maggioranza assoluta attestandosi al 40,8%. Ieri il premier Ahmet Davutoglu ha constatato l’impossibilità di mettere insieme una maggioranza ed ha quindi rimesso il mandato nelle mani del presidente della Repubblica, per cui sono previste le elezioni anticipate in autunno. Erdogan ha affermato che “la Turchia si sta dirigendo rapidamente verso nuove elezioni. C’è bisogno di una soluzione che includa la volontà popolare dopo il fallimento nella formazione di un nuovo governo”.

Il presidente e la sua linea politica hanno perso molto del consenso a causa di molteplici fattori, tra i quali il fatto, palese, che la Turchia abbia aiutato in qualche modo la nascita dello Stato Islamico, probabilmente in funzione anti al-Assad. Basti pensare alle decine di migliaia di foreign fighters che per raggiungere le fila dei jihadisti da occidente e dal Nordafrica sono transitati in modo del tutto indisturbato per gli aeroporti turchi, ai combattenti feriti assistiti negli ospedali pubblici della Turchia o ancora al grave comportamento assunto in occasione della crisi di Kobane, la cittadina curdo-siriana posta a poche centinaia di metri dal confine, a cui i turchi hanno girato le spalle salvo lasciare passare sul proprio territorio un centinaio di jihadisti che recentemente hanno cercato, fortunatamente invano, di penetrare nella città da nord. Inoltre camion dell’Isis portano il petrolio estratto dai territori iracheni occupati in Turchia.

L’iper-nazionalismo di Erdogan ha inoltre lo scopo di rimuovere i gravi scandali di corruzione e di appropriazione indebita che hanno interessato ministri e persino la famiglia di Erdogan: nel febbraio 2014 (ma il nastro è stato definito come “falso” dall’interessato) sono apparse sul web intercettazioni relative a telefonate avvenute fra Erdogan e il figlio Bilal, al quale chiedeva di “incontrarsi” con il fratello Burak, lo zio Mustafa e il cognato Berat per “liberarsi”e “ridurre a zero” dei fondi di provenienza imprecisata, portandoli “via da una casa”, ed ancora a Bilal di “disperdere i soldi nascosti in diversi luoghi”, i quali ammonterebbero a 30 milioni di euro.

L’impressione è, tuttavia, che Erdogan sia arrivato al punto di dover scontare politicamente i suoi errori, e che non sia certo l’offensiva contro i curdi a compattare il voto necessario per garantirgli il governo del paese.

 


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