Originale: teleSUR English

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5 Dicembre 5 2015

 

Dalla liberazione nazionale all’autonomia: la traiettoria del PKK

di Ramor Ryan

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Le forze curde di liberazione sono arrivate all’attenzione globale come difensori in prima linea nell’eroica battaglia contro la minaccia del predatorio gruppo Stato Islamico nella Siria settentrionale.

Nello stesso tempo in cui respingono l’avanzata del gruppo Stato Islamico, i Curdi siriani, organizzati nelle Unità di Protezione del Popolo [YPG] – stanno anche facendo una rivoluzione democratica all’interno del territorio del Rojava che è parte della patria storica del popolo curdo.

Per contestualizzare meglio questi ribelli – attualmente appoggiati dagli attacchi arei della coalizione guidata dagli Stati Uniti, e anche fonte di ispirazione per le persone di sinistra di tutto il mondo – si deve guardare oltre la Siria, nella più grande regione curda, e all’affiliato maggiore dell’YPG, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).

Per quasi quattro decenni, il PKK è stato in prima linea in una lotta nazionale di liberazione per un Kurdistan indipendente  che abbraccia  i confini di Turchia, Iran, Iraq e Siria. Essendo stata loro negata la condizione di essere uno stato, subito dopo la I Guerra mondiale, dalle potenze coloniali che sono ritagliate  i confini regionali fissati dall’accordo Sykes-Picot, i Curdi da allora hanno continuato a lottare per l’indipendenza. L’attuale nuovo rinvigorimento del problema curdo può essere attribuito al risorgente PKK, con una base di supporto che ammonta a milioni di persone principalmente tra i Curdi della Turchia e una formidabile ala di guerriglia con base nei monti Qandil, nell’Iraq settentrionale (agli occhi dei Curdi, il Kurdistan meridionale).

In un’area geografica scossa dalla guerra, dall’insurrezione, e da poteri locali e globali in concorrenza tra di loro, il PKK e i suoi affiliati sono comparsi come un movimento singolarmente progressista: laico, di sinistra e che promuove attivamente una democrazia partecipativa della gente comune nella sua vasta zona di influenza.

Tuttavia non sono stati sempre così. Il nuovo libro di Paul White, “The PKKComing Down from the Mountains” [Il PKK – scendere dalle montagne] è un’analisi critica opportuna e utile che esplora lo sviluppo complicato, caotico e sanguinoso, e che ne traccia anche la straordinaria evoluzione ideologica. “Con una sorprendente trasformazione” scrive White, il PKK in due decenni è passato dalla “lotta per un Kurdistan indipendente e marxista-leninista all’attuale posizione di propugnare ‘il confederalismo democratico’ con mezzi pacifici.”

 

Una storia di resistenza

White offre una visione profonda dell’organizzazione del PKK fin dalla sua fondazione in Turchia nel 1978 ad opera di un piccolo gruppo di studenti marxisti post 68 e di nazionalisti curdi che emergono dalla “provocazione razzista e dal   sottosviluppo economico.” Come la storia dei Curdi, la storia dell’organizzazione è una storia di resistenza, che vive sotto la costante minaccia dell’annientamento. La lotta armata è stata la tattica scelta dai ribelli in seguito al colpo di stato militare in Turchia, dando inizio alla  loro campagna nel 1984 con attacchi di guerriglia contro obiettivi militari.

Dato che il conflitto aumentava, le forze armate turche impiegarono una forza enorme per schiacciare  i ribelli,  e un “totale di 32.000 militanti del PKK furono uccisi e 14,000 catturati tra il 1984  e il 2008,” scrive White.  “ Circa 5.560 morirono e 6.482 soldati turchi furono uccisi durante la stessa fase.” Centinaia di migliaia di Curdi furono trasferiti dai militari con la tattica della terra bruciata, spingendone molti nelle braccia del PKK. Le brutali politiche  contro insurrezionali  delle forze armate turche sembravano servire soltanto ad alimentare la rivolta, e quando si arrivò al marzo 2013, 1 milione di Curdi si stavano radunando a Diyarbakir, di fatto la capitale curda nel sud-est, in appoggio al PKK.

In questa fase, il PKK aveva cambiato la sua strategia e cercò una soluzione negoziata per il conflitto. Il Capo del gruppo, il carismatico e piuttosto messianico Abdullah Öcalan che era stato messo in prigione dallo stato turco fin dal 1999, dichiarò che “una nuova era sta cominciando, le armi stanno in silenzio, la politica sta acquistando slancio.”

White, un accademico, sebbene solidale con la causa, ha poca simpatia per il PKK.

Il suo precedente lavoro, Primitive Rebels or Revolutionary Modernizers? The Kurdish Nationalist Movement in Turkey” [Ribelli primitivi o modernizzatori rivoluzionari? Il movimento nazionale curdo in Turchia] (Zed Books, 2000] forniva una critica pungente del PKK, particolarmente di quello che l’autore vedeva come una controproducente  lotta armata  marxista-leninista. White, tuttavia, è entusiasta dal dietro-front del PKK e lo considera come una svolta verso una reale soluzione del conflitto. Anche se il nascente processo di pace è contradditorio e pericoloso,” White crede che il presidente turco Erdo?an ha la volontà di appoggiarlo e “sembra che desideri sinceramente la pace,” sebbene una tale dichiarazione sia  gravemente indebolita dalla recente offensiva della Turchia contro obiettivi curdi, con attacchi aerei contro le basi del PKK nell’Iraq occidentale e 1.200 arresti in Turchia.

 

Il Confederalismo democratico

Contemporaneamente alla lotta per una soluzione pacifica, il PKK ha iniziato un processo rivoluzionario di democrazia partecipativa sul terreno nelle loro zone di influenza.

White identifica l’inizio della trasformazione da “gruppo guerrigliero ortodosso  marxista- leninista, in movimento autonomista che cerca il confederalismo democratico nel primo cessate il fuoco  unilaterale del PKK, nel 1993. Riconoscendo che la lotta armata non avrebbe ottenuto lo scopo di un Kurdistan indipendente, il movimento insurrezionale iniziò a esplorare modi alternativi per ottenere l’autodeterminazione dei Curdi. Dopo essere stato messo in prigione, Öcalan ha sviluppato un’ideologia non statalista, influenzata dalla lettura dell’ecologista sociale statunitense Murray Bookchin (tra gli altri), propugnando un’autonomia autogestita

con il potere basato a livello di comunità.

Mettendo in pratica la teoria, nel 2006 il PKK istituì  una rete ombrello che si chiama Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK) per  attuare  una rete di consigli e di assemblee autonome locali i  tutte le zone curde in Turchia, Iran, Siria e Iraq, e anche tra la consistente diaspora curda in Europa. White descrive come il KCK  “si sia diffuso nelle città grandi e in quelle piccole, nei quartieri, nelle strade, nelle organizzazioni dei villaggi, nelle comuni e nelle case” come movimento che si organizza per “istituire la sua propria democrazia, né fondata sugli stati-nazione esistenti, né considerandolo un ostacolo.” Quindi l’autonomia ha preso  piede in tale misura che nelle maggiori province curde come Hakkâri e ??rnak “la gente non accetta le autorità statali e due autorità parallele esistono.” Lo stato turco ha reagito mettendo in prigione circa 8.000 attivisti del KCK, un’indicazione di quanto sul serio consideri la minaccia dell’autorità.

Intrinseca alla democrazia radicale del modello autonomo c’è l’uguaglianza per le donne, e le donne curde si sono organizzate nelle Unità delle donne libere, che assicurano uguale partecipazione e rappresentatività all’interno delle assemblee del KCK. Le donne combattenti che affrontano il Gruppo Stato Islamico nel Rojava, hanno ricevuto molta attenzione da parte dei media, ma le donne sono state per lungo tempo fondamentali per la lotta curda. White cita rapporti indipendenti dove si afferma che le donne costituiscono tra un terzo e una metà dei combattenti del PKK. Rapperin Afrin, una comandante dell’Esercito delle Donne del PKK, spiega come “il movimento delle donne sia la parte più dinamica del PKK. Siamo consapevoli che senza la liberazione delle donne, non si può sviluppare una società liberata.”

White affronta anche la questione della leadership di Abdullah Öcalan, dato che il PKK si trasforma da una struttura autoritaria e gerarchica in un movimento democratico autonomo. White descrive come Apo (zio, come lui è noto) ha decentralizzato le strutture di potere del movimento, cambiando il suo ruolo da  governante assoluto a leader di facciata simbolico. Naturalmente, essendo chiuso in prigione, e dato quindi che la sua comunicazione con il mondo esterno è mediata dai suoi carcerieri, realisticamente, che ruolo può svolgere? Tuttavia è sempre rispettato e, come spiega White, assume un posto più trascendentale nella lotta, come personificazione delle aspirazioni curde. “Attraverso il loro affettuoso rapporto con il loro serok, i suoi sostenitori sono arrivati a credere che erano di già, in un certo senso,

‘liberati’ o almeno stavano ‘sperimentando’ il Kurdistan.”

 

Scendere dalle montagne

Si è spesso ripetuto che i Curdi non hanno nessun amico tranne le montagne, e in questo lavoro White ipotizza che l’attuale iniziativa politica del PKK, offra una reale possibilità di rompere quell’isolamento. Tuttavia, riconosce che la recente ascesa del gruppo Stato Islamico nella regione, destabilizza il processo di pace in Turchia. Il governo turco è visto come sostenitore segreto dello Stato Islamico, mentre il PKK ha esortato tutti i Curdi a iniziare la lotta contro i terroristi islamisti.

Nell’agosto 2014 il PKK è stato acclamato per aver salvato 20.000Yazidi circondati dal gruppo Stato Islamico nell’Iraq settentrionale, e nella battaglia di Kobane, nella Siris settentrionale, l’YPG affiliato del PKK è apparsa come la forza più efficace che li combatteva. L’anomalia dell’aver messo PKK nella lista dei gruppi designati come terroristi sta diventando sempre più assurda dato che la coalizione guidata dagli Stati Uniti li appoggia apertamente a livello militare sul terreno. Tali azioni equivalgono a quello che White descrive come la “lunga transizione dei gruppi da ‘terroristi’ a ribelli legittimi.”

Dato che continuano ad accumulare capitale politico e ad espandere la loro base popolare tra i Curdi, sembrerebbe che, contro ogni previsione, il momento del PKK

sia finalmente arrivato.

 


Ramor Ryan è l’autore di Zapatista Spring [La Primavera Zapatista (AK Press 2011] e di Clandestines: The Pirate Journals of an Irish Exile [Clandestini: i diari pirata di un esilio] -(AK Press 2006).


Da Znet – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/from-national-liberation-to-autonomy-the-trajectory-of-the-pkk/

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