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Lunedì, 25 Maggio 2015

 

Scappare dallo Stato Islamico

di Cecilia Tosi

 

La vita nello Stato Islamico è dura e non solo per i civili. Anche se conquistano Palmira e guadagnano le prime pagine di tutto il mondo, i combattenti jihadisti devono subire ordini che non condividono e violenze ingiustificate. Per questo motivo molti foreign fighter stanno cercando di tornare a casa, ma i loro Paesi d’origine non sono molto inclini ad accoglierli. Il fenomeno più evidente in Australia, dove un gruppo di fondamentalisti ha cercato di trattare con il governo per il proprio rientro ma pare non ci sia riuscito.

 

Almeno tre uomini che combattono per Isis e uno di al Nusra (affiliata di al Qaeda) hanno cercato di instaurare contatti con le autorità del loro Paese, chi attraverso la polizia australiana, chi rivolgendosi all’ambasciata di Melbourne in Turchia, chi contattando il dipartimento per gli affari esteri a Canberra. Anche se i quattro uomini sembrano pentiti, secondo la nuova legge contro il terrore al ritorno in patria rischiano di essere condannati a più di dieci anni di prigione. Ma è in Siria che rischiano il peggio: lo sa bene l’adolescente Ifraan Hussein, che per il suo desiderio di tornare in Australia sarebbe stato decapitato dai suoi compagni di lotta.

Nel Regno Unito, invece, è noto il caso di due ragazze di origini somale, partite per la Siria per diventare spose di guerra. Le due diciassettenni, Zahra and Salma Halane, si sono pentite sono scappate da Mosul, in Iraq, inseguite dai militanti dello Stato Islamico. Secondo il padre di una delle due, le studentesse vogliono tornare perché si sono rese conto che «tutto è cambiato» e i metodi dei jihadisti non sono più condivisibili. Si pensa che le ragazze siano nell’area controllata dai curdi e stiano cercando di raggiungere la Turchia, ma anche per loro il ritorno in patria potrebbe essere pericoloso, visto che Londra sta discutendo una legge che vieta agli inglesi di tornare a casa dopo che sono andati in Siria e Iraq per unirsi agli estremisti.

E l’Unione Europea? Ad aprile ha varato la European Agenda on Security ed è molto preoccupata dalla possibilità che i jihadisti tornino in Europa con intenzioni bellicose, ma non ha una normativa in merito. Secondo gli esperti europei la città più “a rischio” sarebbe Berlino, perché è la capitale del Paese con le maggiori risorse economiche. Fino ad oggi sono circa 700 i jihadisti che hanno raggiunto Siria e Iraq dal Vecchio continente – su un totale di circa 5mila foreign fighter  . e secondo il ministro degli Interni tedesco Hans Peter Friedrich se tornassero in patria potrebbero operare come “terroristi sul terreno”. Il governo Merkel chiede infatti a Bruxelles un’azione coordinata contro questa eventualità e metterà il tema al centro dell’agenda all’incontro dei primi ministri Ue di giugno. I tedeschi vogliono bandire il rientro dei sospetti fondamentalisti per almeno due anni, ma giuridicamente la proposta non sembra attuabile, dal momento che molti di loro hanno passaporti europei, famiglie e posti di lavoro nel Paese di residenza. E non portano scritto in fronte il fatto di aver combattuto con lo Stato Islamico. Neanche la destinazione – Siria o Iraq – sarebbe indicativa, dal momento che almeno 60 aspiranti combattenti avrebbero preso il volo dalla Germania per l’Egitto, per poi raggiungere i campi d’addestramento in Somalia.

Ma senz’altro gli Stati europei faranno di tutto per non far entrare i combattenti pentiti. Una delle poche possibilità rimaste ai disertori di Isis è quella di passare sotto l’egida di un’altra organizzazione terrorista - al Qaeda – che in Siria è rappresentata dalle Brigate al Nusra. Alcuni combattenti fuggiti dall’Iraq, infatti, si sono arruolati in questo gruppo e per farsi accettare hanno portato documenti che denunciano le nefandezze dello Stato Islamico. Sono ordini scritti a mano e timbrati – apparentemente – dal “governo” di Raqqa, dai quali si evince la disumanità di Isis. Oltre agli ordini di attacchi suicidi, infatti, ci sono anche indicazioni di assegnare le scorte alimentari ai mujahiddin invece che alla popolazione locale. Chi è partito per il jihad col progetto di difendere la popolazione musulmana ci sta ripensando. Ma tornare a casa non è facile come lasciarla. 

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