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21 marzo 2016

Spazi comunitari
di Paolo Cacciari

Non importa quale sarà il futuro dell'ex Asilo Filangieri di Napoli: i primi quattro anni hanno dimostrato che è possibile riempire l'espressione beni comuni di vita e di significati nuovi. Anche l'amministrazione comunale ha accolto la lezione.

La comunità aperta degli operatori dello spettacolo e della cultura che gestisce in regime di autogoverno l’ex Asilo Filangieri come polo culturale e centro di produzione artistica non poteva festeggiare meglio i suoi primi quattro anni di attività (www.exasilofilangieri.it). Dopo lunghi mesi di serrato confronto, la giunta del Comune di Napoli ha approvato (delibera n.893 del 27 dicembre 2015) un inedito strumento amministrativo per la gestione partecipata e condivisa del grande complesso immobiliare che nella sua nuova vita ha ospitato migliaia tra eventi e attività permanenti coinvolgendo decine di migliaia di cittadini partenopei. In concreto l’amministrazione comunale ha accettato e fatto proprie le norme di autoregolamentazione elaborate dal collettivo dei lavoratori e delle lavoratrici dell’arte e della cultura contenute nella “Dichiarazione di uso civico e collettivo urbano”, allegata alla delibera.
L’immobile era già stato incluso tra i beni del patrimonio comunale abbandonati o parzialmente utilizzati e “percepiti dalla comunità come beni comuni suscettibili di fruizione collettiva” (delibera di consiglio n.7 del 9 marzo del 2015). Ora l’Asilo ha visto riconosciuti i suoi sperimentati organi di autogestione: l’assemblea di indirizzo, i gruppi di lavoro tematici e un nuovo Comitato di garanzia composto da personalità indicate anche dal Comune. L’assemblea è libera e aperta a tutte e a tutte, non richiede registrazioni particolari, se non la partecipazione assidua ad almeno quattro riunioni nell’arco di tre mesi e la sottoscrizione di un impegno di “corresponsabilità”. Il tutto autocertificato nel “Quaderno de l’Asilo”.
L’assemblea, così determinata, costituisce la comunità democratica degli “abitanti” dell’Asilo. Oltre a loro vi sono gli “ospiti” (i vari gruppi culturali e le compagnie che partecipano con le loro attività alla programmazione de l’Asilo) e i “fruitori” (i frequentatori e gli spettatori). Nell’Asilo – lo ricordiamo – sono stati creati un teatro con laboratori di scenografia, studi di montaggio e suono, una biblioteca, sale espositive per mostre e conferenze, spazi di coworking e incubatori di progetti artistici, oltre a un orto urbano nel giardino, un campetto di calcio e un mercato settimanale biologico.
La rivoluzionaria delibera è il frutto di una scrittura collettiva del “tavolo autogoverno” in cui confluiscono giovani giuristi, ricercatori universitari, filosofi e artisti. Un progetto per dare una nuova definizione e un fondamento costituzionale alla categoria dei beni comuni: l’articolo 42 che riconosce la proprietà “solo se ha finalità sociali”; l’articolo 43 che prevede che le “comunità di lavoratori o di utenti” possono gestire servizi pubblici che abbiano un carattere di interesse generale; l’articolo 118 riformulato che inserisce il principio della “sussidiarietà orizzontale”. Ma l’Asilo è solo l’apripista di un percorso che il Comune di Napoli intende proseguire lungo la linea per il riconoscimento giuridico dei “beni comuni” avviato dalla Commissione Rodotà quasi dieci anni fa, la cui proposta di legge è arenata nelle secche del parlamento.
Luigi de Magistris ha recentemente detto: “Oggi a Napoli c’è un sistema di autogoverno, di autogestione. Se ci sono associazioni, comitati, studenti, disoccupati… che prendono luoghi abbandonati, vuoi di proprietà pubblica, vuoi di proprietà private, io non do l’ordine di sgombro, mi prendo una denuncia, li vado a ringraziare perché stanno liberando la città” (Cosmopolitica, 27 febbraio 16). Il sindaco non si riferisce solo alla formalizzazione del sistema di gestione dell’ex Asilo Filangeri (con la delibera che recepisce la “Dichiarazione di uso civico e collettivo”, di cui abbiamo scritto la settimana scorsa), ma a un vero e proprio piano di rigenerazione urbana di spazi, immobili e terreni, pubblici e privati abbandonati o non utilizzati da destinare ad attività a carattere sociale, culturale, educativo e ricreativo. A causa della mancanza di risorse o della colpevole negligenza della proprietà, le città sono costellate di aree degradate, fonte di pericoli e di costi per la collettività. La giunta de Magistris ha quindi avviato un percorso che parte dall’inserimento della fattispecie dei beni comuni nello Statuto del Comune e dall’istituzionalizzazione di un assessorato ad hoc, per giungere alla costituzione di un Osservatorio e di una Unità di progetto per la “Individuazione e valorizzazione degli spazi pubblici e privati suscettibili di essere individuati come beni comuni”. Con alcune delibere di consiglio e di giunta il Comune di Napoli ha iniziato un’opera di ricognizione partecipata con l’ausilio delle comunità interessate, delle situazioni dove esiste una concreta possibilità di realizzare Piani di gestione degli immobili che abbiano le caratteristiche della funzione sociale e della autosostenibilità economica. Oltre all’Asilo sono in corso incontri a Villa Medusa, Lido Liberato, all’ex Opg-je so pazzo, allo Scugnizzo di Salita Pontecorvo, a Santa Fede, al Giardino liberato di Materdai e altri ancora.
Una strada che supera le consuete modalità di relazione tra movimenti che “occupano” e pubbliche amministrazioni che “concedono e assegnano”. Pratiche ambedue, a lungo andare, vicendevolmente deresponsabilizzanti. E inaugura invece la prassi, più faticosa e complessa, della costruzione di spazi comunitari di interesse pubblico con un modello di governo partecipato. Non res nullius – direbbero i giuristi – , ma res communes omnium. Non “terre di nessuno”, ma luoghi auto-normati e autogestiti da collettivi operanti aperti che si costituiscono con il fine di restituire alle comunità di riferimento ciò di cui hanno bisogno e che decidono di gestire assieme.

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