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6 maggio 2016

 

Tempesta perfetta sul Canada: El Niño, i cambiamenti climatici e gli incendi devastanti

 

Il contesto climatico globale del gigantesco incendio di Fort McMurray

 

Nella provincia petrolifera canadese dell’Alberta il super El Niño 2015/2016  ha causato condizioni molto più secche rispetto al normale, portando ad un massiccio aumento del numero degli incendi. Ma la situazione, che ha portato all’evacuazione di 100.000 persone dall’area di Fort McMurray è solo l’aggravamento di un trend già molto pericoloso: secondo lo studio “Climate-induced variations in global wildfire danger from 1979 to 2013” pubblicato nel 2015 da Nature Communications, dal 1979  la stagione degli incendi boschivi si sta allungano notevolmente in tutto il mondo e quest’anno l’Alberta ha subito già 330 incendi, più del doppio della media annuale recente. Come scrive Brian Kahn su Climate Central, l’incendio di Fort McMurray è l’ultimo di una serie prolungata di incendi nell’emisfero settentrionale «che sono indicativi di  un clima che cambia. Mentre il pianeta continua a riscaldarsi, questi tipi di incendi probabilmente diventeranno più comuni  e intensi, dato che scompare il manto nevoso primaverile e temperature sono più calde».

Mike Flannigan un ricercatore dell’università dell’Alberta che studia gli incendi boschivi, conferma: «Questo è in linea con quel che ci aspettiamo dal cambiamento climatico causato dall’uomo che colpisce o il nostro regime degli incendi». Sull’incendio che ha costretto alla fuga gli abitanti di Fort McMurray ci sono le impronte digitali di El Niño: in città le temperature all’inizio di questa settimana avevano toccato i  32,6° C,  normalmente a maggio le temperature a Fort McMurray arrivavano al massimo a 14° C. Ma i ricercatori ribadiscono che El Niño non è  l’unico fattore che ha aumentato la probabilità di grandi incendi nell’Alberta: la tragedia di Fort McMurray, nella quale si contano anche le prime vittime, fa parte di un quadro globale più ampio di temperature in aumento, che nei primi 4  mesi di quest’anno sono  state di oltre 1° C al di sopra della media a lungo termine. A gennaio un team di ricercatori canadesi guidato da Flannigan ha pubblicato su Climatic Change  lo studio “Fuel moisture sensitivity to temperature and precipitation: climate change implications” secondo il quale il riscaldamento globale porterà a una maggiore frequenza di incendi ed eventi meteorologici estremi in tutto il Canada.

Almeno un quartiere di Fort McMurray è stato raso quasi completamente raso al suolo dall’incendio e nell’Alberta le temperature di questo periodo sono salite dai 22 gradi centigradi di media degli anni ’90 ai record di 40° C raggiunti in questi giorni. Le immagini dell’incendio, della fuga dei profughi ambientali e degli ingorghi autostradali di Fort McMurray sono tragicamente simili a quelle del devastante incendi nella California Valley dl 2015, che in condizioni di caldo e siccità simili a quelle dell’Alberta, distrusse circa 2.000 case nelle contee  di Lake e Sonoma.  Secondo Martin Wooster, del King College di Londra, un fattore che viene spesso trascurato nelle ricerche per scoprire le cause delle catastrofi naturali è la demografia: «Poco prima l’ultima grande di El Niño nel 1997, la popolazione di Fort McMurray era poco più di 30.000 – ha spiegato a BBC News –  L’ultimo censimento ha indicato che era arrivata a 60.000. Più persone significa non solo un impatto maggiore quando si verificano gli incendi, suggerisce anche che le chances di partenza sono aumentate. C’è questa cosa chiamata wild land urban interface, che è dove le case della gente sono sempre più vicine ad ambienti ancora poco sviluppati  e il fuoco è in grado di uscire da queste aree “naturali”. Così si ottiene che più persone abbiano maggiori probabilità di innescare incendi».

Però, quello che sta succedendo a Fort McMurray  non è una fatalità, è una tempesta perfetta prodotta dal cambiamento climatico: la siccità, il caldo di gran lunga superiore al normale e la mancanza di neve hanno lasciato scoperto  sul terreno un  sacco di legname secco, il carburante ideale per gli incendi. Judith Kulig, dell’università di Lethbridge, nell’Alberta, conferma alla BBC News:«Abbiamo avuto un inverno incredibilmente asciutto, non abbiamo avuto abbastanza manto nevoso. Una “tempesta perfetta” di fattori, tra cui El Niño, sono arrivati insieme ed hanno causato il vasto incendio. Quest’anno la stagione degli incendi è iniziata ufficialmente il  primo marzo l’anno scorso era il 15 marzo. Si tratta di cambiamenti significativi quando la stagione degli incendi normalmente iniziava a maggio e ora inizia a marzo».

Ma sono tutte le foreste boreali, dall’Alaska alla Siberia, che stanno bruciando a un ritmo mai visto negli ultimi 10.000 anni. Un’analisi del 2015 di Climate Central sugli incendi in Alaska ha dimostrato che nello Stato più settentrionale degli Usa   la stagione degli incendi boschivi è del 40% più lunga di 65 anni fa e che nello stesso periodo gli incendi sono anche raddoppiati.

Secondo Flannigan, «In Canada, la stagione degli incendi ora inizia un mese prima rispetto al passato e la superficie media annua bruciata è raddoppiato dal 1970».  Se il cambiamento climatico ha alterato e sta alterando le condizioni di fondo, quest’anno il super El Niño ha probabilmente svolto un forte ruolo in questo devastante inizio della stagione degli incendi nel Canada occidentale.  Anche dopo il super-El Niño  del 1997-1998 il Canada occidentale ha sperimentò una  stagione degli incendi particolarmente distruttiva e Flannigan sottolinea che «In questa parte del mondo, El Niño significa caldo e secco. Abbiamo avuto un inverno caldo e secco e ora una primavera calda e secca. Se devo fare delle previsioni, è probabile che avremo un’altra brutta stagione degli incendi».

E quando, come  nel caso di Fort McMurray, gli incendi raggiungono città e paesi, i risultati sono devastanti. Fort McMurray, che è stato il centro del  boom del petrolio delle sabbie bituminose canadese, ora è una città piena di disoccupati e in crisi  per il crollo dei prezzi del greggio e si troverà a dover pagare danni per centinaia di milioni di dollari provocati dal cambiamento climatico provocato proprio da quei combustibili fossili che avevano dato all’Alberta e alla città un’effimera ricchezza.

Ma incendi come quello di Fort McMurray, dalla California Valley o delle foreste boreali russe possono anche essere devastanti per il clima globale: «Le foreste boreali  – sottolinea Kahn – contengono quasi il 30% di tutto il carbonio del mondo stoccato sul terreno. Mentre si incendiano, mandano il carbonio nell’atmosfera, dove riscalda il globo. In certi anni, gli incendi intensi stanno già trasformando alcune foreste in inquinatori di carbonio, creando un feedback cycle che porta a temperature superiori e aumenta ancora di più i rischi di incendio. Gli scienziati sono anche preoccupati per i vasti depositi di torba nella foresta boreale che si estende nell’Alberta e in altre parti del Canada. Questa  torba contiene quantità significative di carbonio e una volta che prende fuoco, è estremamente difficile da spegnere e  può covare per settimane o mesi».  Come è successo  sia in Canada che in Russia, il fuoco sotterraneo nei depositi di torba può  “sopravvivere” anche durante i freddi inverni sub-artici e poi “riemergere” in primavera.

Anche il nord ricco del mondo sta quindi facendo tragicamente i conti – umani, ambientali ed economici . con gli impatti di El Niño, proprio come l’India, che ha visto ridurre il monsone e dove le ondate di caldo hanno fatto più di 300 vittime solo a New Delhi, o l’Africa orientale, piegata da una devastante siccità che nel Corno d’Africa e in Etiopia ha prodotto milioni di affamati.

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