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25/05/2015

 

American Enteprise Institute: “Se Palmyra sarà distrutta, sarà grazie all’Arabia Saudita”

di Evey Hammond

 

L'unica cosa che si dimentica in questa analisi? Che l'Arabia Saudita è lo storico alleato americano in Medio Oriente

 

“Se Palmyra sarà distrutta, sarà grazie all’Arabia Saudita”. Titola così un’analisi dell’American Enterprise Institute (AEI), centro di Studi di Politica Internazionale con base a Washington, che commenta la conquista da parte dei jihadisti dell’Isis dell’antica città siriana costruita nel II millennio a.c., e che ora rischia di essere distrutta dallo Stato islamico. 

 

Se l’Isis devastarà anche gli antichi resti romani di Palmyra, scrive lo studioso dell’AEI Michael Rubin, “condanniamo lo Stato islamico, ma non dimentichiamo il ruolo avuto da quell’incubatrice per l’iconoclastia che è stato fornito allo Stato islamico dal sistema scolastico dell’Arabia Saudita e dagli enti di beneficienza attraverso i quali il Regno Saudita ha promosso questa versione dell’Islam per lungo tempo”.  

 

Ricordando che i seguaci del Califfato hanno già distrutto siti archeologici di altissimo valore a Nimrud, Mosul e Ninive, Rubin evidenzia un’ironia nella folle azione distruttrice dei “guerriglieri neri”, ovvero “la loro ignoranza della storia islamica”. Lo studioso spiega infatti che “il Califfato che aveva capitale a Damasco regnava sovrano su questi stessi siti nei secoli successivi alla morte del profeta Maometto. E sempre questi luoghi sono sopravvissuti alla dinastia Abbasida che da Baghdad dominava sull’impero islamico tra il 750 e il 1258 d. C..  Egualmente i grandi Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, sono sopravvissuti a secoli di dominio islamico in Afghanistan, finché i talebani non hanno deciso di farli saltare in aria con la dinamite. I tesori Sufi di Timbuktu, nel Nord del Mali, sono sopravvissuti a secoli fino a che i terroristi di Al Qaeda del Magreb islamico non hanno sfogato su di essi i loro impulsi distruttivi”. 

 

“La prima responsabilità per la distruzione di questo patrimonio artistico è dello Stato islamico e di quegli individui che hanno preso parte al saccheggio e alla distruzione di esso, che si spera saranno consegnati un giorno alla giustizia,  il prossimo mese o nei prossimi decenni – evidenzia Rubin -. Tuttavia, vale la pena considerare perché una tale interpretazione della legga islamica, più ignorante che reazionaria, abbia preso piede tra gruppi come i talebani, i guerriglieri dello Stato islamico e gli affiliati di Al Qaeda. Quello che questi gruppi hanno in comune è l’esposizione (culturale-religiosa, ndr) a decenni di moschee e madrasse (scuole coraniche, ndr) fondate e finanziate dai sauditi”. 

 

Spiegando che il Corano è ritenuto essere dagli islamici la parola di dio rivelata al profeta Maometto dall’angelo Gabriele, e in quanto tale è necessario seguirla alla lettera, il ricercatore dell’AEI sottolinea che oggi “la maggior parte degli arabi non capisce l’arabo del settimo secolo (...) e, fra l’altro, molti musulmani non sono neppure arabi. Il punto è che la maggior parte dei musulmani non è neppure capace di leggere il Corano nella sua versione originale (in arabo antico) e, quindi, ne memorizza i versi e il significato è lasciato alla decrizione fatta loro da imam e mullah. Molti di questi mullah, a loro volta, non hanno magari neppure letto il Corano in arabo antico ma ne hanno solo memorizzato versi e contenuti. Per decenni, l’Arabia Saudita ha concentrato la propria beneficienza nella diffusione delle sue scuole coraniche assai oltre i confini del deserto arabico dove queste interpretazioni sono sorte”. 

 

“Una volta che i sauditi hanno distrutto i propri siti archeologici, considerando ogni apprezzamento verso siti e tesori antichi, islamici o no, come l’equivalente dell’idolatria – conclude lo studioso dell’AEI – i loro studenti hanno assimiliato questo atteggiamento ignorante a livello internazionale, e ora il mondo ne sta pagando il pezzo”.   

 

Un’analisi acuta, quella dell’American Enteprise Institute che dimentica soltanto di ricordare che l’Arabia Saudita, tra i pochi Stati al mondo che non ha firmato la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e Paese nel quale le donne non hanno neppure il diritto di guidare, è lo storico alleato statunitense in Medio Oriente. O almeno lo è stato fino all’accordo sul nucleare iraniano tra Washington e Teheran.  

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