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30 giugno 2015

 

La festa è finita

di Claudio Landi

 

L'incapacità degli occidentali di comprendere le dinamiche che muovono le recenti evoluzioni storiche diventa sempre più un pericolo per la stabilità. Non siamo la patria della democrazia e del benessere. Anche se facciamo finta di esserlo, pretendendo che altri si adeguino a un percorso di sviluppo sbagliato e fuorviante.

 

I recenti fatti che hanno insanguinato Francia, Kuwait, Tunisia e Somalia dimostrano ancora una volta che la “furia pantoclastica” dello Stato Islamico si espande sempre più a macchia d’olio, con obiettivi precisi mai casuali. Fino a quando l’Occidente ha potuto gestire la propria egemonia culturale, più o meno dall’89 al 2001, nessuno –tranne i più critici- si è interrogato sul fallimento dei programmi di sviluppo umano proposti dall’ideologia neo-con, offuscando lo sguardo di tutta la popolazione del nord del mondo dietro una presunta “superiorità” a mascherare il pesante fardello della civilizzazione del sud del mondo, che da sempre costituisce l’elemento fondamentale delle politiche estere occidentali, seppur in veste diversa a seconda dei periodi storici. Oggi non è più così e mentre la ricerca accademica e la politica arrancano dietro il cambiamento, ancora offuscati dal bagliore dell’ideologia occidentalista eurocentrica come un’impossibilità di accettare il fallimento, altri popoli e altre culture (che amo definire “diverse” e non gerarchicamente “superiori” o “inferiori” come, invece, la narrazione ci impone) si fanno strada seguendo un corso storico inevitabile a fronte della decadenza morale ed economica dell’occidente.

Non si può ignorare il vento. Dal vento bisogna imparare. Capire in che direzione è diretto e provare a limitare i danni, cercando un modo per ammorbidirlo, mettendo in discussione noi stessi e i nostri dogmatici richiami alla democrazia e al benessere. In pratica il mondo, così come lo osserviamo oggi, si cosparge di sangue per la nostra ignoranza. L’incapacità degli occidentali di comprendere le dinamiche che muovono le recenti evoluzioni storiche diventa sempre più un pericolo per la stabilità. Non siamo la patria della democrazia e del benessere. Anche se facciamo finta di esserlo, pretendendo che altri si adeguino a un percorso di sviluppo sbagliato e fuorviante. Oggi siamo impegnati ad apporre arcobaleni sulle nostro foto di facebook, commemorando la decisione degli Stati Uniti di dichiarare le nozze gay un diritto costituzionale, dimenticando che la vera storia si muove diversamente rischiando di demolire tutte le fantomatiche “conquiste” del nostro mondo e mentre i musulmani nel mondo festeggiano il Ramadan, senza che ce ne accorgiamo.

Pensiamo bene a goderci la nostra estate all’ombra della nostra unica ideologia: il divertimento. Ma questo vale fino a quando qualcuno più forte di noi ci ricorda che non valiamo nulla. In breve: divertiamoci, fin quando la cosa non ci tocchi in prima persona. Se dobbiamo occuparci di qualcosa, quel qualcosa deve essere un qualcosa di assolutamente superfluo che non intacchi i capisaldi del regime, il più becero e volgare di tutti, in cui viviamo. Citando Peter Hahne, autore nel 2006 di un brillante saggio dal titolo emblematico: “La festa è finita”: <<Senza fede, manca un fondamento, un legame che unifichi, e che ci tenga insieme nonostante tutte le differenze […] abbiamo bisogno di qualcosa che, al di là delle differenze, crei qualcosa di comune, di collettivo.>>

 

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