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25 Novembre 2015

 

Aereo abbattuto, solo l’Europa può ricucire con Putin

di Stefano Grazioli

 

La lotta al terrore, la questione ucraina, le frizioni sull'asse Usa-Russia: ecco perché Hollande e Merkel ora diventano decisivi

 

L’abbattimento del caccia russo sul confine turco-siriano è stato definito da Putin «una pugnalata alle spalle». Erdogan lo ha giustificato dicendo che Ankara sta dalla parte dei turcomanni che combattono contro Assad e che «sostiene i propri fratelli e il proprio spazio aereo». Obama ha dato ragione al presidente turco, cui aveva dato già carta bianca per bombardare accanto allo Stato Islamico anche i curdi, affermando che la Turchia, membro della Nato, «ha il diritto di difendersi». L’ultima volta che Washington si è rivolto con queste parole a qualcuno è stato nel caso di Kiev, dopo l’inizio delle rivolte armate nel sud-est dell’Ucraina. Poi il governo filo-occidentale ha iniziato quella che ha chiamato “operazione antiterrorismo” e si sa come è andata a finire.

I dossier siriano e ucraino sono parenti, poiché si tratta di quadri i cui piano si intersecano a più livelli, a partire dal fatto che se il terreno di guerra è specifico, i maggiori attori esterni a cui è dato il compito di uscire dal tunnel sono gli stessi: Russia, Stati Uniti ed Europa. Se però nel caso ucraino i fronti sono chiari, in quello siriano la confusione è maggiore e il missile che ha fatto precipitare il Sukhoi 24 è solo l’esempio più eclatante: e la domanda essenziale, proprio in questi giorni dopo gli attentati di Parigi e con il presidente francese Hollande a fare la spola tra Washington (ieri) e Mosca (domani) per tentare di coagulare il fronte anti Isis, è se fosse proprio necessario premere il pulsante che ha colpito il velivolo russo.

Provocazione russa? Turchi dal grilletto facile? I quesiti sulla dinamica e i motivi sono in realtà molti, ma passano in secondo piano di fronte alle possibili conseguenze. Non solo per il conflitto siriano. Nel caos mediorientale si incrociano gli interessi sia dei player regionali che delle grandi potenze e come a Kiev si sta assistendo per certi versi a una proxy war, una guerra per procura, erede di quelle delle Guerra Fredda. Da una parte Mosca, dall’altra l’Occidente.

La Turchia però non sta nel mezzo, come nel caso dell’Ucraina, visto che fa parte dell’Alleanza atlantica. Se il Cremlino ha però le idee chiare sui propri interessi, i propri obiettivi e come tentare di raggiungerli, a Ovest regna ancora una discreta confusione e, oggi come oggi, è la sola Francia ferita che cerca di ricomporre il puzzle. Stati Uniti ed Europa non corrono sugli stessi binari e se Parigi e Berlino hanno già aperto all’alleanza con la Russia contro il comune nemico islamico, l’intervento russo disturba non poco Usa e Turchia.

Anche Berlino si muove nella stessa direzione della Francia: la sicurezza europea si realizza con la Russia, non contro.

 

L’episodio del caccia non appiana le divergenze di fondo, anzi allarga le distanze che Mosca stava comunque cercando di ridurre. La volontà russa di formare una ampia coalizione tra alleati “alla pari” con gli Stati Uniti, si è scontrata da mesi con la riluttanza di Washington. Il risultato è che adesso ognuno gioca la sua partita e soluzioni condivise non sono a portata di mano. A raccogliere i cocci ci proverà Hollande da Putin: il presidente francese è tra i Grandi quello che ha in questo momento maggiore feeling con l’inquilino del Cremlino. Nonostante l’affare delle Mistral, le portaelicotteri francesi finite in Egitto anziché in Russia causa sanzioni, Parigi vorrebbe ricucire con Mosca con un occhio alla Siria e ha già paventato l’ammorbidimento della linea europea nella crisi ucraina con il soddisfacimento degli accordi di Minsk.

Anche Berlino si muove nella stessa direzione, con più cautela “estetica” da parte di Angela Merkel, ma la sostanza rimane sempre la stessa: la sicurezza europea si realizza con la Russia, non contro. Il riavvicinamento tra Mosca e l’Europa che conta nella guerra all’Isis, non deve però far dimenticare la scacchiera ucraina, ribadiscono dalle capitali continentali dove l’annessione della Crimea non è stata ancora digerita. Il fatto che a Kiev, due anni dopo l’inizio delle proteste che hanno disarcionato Victor Yanukovich, la nuova élite al potere sia invischiata nei soliti meccanismi oligarchici e le riforme siano al palo, non è altro che la conferma della miopia occidentale.

L’Ucraina rischia di diventare merce di scambio tra Russia ed Europa e gli ultimi avvenimenti tra la Crimea e Kiev, con le proteste nazionaliste e gli attentati che hanno lasciato al buio la penisola sul Mar Nero e il rifiuto di pagare la bolletta del gas a Mosca che inevitabilmente ha chiuso i rubinetti, si possono leggere come il tentativo di riaccendere la miccia per fare saltare i ponti in costruzione. Alla lunga però sarà la Realpolitik a prevalere, partendo dal fatto che da un lato l’Occidente non può espellere semplicemente la Russia dal tavolo siriano, anzi ne ha fortemente bisogno, e Kiev non può superare l’inverno senza il gas russo.

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