Haaretz

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24 set 2015

 

La sacralità della provocazione sul “Monte del Tempio

di Amira Hass

Traduzione di Cristiana Cavagna

 

La moschea di Al-Aqsa compatta e rafforza l’unità dei palestinesi, scrive la giornalista israeliana Amira Hass.  Religiosi e laici, cristiani e musulmani, appartenenti a Fatah e ad Hamas, tutti uniti.

 

“Il Monte del Tempio dovrebbe essere chiuso ai fedeli musulmani”, ha scritto un navigatore in internet chiamato Ronen, commentando un articolo di Nir Hasson di martedì scorso sugli scontri tra la polizia israeliana e giovani palestinesi nel luogo sacro dei musulmani. Si potrebbe liquidarlo come l’ennesimo commento allucinante dell’ennesimo ebreo insolente che esercita la propria libertà di espressione.

Volendo azzardare, si potrebbe liquidare come allucinante e marginale il sito web ebraico “Temple Mount News”, con i suoi titoli come “Il movimento per la creazione del Sacro Tempio vi invita a salire sul Monte del Tempio” e l’elenco sulla testata degli orari di apertura per gli ebrei.

Il sito riportava domenica che il Ministro dell’Agricoltura Uri Ariel, che tradizionalmente visita il monte ogni Rosh Hashanah (uno dei 3 capodanni religiosi nel calendario ebraico, ndt.), si trovava là tra molti visitatori ebrei. Sono saliti sul luogo sacro dopo che una massiccia presenza di poliziotti ha usato la forza per cacciare via dei giovani palestinesi che volevano bloccare la visita tirando pietre e petardi. Gli scontri si sono ripetuti lunedì e martedì. Fonti palestinesi riportano che almeno 40 palestinesi sono stati feriti, tra cui parecchi giornalisti. Riferiscono anche di ingenti danni, compresi portoni rotti nella moschea.

Il sito ha riferito che Ariel ha benedetto il popolo ebraico con la benedizione sacerdotale. E’ lo stesso Ariel che a luglio ha incontrato il gruppo parlamentare degli Studenti per il Monte del Tempio, ed ha promesso che avrebbe agito per mettere fine alla “discriminazione nei confronti degli ebrei sul Monte del Tempio”. Ha anche promesso agli studenti che avrebbe convocato un incontro con il Ministro della Pubblica Sicurezza Gilad Erdan per esaminare il “comportamento della polizia israeliana verso gli ebrei in visita al Monte del Tempio”.

Ed ecco qui, questa settimana Erdan si è complimentato con la polizia per aver svolto un serio lavoro domenica e ha detto che gli attuali accordi relativi al monte devono essere rivisti.

Ariel, in qualità di ministro per l’edilizia residenziale, due anni fa ha fatto appello per la ricostruzione del “vero Sacro Tempio sul Monte del Tempio”. Evidentemente da allora non ha ribadito pubblicamente questa affermazione, ma non si tratta dell’effimera osservazione di un tizio che fa un commento su internet. Tra le “visite” e le reiterate incursioni di israeliani armati dentro il luogo sacro dei musulmani, la sua affermazione suona come un temibile avvertimento.

Il tentativo di presentare le visite degli ebrei al sito come “as affirmative action” (norme che nei Paesi anglosassoni mirano a favorire le minoranze discriminate, ndt) motivata dal principio dell’eguaglianza risulta ottuso e pericoloso nella sua pretesa, analogo al (riuscito) tentativo dei giornali israeliani di togliere di mezzo il rifiuto di carattere teologico dei palestinesi riguardo al collegamento tra gli ebrei, la terra e il monte, e alla possibilità dell’antica esistenza del Sacro Tempio.

Gli ebrei non sono una minoranza perseguitata in Israele che lotta per i propri diritti religiosi. Gli ebrei sono quelli che comandano. Il nostro regime di occupazione ha già dimostrato che c’è un diretto collegamento tra le “allucinanti” affermazioni di 47 anni fa (dopo la Guerra dei Sei Giorni e l’occupazione della Cisgiordania, ndt) e la realtà del furto di terra a vantaggio dei coloni, tra questo e le riserve palestinesi, fino a risalire all’espulsione dei palestinesi nel 1948.

Quindi i palestinesi hanno tutte le ragioni ed i motivi per temere che le “visite” e i raid della polizia sul sacro monte siano parte di un piano messo in pratica dagli ebrei: un piano per completare la loro esclusione dalla loro patria e la marginalizzazione della storia palestinese, un piano per cancellare i profondi legami di 12 milioni di persone con il proprio paese.

In quest’ottica, la moschea di Al-Aqsa è un microcosmo dell’intera Palestina. La sua importanza religiosa per l’Islam unisce e rafforza le iniziative di resistenza palestinese più di ogni altra minaccia ad aree come Gaza. Qui tutti – religiosi e non credenti, cristiani e musulmani, appartenenti a Fatah o ad Hamas – sono uniti. Ed invece di smentire i loro timori, la polizia ed il governo di Israele agiscono come guidati dalla convinzione che il diritto degli ebrei ad una “visita” che è una provocazione sia più sacro del dovere di evitare una guerra di religione.

 

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