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22 novembre 2015

 

Il tempo della guerra e il programma politico per la pace. Oggi più che mai, un’altra difesa è possibile e necessaria

di Pasquale Pugliese

 

Il terrorismo ha raggiunto il suo obiettivo: con la risposta della guerra il terrore vince. Quel terrorismo jihadista che – dopo aver provocato decine di migliaia di vittime con attentati terroristici quotidiani nei paesi di religione islamica, dall’Africa al Medioriente – ha colpito a Parigi il cuore dell’Europa, non ha ucciso solo 132 persone innocenti, ma ha fornito il pretesto per scatenare un nuovo ciclo di guerre planetarie, in continuità con quelle che lo hanno generato. Una nuova fase nella “guerra mondiale a pezzi”, già partita con gli incessanti bombardamenti franco-russi sulla popolazione civile siriana, che uccidono – a loro volta – migliaia di altri innocenti, terrorizzando le popolazioni e agevolando l’emersione di nuovo terrorismo e con esso il rinchiudersi dei paesi occidentali nella paura e nello stato di polizia permanente. Insomma, con la guerra il terrorismo vince su tutta la linea.

 

La maledizione di papa Francesco

Ma sulla risposta della guerra non ci sono voci dissonanti tra i “grandi” della Terra, se non papa Francesco che ha usato una parola solenne, forte e antica, la maledizione, nei confronti di chi “opera per la guerra” e di chi produce le armi, vero motore dell’economia. Non a caso, dal giorno successivo al massacro di Parigi, quando la città siriana di Raqqa era già sotto i missili francesi – nonostante che la maggior parte dei terroristi provenissero dai sobborghi di Bruxelles – le azioni delle corporation armiere hanno ripreso a volare sui mercati internazionali. Non a caso, il governo italiano non ha trovato niente di meglio da fare che consentire il rifornimento, nottetempo, di bombe e materiaili militari all’Arabia Saudita, che sta, a sua volta, bombardando senza tregua lo Yemen…La guerra è un affare, anzi è l’affare fondamentale del nostro tempo. Ormai le spese militari globali “legali” – e quindi le ricchezze di chi vende le armi, incrementate dai traffici illegali – hanno raggiunto qualcosa come 1.800 miliardi di dollari nell’ultimo anno. Non a caso, dal crollo delle Torri gemelle nel 2001 – pretesto per avviare il precedente ciclo di guerre planetarie generatrici del terrore e terrorismo attuali – le spese militari sono aumentate del 50 %. Un’economia di guerra, che non può che generare altro terrorismo e altre guerre. L’investimento più sicuro per il futuro dei mercanti di morte.

 

Il vero business del nostro tempo

Lo stato dell’arte lo spiega lucidamente il generale Fabio Mini, che già nel 2014 nel suo La guerra spiegata a… scriveva : “il fatto è che stiamo vivendo, a livello globale, e per la prima volta nella storia umana il “tempo della guerra”; la stagione in cui la guerra, come atteggiamento mentale e in tutte le sue forme visibili e invisibili, sembra rappresentare la sola risposta ai problemi di relazione tra gli uomini”. E aggiunge, poche righe più avanti: “La guerra al terrorismo continuerà indefinitamente, perché non ne affronta le cause e perché in un mondo a economia stagnante è capace di mobilitare e bruciare le risorse, (,,,) Vero e unico business del nostro tempo: la guerra in sé, che ormai comprende tutto ciò che precede i conflitti armati e tutto ciò che li segue, per un tempo illimitato, in relazione a quanto si riesce a far credere e sopportare all’opinione pubblica”.

 

La condizione preliminare per un orientamento diverso

E quanto il “tempo della guerra” e la sua preparazione minino alla radice la stressa democrazia lo spiegava già Aldo Capitini in uno dei suoi ultimi scritti, nel 1968 (Omnicrazia, oggi ne Il potere di tutti): “Si sa che cosa significa, oggi specialmente, la guerra e la sua preparazione: la sottrazione di enormi mezzi allo sviluppo civile, la strage di innocenti e di estranei, l’involuzione dell’educazione democratica e aperta, la riduzione della libertà e il soffocamento di ogni proposta di miglioramento della società e delle abitudini civili, la sostituzione totale dell’efficienza distruttiva al controllo dal basso”. Dunque, il rifiuto della guerra e l’impegno costante per la pace – concludeva Capitini – è “la condizione preliminare per parlare di un orientamento diverso”. Ossia l’elemento fondante di ogni possibile cambiamento politico, orientato alla piena democrazia e alla convivenza civile.

 

Pace: tema residuale o strategico?

Eppure, se oggi, di fronte allo scenario internazionale, il vice-direttore del Corriere della sera può definire vecchio e “appassito” – non il meccanismo guerra-terrorismo-guerra- terrorismo, ormai compulsiva coazione a ripetere – ma proprio il pacifismo e il ripudio della guerra, la responsabilità del movimento per la pace è quella di indicare autorevolmente un “orientamento diverso”. Tuttavia, per poter essere autorevole deve prima assumerlo in pieno. Ossia, per le organizzazioni sociali e politiche che si definiscano “pacifiste” l’impegno per la pace non può più essere un tema, tutto sommato, residuale, come la vecchia bandiera arcobaleno da tirare fuori nelle manifestazioni organizzate precipitosamente. Ma deve diventare il principio ispiratore ed orientante l’azione politica generale, l’elemento fondante di ogni discorso pubblico sulla difesa dei diritti sociali e civili, l’impegno strategico che sostiene le proposte di conversione dell’economia, il dato costitutivo su cui si fondano i progetti educativi…

 

Un’altra difesa è possibile: disarmo e nonviolenza

Non è un caso se il “ripudio della guerra” sia stato posto dai Costituenti tra i “principi fondamentali” della Repubblica, non solo come “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, ma anche come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Questo ci consegna il compito storico non solo di protestare tutte le volte che viene ignorato e aggirato, mentre partono (e vengono acquistati) bombardieri e carichi di armi, ma di elaborare e mettere in campo – continuativamente e costruttivamente – gli strumenti e i mezzi alternativi alla guerra. Fondati sull’impegno per il disarmo, cioè il depotenziamento degli strumenti militari, e per la nonviolenza, cioè la costruzione delle alternative. Queste sono proprio le finalità dello strumento politico che sei Reti nazionali si sono dati con la campagna Un’altra difesa è possibile, la quale – pur avendo raggiunto il primo obiettivo di presentare la proposta di legge di iniziativa popolare al Parlamento – è stata sostanzialmente guardata con sufficienza dal più ampio, e un po’ distratto, mondo che si può ricondurre genericamente al “movimento per la pace”. Eppure sono proprio gli obiettivi della Campagna che oggi rappresentano e fondano un “orientamento diverso”, che possono mettere in campo un programma politico differente all’altezza del “varco attuale della storia”. Obiettivi che, se perseguiti davvero, possono costituire, nel loro insieme, quella alternativa costituzionale – anche di fronte alla minaccia terrorista – al martello armato in mano all’uomo che “vede tutto il mondo come un chiodo”.

 

Dispiegare il programma politico

Difendere la Costituzione, affermando i diritti civili e sociali in essa enunciati – investendo in politiche attive per il lavoro e la sicurezza sociale – e difendere l’indipendenza e la libertà delle istituzioni democratiche del Paese; predisporre piani per la difesa civile non armata e nonviolenta, alternativa a quella militare, avviando progetti di formazione della popolazione alla resistenza civile; avviare ricerche e percorsi per la pace e l’educazione – a tutti i livelli di formazione – fondati sulla gestione nonviolenta dei conflitti, in specie interculturali; smantellare gli armamenti per liberare le risorse oggi bruciate nelle spese militari, sostituendo progressivamente la difesa armata con quella civile; riconvertire a fini civili le industrie belliche e vietare produzione e commercio delle armi; costituire un vero e preparato corpo civile di pace impegnato nella prevenzione dei conflitti armati, nella mediazione, nella riconciliazione, nella promozione dei diritti umani; investire risorse sulla solidarietà e la cooperazione internazionale in particolare nelle aree a rischio di conflitto, in conflitto o post-conflitto; contrastare le situazioni di degrado sociale, culturale ed ambientale – all’interno della quali, nelle periferie delle città, possono attecchire anche scelte fondamentaliste – anche con un grande investimento nel Servizio civile nazionale. Sono gli obiettivi della Campagna “Un’altra difesa è possibile” pienamente dispiegati, il programma politico per la pace all’altezza del tempo della guerra. Si tratta di assumerlo davvero fino in fondo e portarlo avanti in maniera determinata, oggi più che mai.

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