Il Fatto Quotidiano

16 marzo 2015

nella rubrica Il dente del giudizio,

http://danilodolci.org/notizie/

 

Furio Colombo, giornalista e scrittore tra i fondatori del Gruppo ‘63 ed ex deputato, traccia un ricordo di Danilo Dolci e della sua eccezionale figura nel panorama delle battaglie sociali e culturali del nostro Paese, ponendo l’accento sul ruolo decisivo svolto nel movimento nonviolento.

 

Ricordare Danilo Dolci: la nonviolenza italiana

di Furio Colombo

 

Se potete, prendetevi una vacanza dallo squallore degli eventi politici quotidiani, e prendete in mano il volumetto, Processo all’articolo 4 di Danilo Dolci, editore Sellerio (che si conclude con un saggio di Pasquale Beneduce, indicato come “postfazione”). Leggendo non potrete evitare due domande disturbanti. La prima è: perché nella cultura italiana sanno così poco e parlano così di rado di Danilo Dolci? La seconda: perché l’Italia dei contemporanei di Dolci, intellettuali inclusi (anni Cinquanta) si è così poco e malvolentieri occupata di lui? Nella speranza che vi siano giovani fra i lettori, ricorderò che stiamo parlando dell’unico italiano che  – oltre alla mafia – ha attratto l’attenzione internazionale sulla Sicilia, la sua povertà, il suo isolamento, la sua lotta per il lavoro. Non era un sindacalista, Danilo Dolci, ma è stato arrestato mentre conduceva una colonna di contadini senza terra e senza lavoro a coltivare terre abbandonate, in una specie di sciopero alla rovescia. La domanda: Perché è stato arrestato (e processato)? Resta senza risposta. E il lettore del volumetto dovrà fare riferimento alla ‘postfazione’ di Beneduce per ritrovare il mondo in cui l’evento narrato in questo libro (una delle molte testimonianze di Dolci) ha potuto compiersi nell’Italia democratica, dopo la Resistenza. Una delle ragioni, a cui adesso è difficile credere, dopo il lungo lavoro politico e pedagogico dei pochi ma ostinati Radicali italiani, guidati da Pannella e Bonino, è la nonviolenza. Senza di loro il concetto stesso sarebbe rimasto per sempre estraneo alla vita e alla cultura italiana, anche perché a quel tempo Gandhi era un mito di storia indiana (e forse proprio per questo Vittorini, testimone al processo contro Dolci, parla a lungo della vita contadina indiana, per persuadere i giudici della affinità naturale di Dolci con le pratiche del digiuno e della nonviolenza) e Martin Luther King non era ancora sulla scena internazionale. Danilo Dolci è diventato importante da solo e prestissimo e contro usi costumi e potere di questo Paese. Posso testimoniarlo a causa di due esperienze che lo riguardano e mi riguardano. La prima è il primo settimanale televisivo della neonata TV della Rai, 1954. Si chiamava Orizzonte, era presentato in studio dal giovanissimo Gianni Vattimo, il sottotitolo era “per i giovani”. A me era stato dato, incautamente, l’incarico di dirigerlo. E poiché si andava in onda dal vivo non poteva esserci censura. Ma quando abbiamo invitato Danilo Dolci (mai visto prima in televisione o ascoltato alla radio) a parlarci dello sciopero alla rovescia per creare lavoro, della nonviolenza per impedire lo scontro, la nuova trasmissione è stata rapidamente cancellata. Diverso l’esito quando Danilo Dolci è venuto a New York (primi anni ‘60) e mi ha chiesto di invitare “qualche americano” ad ascoltarlo. In casa mia e – nelle sere successive – in altre case di New York, si è radunata una folla di sostenitori e ammiratori di questo leader senza potere della nonviolenza italiana, che ne ha subito fatto un esempio e un mito.

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