L'Huffington Post

15/03/2015

 

Isis, un ex ostaggio racconta la prigionia. Finte esecuzioni, minacce, umiliazioni: le tecniche dei terroristi per terrorizzare i prigionieri

 

l giornalista di El Mundo Javier Espinosa, insieme al suo collega fotografo Ricardo Garcia Vilanova, è stato liberato il 30 marzo del 2014, dopo quasi sei mesi di prigionia nelle mani dell'Isis. Per molto tempo della sua detenzione non ha potuto raccontare nulla, perché i carcerieri avevano minacciato di uccidere uno degli altri ostaggi nelle mani dei miliziani, il tassista britannico Alan Henning, se avessero parlato con la stampa.

Henning è stato assissinato a ottobre, e dopo alcuni mesi Espinosa ha raccontato su El Mundo (in Italia il Corriere della Sera ha ripubblicato la testimonianza) cosa accade ai prigionieri che finiscono nelle mani dell'Isis. Una detenzione terribile, scandita da false esecuzioni, minacce e vessazioni.

John si divertiva a esagerare il melodramma, accarezzandomi il collo con l’acciaio senza smettere di parlare.

«Lo senti? È freddo, vero? Pensa al dolore se te lo affondassi nel collo. Un dolore tremendo. Il primo colpo ti taglia le vene e sputi saliva e sangue».

L’estremista si era fatto portare apposta la scimitarra, un’arma d’epoca, una spadona come quelle che usavano gli eserciti musulmani nel Medioevo, la lama lunga quasi un metro, con l’elsa argentata.

«Il secondo colpo ti squarcia il collo. Già non respiri più dal naso, ma direttamente dalla trachea. Cominci a fare versi strani, a gorgogliare. L’ho già visto. Ti contorci come un animale, come un maiale. Il terzo colpo ti stacca la testa. Poi te l’appoggio sulla schiena».

Faceva di tutto per instillare nell’ostaggio il suo messaggio raccapricciante, affinché apparisse terrorizzato nel video. Deposta la scimitarra, il miliziano è passato alla pistola. Ha estratto una Glock dalla fondina e l’ha caricata. Me l’ha puntata alla testa e ha tirato per tre volte il grilletto. Clic. Clic. Clic. John si divertiva a esagerare il melodramma, accarezzandomi il collo con l’acciaio senza smettere di parlare.

«Lo senti? È freddo, vero? Pensa al dolore se te lo affondassi nel collo. Un dolore tremendo. Il primo colpo ti taglia le vene e sputi saliva e sangue».

L’estremista si era fatto portare apposta la scimitarra, un’arma d’epoca, una spadona come quelle che usavano gli eserciti musulmani nel Medioevo, la lama lunga quasi un metro, con l’elsa argentata.

«Il secondo colpo ti squarcia il collo. Già non respiri più dal naso, ma direttamente dalla trachea. Cominci a fare versi strani, a gorgogliare. L’ho già visto. Ti contorci come un animale, come un maiale. Il terzo colpo ti stacca la testa. Poi te l’appoggio sulla schiena».

Faceva di tutto per instillare nell’ostaggio il suo messaggio raccapricciante, affinché apparisse terrorizzato nel video. Deposta la scimitarra, il miliziano è passato alla pistola. Ha estratto una Glock dalla fondina e l’ha caricata. Me l’ha puntata alla testa e ha tirato per tre volte il grilletto. Clic. Clic. Clic.

Espinosa raccomanta come l'Isis abbia cercato di srastrellare quanti più ostaggi stranieri nel corso dei mesi, per raccoglierli tutti nello stesso centro di detenzione. Lui e il suo collega hanno quindi conosciuto sia James Foley, la prima vittima delle brutali esecuzioni in video, sia molti degli altri prigionieri uccisi in questi mesi dai miliziani dello Stato Islamico.

I Beatles si divertivano a spaventare gli ostaggi, ma non erano minacce vuote. Il giorno prima ci avevano costretto a guardare la foto di Sergei Nikolaevich Gorbunov, l’ingegnere russo rapito nell’ottobre del 2013. Abbiamo condiviso con lui la prigionia per diverse settimane, finché l’hanno trucidato nel marzo del 2014. Il primo di una lunga serie.

«Che cosa vedi nella foto? Raccontalo agli altri!» mi ha ordinato George.

Voleva che descrivessi la foto scattata a Sergei dopo l’esecuzione. «Lo sceicco gli ha sparato una pallottola esplosiva», puntava il dito quel pazzo scatenato, senza nascondere la sua soddisfazione.

«Devi dire quello che vedi», continuava a urlarmi mentre mi costringeva a fissare lo schermo del computer.

«Vedo Sergei, è morto, ha la barba sporca di sangue, con brandelli di cervello», gli ho risposto.

«Proprio così, ma non vedi il buco enorme che gli ha fatto la pallottola nella nuca?» ha aggiunto il miliziano con lo stesso tono esaltato.

«Forse finirete così anche voi, vi costringeremo a tirarlo fuori dalla terra, a scavare un’altra tomba e vi metteremo a dormire insieme a lui!»

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