Syria Deeply
05/01/2015

La Siria dei bambini che vogliono conquistarsi un’istruzione
di Kinda Jayoush
Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

"L'istruzione è un diritto sacro, è sempre stata la cosa più importante della nostra vita," dice un padre

Ogni mattina, quando Omar e la sua sorellina Zahra vanno a scuola, portano un pezzo di legna ciascuno. Ogni studente deve portarne uno in questi giorni: è il loro contributo per mantenere le classi riscaldate. Le finestre e le porte del loro edificio scolastico sono state spazzate via. Per questo gli insegnanti, per mantenere un po’ di calore in inverno, accendono fuochi all’interno delle aule, usando la legna che gli studenti portano con sé.

Maarba, una città di circa 10 mila persone nei pressi del confine meridionale della Siria, ha due scuole elementari, una media ed una superiore. Gli abitanti dichiarano che non permetteranno che il tempo di guerra impedisca loro di educare i propri figli: il villaggio si è sempre fregiato di aver dato i natali a molti dottori ed ingegneri. Ma, certo, le cose sono diverse in questi giorni. Maarba è controllata dal Fronte al-Nusra, forza islamista combattente affiliata ad al-Qaida. Ciò la rende obiettivo di missili e attacchi coi barili bomba da parte del governo siriano.

La città è in effetti tenuta ostaggio da al-Nusra: il gruppo controlla e limita l’entrata di cibo, carburante e tutti gli altri beni di primo consumo nel villaggio. Eppure, nonostante il pericolo, i genitori di Omar e Zahra mandano i loro figli a scuola ogni giorno. “L’istruzione è un diritto sacro e importa molto alla gente del nostro villaggio”, dice il padre Hamed, “è sempre stata la cosa più importante della nostra vita. Stiamo cercando di fornire ai nostri figli strumenti per avere successo in futuro, malgrado la guerra quotidiana che viviamo”.

A scuola Omar e Zahra non fanno merenda perché non hanno i soldi per comprarla. Aspettano di arrivare a casa per mangiare, più tardi nel pomeriggio. Eman, insegnante da oltre 30 anni, dice che il sistema scolastico ed i suoi addetti stanno lottando molto. “Un buon giorno è quando possiamo insegnare in classe in pace, ma si mettono a combattere così spesso qui vicino. Allora mandiamo i bambini a casa,” dice, “Ci sono giorni in cui le scuole chiudono per via degli intensi combattimenti”.

Le strade del villaggio sono state distrutte, il trasporto è difficile e costoso, mentre le comunicazioni sono diventate estremamente inaffidabili. “Stiamo vivendo in condizioni che non avremmo mai immaginato”, continua Eman. “A scuola, facciamo il tè su un fuoco che è stato appiccato usando scarpe strappate e pantofole. Immaginate i fumi? Immaginate gli alberi che perdiamo quando li tagliamo per riscaldare le nostre aule? Ci sentiamo riportati indietro all’età della pieta. Vedo i bambini tremare mentre camminano verso scuola la mattina. Il mio cuore si spezza per loro. Piccoli, coraggiosi ragazzi”.

Kinda Jayoush è una giornalista canadese.

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