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05 febbraio 2015

Aleppo si aggrappa alla vita
testo e foto di Federica Iezzi

Mentre continuano gli scontri tra le forze governative e i qaedisti del Fronte al-Nusra, nei quartieri occidentali di Aleppo si vede la vita scorrere in tutte le sue forme disordinate, a volte interrotte e frantumate dai combattimenti. Gli abitanti non si arrendono alla guerra.

 Aleppo, 05 febbraio 2015, Nena News

Da quando infuriano di nuovo i combattimenti, famiglie intere sono state costrette a fuggire dalle loro case. Alcuni vivono in sorte di campeggi, altri nelle rovine di vecchi condomini. Gli edifici non hanno mura, come le case delle bambole vecchio stile. Dai soffitti di cemento grezzo, la pioggia si infiltra e si raccoglie in pozzanghere scure sui pavimenti di calcestruzzo. Nessun servizio igienico. Nessuna protezione se non teli di plastica forniti dalle Nazioni Unite. Si stima che siano 1,78 milioni gli sfollati di Aleppo. Il governatorato locale è dal luglio del 2012, un campo di battaglia chiave schiacciato tra i militanti dello Stato Islamico, l’esercito governativo e i ribelli cosiddetti “moderati” finanziati e appoggiati dagli Stati Uniti, dai altri paesi occidentali e le monarchie arabe.

I qaedisti del Fronte al-Nusra, controllano aree sul lato nord-occidentale della città. L’ultimo, in ordine di tempo, ad essere strappato dalle mani del governo siriano il quartiere di al-Ashrafieh, ad ovest della città. L’esercito governativo controlla solo un terzo dei quartieri di Aleppo. La parte orientale della città è invece contesa tra ISIS e l’Esercito siriano libero, la milizia dell’opposizione. Le forze militari agli ordini del presidente Assad cominciano a chiudere le tangenziali a nord di Aleppo e gli abitanti temono di subire la stessa sorte di Homs se jihadisti e qaedisti non lasceranno la città. Si annuncia un assedio che potrebbe durare mesi, con pochi aiuti umanitari. Senza ingressi e senza uscite.

I combattimenti avvenuti intorno alla città di Hama hanno danneggiato le linee elettriche che rifornivano anche Aleppo. Si studia perciò alla luce delle candele e si lotta quotidianamente con i tagli dell’elettricità. E si convive anche con la scarsità di acqua. Le pompe idrauliche non funzionano più. Gli abitanti di quella che era la città più prospera della Siria, sono ridotti a raccogliere acqua dai pozzi e trasportarla in taniche.

Non c’è il latte. Non c’è gas. Non c’è lo zucchero.

Nel centro storico di Aleppo e nel souq della cittadella del tredicesimo secolo, costellati da due anni di bombardamenti, il silenzio è interrotto da disordinati spari, tra le barriere di sabbia e detriti, erette per bloccare i ribelli. Le granate non fanno distinzione tra combattenti e civili, uomini e donne, vecchi e bambini. E proprio i bambini di Aleppo hanno imparato subito la lezione: non si toccano le schegge delle bombe dopo l’esplosione. Bruciano le dita. La gente racconta che i raid aerei distruggono solo i primi quattro o cinque piani degli edifici, quindi le migliori possibilità di sopravvivenza, sono nei piani nei quali la luce non arriva.

Non c’è più nessun popolo. Non ci sono gatti né insetti. Niente.

Come succedeva nella Sarajevo negli anni ’90, oggi nelle strade all’ingresso di Aleppo si leggono cartelli scritti a mano con lettere arabe, che indicano la presenza dei qannas, i tiratori scelti delle parti in lotta. Uccidono indiscriminatamente.

Le cupole dell’antica moschea di Umayyad, terreno di battaglia fino allo scorso luglio, sono coperte da segni di razzi. Poco è rimasto dei preziosi archi, una volta case e negozi dei piccoli produttori tessili. I viali deserti della “capitale del Nord”, così è soprannominata Aleppo, sono disseminati di detriti, frammenti di bombe e proiettili, vetri rotti, edifici distrutti, finestre in frantumi, polvere e pezzi di metallo arrugginito. Ai lati delle strade si vende gasolio da riscaldamento e gas: combustibili di bassa qualità che raggiungono Aleppo dal mercato nero iracheno. E su ogni grosso incrocio, venditori ambulanti offrono generatori ben etichettati, provenienti dalla Cina. Sono gli unici affari che vanno bene perchè scarseggia l’elettricità. Nei viottoli, in parte bruciati e distrutti, del vecchio bazar di Aleppo si trovano ancora carne, verdure e pane. Le donne un tempo erano la vita dei mercati di questa città nota a tutto il mondo, oggi sono coperte dalla testa ai piedi nell’hijab e molte tengono nascosto l’intero viso sotto il niqab

L’odore di plastica bruciata rimane perennemente nella gola e il fumo sale all’infinito sopra Aleppo. I bambini frugano nelle montagne di spazzatura, per cercare materiale riciclabile. Sui marciapiedi della città anziani uomini, con kefiah dai mille colori, vendono legna da ardere.

Nel quartiere cristiano di Suleiman al-Halaby, quattro bambini su cinque non vanno più a scuola. Bombardamenti, fuoco di artiglieria e cecchini sembrano essere diventati comuni. Le famiglie devono educare i figli e portare a casa il cibo da mangiare. Fanno del loro meglio per sopravvivere in mezzo a questo conflitto, a caos e povertà. Alcuni abitanti di Aleppo ci dicono: “All’inizio di questa guerra c’era ingiustizia. Ora si è aggiunta l’umiliazione”. Nena News

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