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27 luglio 2015

 

Al Aqsa, quando il sacro incontra il profano

di Alessandro Carocci

 

Lacrimogeni, cori, scontri, sassaiole, violenze e vecchi antagonismi che non intendono tramontare: questa è la Gerusalemme di questi giorni, una città che ne ha viste tante, e tante continua a vederne, senza reagire e senza ragionare su cosa la potrebbe aspettare in un futuro non troppo lontano.

 

La più grande moschea di Gerusalemme, in grado di contenere oltre cinquemila fedeli e situata nella zona orientale della Città, occupata da Israele dal 1967 ma disputata con i palestinesi, che la includono in un ipotetico e futuro Stato della Palestina, è chiamata dai musulmani al-Haram al-Sharif, cioè “Il Nobile Santuario”. Quest’aura di più-sacro che la circonda rende gli accadimenti degli ultimi giorni ancora più seri e pericolosi per l’ordine pubblico dell’Urbe delle Tre Religioni. Infatti diversi scontri hanno imperversato nella Spianata delle Moschee, luogo sacro per i musulmani e per gli ebrei dove, però, vige la regola secondo cui gli ebrei non possono fermarvisi a pregare. Proprio la violazione di questa prassi da parte degli ebrei giunti in Città per la commemorazione della distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70 dopo Cristo, la cosìddetta festività del Tishà Beav, ha provocato tafferugli con alcuni palestinesi che hanno costretto la polizia ad intervenire. Appena le forze dell’ordine sono arrivate, alcuni musulmani si sono barricati all’interno della moschea di al-Aqsa lanciando pietre e costringendo gli agenti ad entrarvi, a detta del portavoce della polizia Micky Rosenfeld, solo per pochi metri e per chiudere le porte così da evitare la sassaiola. Ma l’azione della sicurezza ha visto anche il lancio di lacrimogeni all’interno del luogo sacro e la contusione di circa dieci persone da aggiungere al ferimento di quattro poliziotti.

Questa escalation di violenza e disordine ricorda pericolosamente la scintilla che fece scoppiare la seconda intifada, quella del duemila, innescata dalla visita alla Spianata delle Moschee dell’allora leader dell’opposizione israeliana Ariel Sharon. E’ chiaro che l’incidente avvenuto in questi giorni e che, anche se è stato riportato l’ordine, lascia dietro di sé un’aria di fermento può essere visto dai musulmani come una vera e propria profanazione di un luogo sacro, anzi, del luogo più sacro della Spianata. Tale profanazione, se vista nell’atmosfera sempre in tensione di Gerusalemme, può essere paragonata a un fiammifero acceso gettato su un campo di sterpaglie secche: l’incendio è altamente probabile. Episodi come questo ci ricordano che nonostante lo Stato di Israele sembri tranquillo rispetto a tutto il Medio Oriente che lo circonda, che a causa del Daesh e della recente entrata a gamba tesa della Turchia di Erdogan sta bruciando come non mai, è sempre sul filo del rasoio per quanto riguarda l’ordine pubblico.

Una Guerra Fredda in scala, spesso e volentieri combattuta a suon di slogan, ma anche di scontri urbani, è in atto nel Paese degli ebrei, e non si può ignorare un evento come quello accaduto il ventisei Luglio scorso nella moschea di al-Aqsa. Più che di gioco militare qui si parla di vero e proprio gioco politico di precisione certosina, anche perché il tempo dei carri armati e dei bombardamenti è finito lasciando il posto a quello della commistione quantomai esplosiva fra politica e religione, dove ogni azione e ogni non-azione va misurata con bilancia e calibro, strumenti a quanto pare poco usati da entrambe le parti e il cui mancato uso porta ad episodi come questo.

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