Originale: Haaretz

http://znetitaly.altervista.org/

19 ottobre 2015

 

Ogni palestinese comprende la disperazione che spinge una persona a pugnalare gli israeliani

di Amira Hass

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Questo articolo è stato scritto poco prima di una mia visita a Robben Island,  a città del Capo, in Sudafrica, insieme a un attivista contrario all’apartheid che era stato imprigionato in quel luogo. Lui e i suoi colleghi erano considerati “terroristi”  agli occhi del governo dei bianchi. Questa parola generica che i regimi repressivi usano liberamente, fa parte della disumanizzazione degli oppositori e della criminalizzazione della resistenza.

“Terrorista” è probabilmente la parola più comune usata in questi giorni nei media israeliani. Non c’è da stupirsene, dato che nelle due settimane scorse 5 ebrei sono stati uccisi a coltellate,  16 palestinesi sospettati di accoltellamenti sono stati uccisi dai soldati, da poliziotti, da cittadini con il porto d’armi, o dai coloni. La paura è piombata nelle strade e il via libera a uccidere ogni persona sospettata di accoltellamento, anche se non costituisce alcuna una minaccia alla vita di qualcuno, finora non è riuscita a impedire ad altri palestinesi di prendere i coltelli.

“Terrorista” fa risparmiare delle parole quando si scrive e si corregge. “Sospettato di avere pugnalato un soldato”; “Ragazzo palestinese che i poliziotti al confine sostengono abbia tentato di accoltellarli”, o “Il ragazzo palestinese di 13 anni che è stato visto accoltellare un bambino israeliano è del campo profughi X”. Questo tipo di formulazione serve soltanto a complicare la frase, specialmente quando si informa di molti accoltellamenti in una giornata.

Il poco tempo e spazio richiedono una linguaggio semplificato, e la semplificazione e il linguaggio stenografico si adattano all’isteria generale. La polizia, il portavoce delle Forze di Difesa israeliane o qualsiasi altro organismo ufficiale forniscono affermazioni già pronte, piene di parole come “terrorista” e “neutralizzare”. Copiarle o quasi-copiarle fa risparmiare tempo e seccature. Questo è il motivo per cui  le descrizioni di fatti sono così simili in tutti diversi resoconti dei media.

Unificare la terminologia rende possibile ignorare il fatto che molti degli assalitori provengono da Gerusalemme Est; che alcuni di quelli che sono stati accoltellati sono in uniforme e armati; che altri sono stati pugnalati negli insediamenti (compresi i quartieri a Gerusalemme Est). Senza ricevere ordini politici dall’alto, coloro che decidono di iniziare a compiere attacchi con i coltelli (e di essere uccisi) hanno focalizzato la loro attenzione su simboli più brutali dell’occupazione: l’esercito, la polizia e i coloni. I “neutralizzatori” vengono acclamati, fino a quando l’assalitore è palestinese e le vittime sono ebrei. Eden Natan-Zada uccise 4 israeliani palestinesi nel 2005. Fu “neutralizzato” , e i suoi “neutralizzatori” furono processati e le loro azioni furono descritte come un “linciaggio.” Naturalmente non erano degli ebrei.

E’ vero, anche Nata-Zada è stato descritto come un “terrorista” in molti servizi giornalistici. In paragone, quando ragazzo di 17 anni di Dimona, di recente ha accoltellato due Beduini che sono cittadini israeliani e due operai palestinesi della Cisgiordania in un attacco fatto per vendetta, la maggior parte degli organi di stampa (tranne Haaretz) ha soltanto notato la sua età e il fatto che il suo passato e la sua condizione psichiatrica erano note alla polizia. Non c’è bisogno di dire che le forze di sicurezza lo hanno represso senza ferirlo o ucciderlo.

In ogni caso, definire pochi ebrei “terroristi” non cambia la funzione originale del termine generico: cancellare dalla vista degli israeliani qualsiasi contesto politico, sociologico e storico della decisione dei palestinesi di uccidere gli ebrei.  Questa è disumanizzazione la cui logica è la seguente: coloro che attaccano gli ebrei sono terroristi. Gli attaccanti sono palestinesi. I palestinesi sono terroristi , la voglia di uccidere è radicata in loro, e questa è la fonte del nostro problema. Non il controllo straniero, non gli insediamenti, non la violenza della polizia nei riguardi dei palestinesi residenti a Gerusalemme.

Anche  la parola “terrorista” esonera in anticipo i giornalisti dall’obbligo di controllare l’accuratezza delle dichiarazioni della polizia o dei militari dopo un tentativo di attacco, o di esaminare il reale significato di “neutralizzare” e il modo in cui viene eseguito.

Gli organi di stampa palestinesi, secondo i post su Facebook, non hanno mostrato il quadro completo degli accoltellamenti, e hanno presentato la conseguenze come se l’uccisione di palestinesi fosse stata compiuta semplicemente perché erano palestinesi. Hanno anche contribuito all’isterismo – quello palestinese. Il sito dell’agenzia di stampa  palestinese ufficiale,  Wafa, non ha notato le circostanze in cui ognuna delle 37 persone (fino a sabato 17 ottobre) erano state uccise. Nove studenti di Gaza sono stati uccisi dai soldati delle Forze di Difesa israeliane durante una dimostrazione senza armi presso la recinzione al confine. Una madre, Noor Hassan, e la sua figlia di pochi mesi Rahaf, sono state uccise dopo un attacco aereo vicino alla città di Gaza. 26 palestinesi, però, erano tutti di un solo gruppo: dimostranti e sospetti assalitori armati di coltelli. Non c’è stato modo di sapere chi era chi.

Ogni palestinese comprende la  disperazione che spinge una persona a pugnalare gli israeliani. Molti giustificano anche l’atto, quando non c’è dubbio che sia stato compiuto. Ma anche  i resoconti mancanti sui media palestinesi e l’amalgama di nomi nella lista ufficiale di coloro che sono stati uccisi, mostrano la confusione e la paura di un’ondata di attacchi suicidi che sono una copia di attacchi commessi da altri.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/every-palestinian-understands-the-despair-that-drives-a-person-to-stab-israelis

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