http://www.eastonline.eu/

Martedì, 03 Marzo 2015

 

La Legione straniera del califfo

di Giuseppe Scognamiglio

 

Chiudere le frontiere non è la soluzione alle infiltrazioni terroristiche.

L’eccidio di Parigi e i successivi attentati in Francia e in Belgio hanno posto due gravi problemi sul nostro tavolo: la sicurezza delle nostre società e l’integrazione delle minoranze. Affrontare contemporaneamente entrambi i problemi rischia di causare pesanti strabismi e mantenere l’equilibrio per decisioni efficaci non è facile.

Proviamo a fornire un contributo partendo, come sempre, dai dati disponibili. Proprio i dati stanno cambiando in modo consistente dopo Parigi, in quanto gli approfondimenti sono molto più accurati e i fenomeni si stanno rivelando in tutta la loro drammaticità, più di quanto non fosse evidente alla fine dello scorso anno. I nostri lettori ricordano che avevamo dedicato il nostro editoriale di gennaio, prima dell’assalto a Charlie Hebdo, ai Foreign fighters, identificando in anticipo l’anomalia del fenomeno e la difficoltà organizzativa e sociale a integrare comunità islamiche in un’Europa funestata da anni di crisi economica e politica. Il globo che riportiamo a fianco indica in dettaglio i movimenti dei nuovi “Legionari”, attirati dall’ideologia del Califfato: 15.000 militanti di almeno 80 nazioni sono accorsi in Siria per rovesciare Bashar al-Assad e poi confluire nei ranghi del progetto di Stato islamico. I Foreign fighters riuniscono persone animate da ideali democratici anti-dittature e fondamentalisti islamici, come spiega un recente rapporto dell’Istituto per le Politiche del Vicino Oriente di Washington, basato sull’analisi di 280 messaggi “di martirio” postati su siti Web jihadisti, Facebook e Twitter, in modo da spingere potenziali emuli a seguire l’esempio degli eroi della nuova guerra santa. Da Nord Africa e Golfo, sono stati attratti soprattutto Libici e Sauditi (peraltro già visti in Iraq), mentre il flusso di Tunisini va posto in connessione con il dibattito seguito all’esplosione delle Primavere arabe.

Proviamo però a capire l’entità del fenomeno in Europa, cioè nelle città e nei quartieri dove noi viviamo: innanzitutto, quanti sono i musulmani in Europa?

Il 5,8% della popolazione, eppure sono tanti a credere che siano molti di più. Secondo un sondaggio dell’Istituto Ipsos con i cittadini di alcuni paesi Ue (scelti tra i più significativi per numero di abitanti e rappresentatività dell’Unione), la maggior parte di essi ha una percezione sbagliata della realtà del proprio paese. Questo errore di cognizione è particolarmente forte sulle questioni religiose: in Francia, per esempio, le persone intervistate hanno risposto che il 31% della popolazione è musulmana, mentre il dato esatto è l’8%! Un altro prestigioso Istituto, il Pew Research Center, ha diffuso una ricerca dalla quale emerge che Italia, Grecia e Polonia sono molto contrari all’integrazione dei musulmani.

È significativo e paradossale al tempo stesso che questi tre Paesi ospitino meno musulmani di Spagna, Germania, Francia e Regno Unito. La Francia, con la popolazione musulmana più numerosa, è anche quella con più opinioni favorevoli, a conferma che è l’ignoranza a produrre barriere.

Vediamo infine quali misure si stanno adottando: nelle ultime settimane, i governi occidentali si sono riuniti più volte, in vari formati, per far fronte alla minaccia terrorista e fermare il reclutamento dei Foreign fighters. Tra i temi caldi affrontati in Europa, spicca quello degli Accordi di Schengen, divenuti il centro del dibattito politico europeo. I ministri dell’Interno francese e spagnolo hanno chiesto la revisione o la sospensione degli accordi, proponendo il ripristino di controlli alle frontiere interne. Si tratta della classica reazione emotiva, sbagliata, ad un problema di non facile soluzione, che mette a repentaglio una grande conquista di libertà.

Basta analizzare la ratio di Schengen per capire dove sta l’errore: gli Accordi nascono nel 1985 e coinvolgono oggi 22 Stati membri, oltre a Islanda, Norvegia, Svizzera e Lichtenstein. Regno Unito e Irlanda vi aderiscono solo parzialmente, mentre Bulgaria, Romania, Croazia e Cipro devono ancora darne piena attuazione. Gli obiettivi dichiarati di Schengen sono una frontiera europea unica, l’abolizione delle barriere interne tra gli stati, norme comuni in materia di visti e diritto d’asilo, rafforzati da una direttiva Ue del 2004, che prevede l’obbligo per i vettori aerei di raccogliere e trasmettere alle autorità di frontiera europee i dati anagrafici dei passeggeri (nome, nascita, cittadinanza, numero di passaporto), strumento non idoneo per la lotta al terrorismo ma per l’immigrazione clandestina. Più che alla sospensione o revisione degli Accordi, dunque, sarebbe opportuno pensare a come adeguarli alle nuove esigenze di anti-terrorismo, rafforzando gli strumenti di controllo delle frontiere esterne. È fermo il progetto presentato al Parlamento europeo dalla Commissione nel 2011 per una direttiva sulla trasmissione tra Stati di informazioni più invasive, che riguardano l’itinerario del passeggero, l’emissione del biglietto, agenti di viaggio, modalità di pagamento, informazioni sul bagaglio. Questi dati permetterebbero di individuare soggetti prima non sospettati, grazie a controlli incrociati, veri strumenti di intelligence criminale e di lotta al terrorismo.

Gli eurodeputati non sono però riusciti finora ad arrivare a un accordo sulla direttiva: le divisioni riguardano soprattutto la tutela della privacy, anche se è ragionevole attendersi che gli ultimi avvenimenti porteranno un’accelerazione nell’iter parlamentare.

Il tema della sicurezza dunque divide gli stati europei, proprio quando sarebbero auspicabili una posizione comune e una strategia condivisa, come già accaduto emotivamente a seguito della crisi dei debiti sovrani, che ha portato inizialmente ad erigere inutili barriere, invece di accentuare il processo di integrazione.

È necessario anche in questo caso creare una responsabilità accentrata a Bruxelles per la lotta al terrorismo (come il supervisore unico per le banche, a Francoforte), piuttosto che alimentare divisioni: la paura non può far arretrare il diritto europeo, conquista di civiltà!