Originale: Counterpunch

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4 novembre 2015

 

La Turchia e l’età della sconfitta

di Tarik Ali

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Zaman, Quotidiano turco: Fra tre anni da adesso arriveremo al 50° anniversario della “Rivoluzione del maggio 1968”…Quali sono le due cose che sono cambiate/non sono cambiate nel mondo, dopo mezzo secolo?

 

Tariq Ali: Il mondo si è capovolto. Il capitalismo, malgrado il crollo del 2008, ha trionfato nella maggior parte del mondo. La resistenza non è cessata, ma le sue forme sono molto diverse rispetto a quelle del secolo scorso. Ciò che vale la pena notare è che perfino la resistenza più radicale all’impero e al capitale – i governi bolivariani in Sudamerica, non prevedevano una rottura con il capitalismo.  In Europa occidentale la crisi del 2008 ha creato  nuove aperture e ha permesso a nuove forze politiche di entrare in scena, a sinistra o a destra o intersecandole entrambe. Il caso più spettacolare di una forza che si catapulta in un governo, è, naturalmente, Syriza, in Grecia, che ha unito l’esperienza più drastica della crisi economica, l’ovvia  responsabilità della social-democrazia locale  di gettarvi dentro il paese, e un sistema elettorale che esagera molto la reale forza del partito. All’altro estremo la Germania, ha sofferto il minimo per la crisi, e con un partito pre-esistente che canalizzava l’opinione pubblica a sinistra dell’SPD (Partito Socialdemocratico della Germania), considerava a stento significativa  qualsiasi politica organizzata post-crisi, malgrado la relativa facilità di oltrepassare la soglia elettorale. In Gran Bretagna e in Spagna dove l’instaurazione della social-democrazia era macchiata  dal  suo ruolo di aver fatto precipitare la crisi, in un caso il sistema elettorale sviò il contraccolpo dentro il Partito laburista stesso, e anche nel Partito Democratico negli Stat Uniti, nell’altro – dove la crisi era molto più grave – ha permesso la comparsa di Podemos come forza indipendente. In entrambi i paesi, la questione nazionale minaccia l’unità dello stato (sostenuta ugualmente da Corbyn e da Iglesias), producendo in Scozia di gran lunga la più riuscita di tutte le forze succedute a una crisi in Occidente: il 50% dei voti su un’affluenza del 70%, paragonato a un’affluenza del 56% per Syriza in Grecia. In quanto alla Turchia, osserviamo orripilati.

In Medio Oriente non c’è una forza progressista con l’eccezione marginale della parte curda della Siria. Gli ecclesiastici di vari tipi determinano le azioni delle ali moderate e radicali dell’Islam. Viviamo in un periodo di sconfitta.

Zaman: Molti anni fa nel suo commento sul  Sabah Daily (quotidiano turco on line n.d.t.), lei affermò che l’AKP non sarebbe stato in grado di risolvere i problemi reali come il problema curdo. Con quali motivazioni è arrivato a questa previsione che si è dimostrata corretta come si è visto dai recenti avvenimenti in Turchia? Che cosa pensa delle molte azioni non democratiche dell’AKP in anni recenti, contrarie ai valori democratici che sostenevano all’inizio? Perché l’AKP è cambiato così tanto? Quali sono i pericoli più gravi che si aspetta la Turchia?

Tariq Ali: Al contrario di molti intellettuali turchi, che una volta erano a sinistra, non ho mai “abboccato” a Erdogan. Proprio fin dall’inizio era ovvio che era un bravo opportunista (per dirlo nel modo più gentile) a capo di un partito islamista piccolo-borghese ed ero convinto che le cose sarebbero finite male. L’unica alternativa che rappresentava era che i precedenti regimi  dipendevano pesantemente dall’esercito. Quindi l’AKP si poneva come l’avatar di una nuova democrazia, ma il fatto che l’AKP di solito fosse (prima della defezione della banda di Fetullah Gulen) il partito islamista preferito della NATO, parla da sé.

Le concessioni offerte ai partiti curdi erano destinate a mettere fine all’insurrezione armata del PKK. Nulla di più. Talvolta, sapete, è più facile comprendere un panorama politico se uno non ne fa parte, anche se devo evidenziare che il 99% dei miei amici turchi non si fa nessuna illusione riguardo a Erdogan. In quando alle altre sue domande, l’AKP è diventato un normale partito di governo in condizioni anormali dove ci sono stati: la frattura provocata da Gulen, la corruzione su vasta scala in cui sono coinvolti Erdogan e altri leader dell’AKP, l’uso della violenza durante le proteste di massa in tutta la nazione, innescate dall’occupazione di Gezi, la decisione di appoggiare l’ISIS e di abbattere il regime di Assad, i recentissimi eventi di Ankara, legati indubbiamente all’ascesa dell’ISIS nella Turchia stessa (perché l’AKP non ha previsto questo, data la storia di violenza islamista radicale nel paese?). E, naturalmente, l’AKP ha reagito male al fatto di non avere ottenuto la maggioranza grazie all’ascesa sorprendente dell’HDP e al tentativo di creare una parte integrata della Sinistra Turca. Il sangue versato ad Ankara è stato un assalto diretto contro le nuove forze politiche. L’egemonia dell’AKP è stata interrotta prima da una spaccatura interna e in seguito da un’insurrezione di massa e poi da un’elezione democratica. La politica di Erdogan riguardo alla Siria, appoggiata dalla NATO, ha destabilizzato il paese. Il cancro dell’ISIS si sta diffondendo. Non si fermeranno.  La pachistanzzazione  fa da richiamo.

Zaman: C’è una continua riflessione sui cambiamenti in Medio Oriente. Che tipo di Medio Oriente fra 10 anni?

Tariq Ali: Stiamo assistendo a una tragedia. Il Medio Oriente creato dai britannici e dai francesi dopo la I Guerra mondiale (grazie particolarmente alla decisione poco lungimirante della burocrazia ottomana di appoggiare la Germania invece di rimanere neutrale) si sta distruggendo e viene ricreato dall’Impero americano con l’aiuto dei suoi satrapi locali: Israele e Arabia Saudita. L’occupazione dell’Iraq e il chiaro appoggio dato ai partiti sciiti clericali hanno prodotto una pericolosa frattura tra le due grandi comunità musulmane in quel paese che si sta esacerbando in Siria, Yemen, Bahrein, ecc. E’ un disastro. Sembra che gli Stati Uniti non vogliano che esista nessuno stato sovrano nella regione. Il modello è di creare repliche degli stati del Golfo in altri luoghi della regione.

 

Zaman: Quando è stato il suo più recente viaggio a Istanbul e che differenze trova tra la vecchia e  la  nuova Istanbul?

Tariq Ali: Ho Istanbul molte volte negli scorsi decenni. Ci sono stato subito dopo gli avvenimenti del Parco Gezi e, in passato, ho parlato a eventi ad Ankara, Diyarbakir, Smirne e Istanbul. L’ultima volta ci son stato nel 2013, quando stavano per demolire con la dinamite un vecchio cinema su Viale Istiklal. Srebbe stato sostituito da altri negozi ancora più ordinari che hanno già deturpato questa strada storica con i suoi portici e i palazzi della Belle Epoque (dove, una volta vivevano  molte ricche famiglie di mercanti armeni). C’erano state alcune deboli  dimostrazioni contro la distruzione della sala cinematografica, ma di carattere simbolico. Un nuovo ponte sul Bosforo era un’altra minaccia e anche una nuova grandiosa moschea che avrebbe sottratto al panorama la delicata architettura di Sinan.*  Questi erano farfugliamenti  di un cinico rettile che sta ora perdendo contatto con la realtà, un megalomane ossessionato dall’idea di lasciare la sua impronta sulla città, come i sultani ottomani. Questo aveva anche un altro vantaggio: più denaro per le privilegiate  imprese edili dell’AKP, una ricchezza una gran porzione della quale sarebbe finita nelle tasche dei leader dell’AKP.

Postscriptum

Le elezioni turche rappresentano una modesta vittoria perla Nuova Destra in Turchia. La violenza accuratamente orchestrata ha fatto precipitare di nuovo  alcuni elettori turchi verso Erdogan e a dargli una maggioranza complessiva, ma non grande abbastanza da cambiare la costituzione. E’ una regressione allo status quo precedente. I laicisti repubblicani hanno fallito miseramente. L’HDP progressista è calato ma ha ancora un numero significativo di seggi in parlamento. Questa battaglia è stata perduta, ma la guerra non è finita. La violenza ad Ankara ha spaventato molte persone, ma il fatto che Erdogan si stia “coltivando” l’Isis,  fa pensare che la destabilizzazione del paese continuerà. Non dobbiamo né ridere né piangere ma comprendere.

Questa intervista è stata condotta da ZAMAN

 

Note

 

** https://it.wikipedia.org/wiki/Sin%C4%81n

 


Tariq Ali è l’autore di: The Obama Syndrome [La sindrome di Obama]


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/turkey-and-the-age-of-defeat

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